diritto civile
La mediazione obbligatoria è incostituzionale
Con un comunicato stampa, la Consulta ha
reso nota l’illegittimità del DLgs. 28/2010 nella parte in cui prevede
il carattere obbligatorio dell’istituto
Illegittimità costituzionale del DLgs. 28/2010 “nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione”. È quanto emerge da un comunicato stampa diffuso dalla Corte Costituzionale ieri, nel quale viene dichiarato l’eccesso di delega legislativa.
La decisione della Consulta – che, dunque, riguarderebbe l’art. 5, comma 1, del DLgs. 28/2010 - è giunta dopo, in particolare, l’ordinanza del TAR Lazio 12 aprile 2011, che aveva dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli del DLgs. 28/2010 (si veda “Sulla mediazione tocca alla Consulta” del 13 aprile 2011).
Non verrebbe toccato il sistema della mediazione in sé e, dunque, le altre forme di mediazione, quali quella demandata dal giudice e quella facoltativa.
Nulla di più viene spiegato nel comunicato, ma ciò basta per far cadere la configurazione dell’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale per la risoluzione delle controversie nelle materie elencate al citato comma 1 dell’art. 5 del DLgs. 28/2010. Nello specifico: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Per la risoluzione di tutte le sopra citate controversie, le parti erano vincolate a esperire il procedimento di mediazione prima di adire le vie giudiziali. Diversamente, la domanda sarebbe stata improcedibile: l’improcedibilità doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove avesse rilevato che la mediazione era già iniziata, ma non conclusa, fissava la successiva udienza dopo la scadenza del termine per la conclusione della medesima (pari a 4 mesi). In egual modo provvedeva quando la mediazione non era stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
A tal proposito, si ricorda che la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è stata disciplinata dal DLgs. 28/2010, in attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009, nel quale, fra i vari principi e criteri direttivi, non è stato fatto alcun riferimento all’obbligatorietà o facoltatività della mediazione.
In attesa di leggere le motivazioni della Corte Costituzionale, si osserva che la finalità del provvedimento in oggetto è stata principalmente quella di utilizzare la mediazione come strumento deflattivo, in grado di ridurre in modo significativo il numero di liti gestite dalla giustizia ordinaria. Mediazione, poi, come rimedio alternativo alla tutela giudiziaria ordinaria rivolto a cittadini e imprese per limitare la durata dei tempi processuali e le formalità, oltre che per contenere i costi.
In tal senso, si vedano anche gli “incentivi” alla mediazione, agevolazioni in termini di risparmio di imposte e di tasse, altrimenti dovute in un giudizio ordinario, e in termini di rimborso, sotto forma di credito di imposta, dell’indennità dovuta per l’attività di mediazione (si vedano gli artt. 17 e 20 del DLgs. 28/2010).
In tale quadro, l’“obbligatorietà” è stata voluta per alcune materie di un certo rilievo secondo due criteri-guida. Innanzitutto – così la Relazione illustrativa al decreto legislativo – si tratta di cause in cui il rapporto tra le parti è destinato a prolungarsi nel tempo, anche oltre la definizione della singola controversia (fra questi, i contratti di durata, i rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, al medesimo gruppo sociale o area territoriale), o di rapporti particolarmente conflittuali che si prestano a essere meglio composti in via stragiudiziale (fra questi, la materia della responsabilità medica e della diffamazione a mezzo stampa).
Poi, sono state individuate cause relative ad alcune tipologie di contratti (quali i contratti assicurativi, bancari e finanziari) che, oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti, hanno una diffusione di massa e sono oggetto spesso di contenzioso.
/ Roberta VITALE
La decisione della Consulta – che, dunque, riguarderebbe l’art. 5, comma 1, del DLgs. 28/2010 - è giunta dopo, in particolare, l’ordinanza del TAR Lazio 12 aprile 2011, che aveva dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli del DLgs. 28/2010 (si veda “Sulla mediazione tocca alla Consulta” del 13 aprile 2011).
Non verrebbe toccato il sistema della mediazione in sé e, dunque, le altre forme di mediazione, quali quella demandata dal giudice e quella facoltativa.
Nulla di più viene spiegato nel comunicato, ma ciò basta per far cadere la configurazione dell’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale per la risoluzione delle controversie nelle materie elencate al citato comma 1 dell’art. 5 del DLgs. 28/2010. Nello specifico: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Per la risoluzione di tutte le sopra citate controversie, le parti erano vincolate a esperire il procedimento di mediazione prima di adire le vie giudiziali. Diversamente, la domanda sarebbe stata improcedibile: l’improcedibilità doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove avesse rilevato che la mediazione era già iniziata, ma non conclusa, fissava la successiva udienza dopo la scadenza del termine per la conclusione della medesima (pari a 4 mesi). In egual modo provvedeva quando la mediazione non era stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
A tal proposito, si ricorda che la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è stata disciplinata dal DLgs. 28/2010, in attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009, nel quale, fra i vari principi e criteri direttivi, non è stato fatto alcun riferimento all’obbligatorietà o facoltatività della mediazione.
La L. 69/2009 non fa riferimento all’obbligatorietà o meno
Solo
la lett. n) al comma 3 dell’art. 60 citato prevede “il dovere
dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del
giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della
conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione”.In attesa di leggere le motivazioni della Corte Costituzionale, si osserva che la finalità del provvedimento in oggetto è stata principalmente quella di utilizzare la mediazione come strumento deflattivo, in grado di ridurre in modo significativo il numero di liti gestite dalla giustizia ordinaria. Mediazione, poi, come rimedio alternativo alla tutela giudiziaria ordinaria rivolto a cittadini e imprese per limitare la durata dei tempi processuali e le formalità, oltre che per contenere i costi.
In tal senso, si vedano anche gli “incentivi” alla mediazione, agevolazioni in termini di risparmio di imposte e di tasse, altrimenti dovute in un giudizio ordinario, e in termini di rimborso, sotto forma di credito di imposta, dell’indennità dovuta per l’attività di mediazione (si vedano gli artt. 17 e 20 del DLgs. 28/2010).
In tale quadro, l’“obbligatorietà” è stata voluta per alcune materie di un certo rilievo secondo due criteri-guida. Innanzitutto – così la Relazione illustrativa al decreto legislativo – si tratta di cause in cui il rapporto tra le parti è destinato a prolungarsi nel tempo, anche oltre la definizione della singola controversia (fra questi, i contratti di durata, i rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, al medesimo gruppo sociale o area territoriale), o di rapporti particolarmente conflittuali che si prestano a essere meglio composti in via stragiudiziale (fra questi, la materia della responsabilità medica e della diffamazione a mezzo stampa).
Poi, sono state individuate cause relative ad alcune tipologie di contratti (quali i contratti assicurativi, bancari e finanziari) che, oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti, hanno una diffusione di massa e sono oggetto spesso di contenzioso.
/ Roberta VITALE
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