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domenica 14 ottobre 2012

Diritto societario La società non può impugnare la delibera di mancata approvazione del bilancio

Diritto societario

La società non può impugnare la delibera di mancata approvazione del bilancio

La Suprema Corte sottolinea come la legittimazione attiva spetti agli amministratori, nonché ai soci e all’organo di controllo

/ Sabato 13 ottobre 2012
La società non è legittimata ad impugnare la delibera di approvazione (o mancata approvazione) del bilancio d’esercizio.
A stabilirlo è la sentenza 5 ottobre 2012 n. 17060 della Corte di Cassazione.
La vicenda riguarda la mancata approvazione, in data 30 giugno 2003, del bilancio d’esercizio 2002 di una srl. Ad essa, dunque, trova applicazione la previgente disciplina, ma con implicazioni che restano valide anche in esito alla riforma.
Il bilancio di cui sopra non veniva approvato a causa del voto contrario del socio titolare di una quota pari al 50% del capitale sociale. La srl, in persona del suo legale rappresentante, conveniva in giudizio il socio stesso chiedendo che fosse accertato l’esercizio del diritto di voto in violazione dell’art. 2373 c.c. – norma “sostanzialmente” confermata dalla riforma del diritto societario – dal momento che non si era astenuto nonostante la sussistenza di un conflitto di interessi. Ciò avrebbe dovuto condurre all’irrilevanza, ai fini del quorum deliberativo, del voto contrario espresso dal socio e all’accertamento dell’approvazione del bilancio d’esercizio. Tali richieste venivano accolte sia in primo grado che in appello. Il socio dissenziente ricorreva, quindi, per Cassazione, eccependo, tra l’altro, la carenza di legittimazione ad impugnare in capo alla società.
Il ricorso è reputato fondato. La verifica – sottolineano i Giudici di Legittimità – deve essere condotta sulla base di quanto sancito dall’art. 2377 c.c., norma alla quale rinvia l’art. 2373 c.c. (sia nella versione applicabile al caso di specie che in quella vigente). Tale disposizione – “anche” nel testo da applicare – non annovera tra i soggetti legittimati all’impugnazione di una delibera assembleare la società dalla quale tale deliberazione promana, attribuendo tale norma la legittimazione, oltre che ai soci assenti o dissenzienti, agli amministratori o ai sindaci della società stessa. Quest’ultima, piuttosto, è ritenuta legittimata passiva nel giudizio di impugnazione (nel quale è legittimo l’intervento dei soci titolari di interesse a sostenere la validità della deliberazione), proprio perché da essa – cioè dal suo organo deliberante – promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell’impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà. Tale considerazione, peraltro, non appare smentita dall’opinione secondo la quale l’amministratore, quando impugna una deliberazione dell’assemblea, agisce pur sempre non nell’interesse proprio (salvi i casi nei quali la deliberazione lo coinvolga personalmente) bensì nell’interesse della società, in contrasto con la decisione espressa dall’assemblea. Invero, è proprio in tale contrapposizione dialettica tra organi della stessa società ai fini dell’individuazione – da parte del giudice dell’impugnazione – della volontà legittimamente imputabile all’ente che è dato scorgere la ratio della chiara scelta legislativa sottesa al disposto dell’art. 2377 c.c., con l’attribuzione della legittimazione non già all’ente – cui l’atto sul quale insorge il contrasto è già imputato, e che d’altra parte ne ha la disponibilità senza ricorrere al giudice – bensì al suo organo di gestione o di controllo che solleva il contrasto. La società non è dunque legittimata all’impugnazione della deliberazione di approvazione (o mancata approvazione) del suo bilancio.
La sentenza appare interessante non solo per questa precisazione, ma anche perché ripropone il discusso tema dell’impugnabilità delle delibere negative e, soprattutto, della possibilità di “convertire” la delibera non approvata in una delibera da considerare approvata.
La giurisprudenza prevalente ha considerato corretta la soluzione in base alla quale l’annullamento dei voti contrari all’adozione di una proposta potrebbe implicare il riconoscimento dell’illegittimità del rifiuto, ma non portare a ritenere che la proposta respinta debba ritenersi approvata; la deliberazione assembleare, quale atto corporativo, infatti, è individuata dal suo collegamento con l’organizzazione sociale e, quindi, anche dal fatto formale e oggettivo della proclamazione dei risultati della votazione, che ha pertanto carattere costitutivo e, in quanto tale, non può essere surrogato da un accertamento giudiziale (così Cass. 26 agosto 2004 n. 16999; cfr. anche Trib. Roma 10 novembre 2010).
App. Roma 29 maggio 2001, di contro, ha ammesso sia l’impugnazione della delibera negativa che la possibilità, per l’autorità giudiziaria, di dichiarare approvata la proposta precedentemente respinta. Lungo questa linea sembrano ora collocarsi entrambe le pronunce di merito che hanno anticipato la decisione oggetto di commento. Come rivela la motivazione della sentenza in esame, infatti, esse accoglievano le proposte domande di accertamento e, quindi, anche quella di approvazione della delibera con il voto favorevole espresso dai soci che non versavano in conflitto di interessi.
Sul tema, purtroppo, non torna a pronunciarsi la Suprema Corte, “frenata” dall’accertata carenza di legittimazione all’impugnazione in capo alla società.
 / Maurizio MEOLI
fonte:eutekne

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