Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

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ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
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venerdì 28 settembre 2012

2012 :Il nuovo regime Iva delle cessioni e delle locazioni dei fabbricati

Il nuovo regime Iva delle cessioni e delle locazioni dei fabbricati



L’ennesimo “decreto sviluppo” (DL 83/2012) ha riscritto interamente il regime Iva delle cessioni di beni immobili. In particolare l’articolo 9 del DL ha sostituito integralmente i numero 8-bis e 8-ter dell’articolo 10 DPR 633/1972, i quali contengono la disciplina Iva, rispettivamente delle locazione di beni immobili (abitativi e strumentali), le cessioni di immobili abitativi e le cessioni di immobili strumentali.
Per determinare se un immobile ha destinazione abitativa o meno è necessario fare riferimento esclusivamente alla categoria catastale di appartenenza. Sono considerasti immobili abitativi quelli appartenenti alla categoria catastale A, escluso A10. Gli immobili rientranti nelle altre categoria catastali, inclusa A10, sono considerati strumentali. Sul punto l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 27/E del 2006 prevede espressamente che “la distinzione tra immobili abitativi e immobili strumentali deve essere operata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, a prescindere da loro effettivo utilizzo”.
Anteriormente alla modifica legislativa, le cessioni di fabbricati abitativi era, come regola generale, esente Iva a meno che il cedente non fosse stato l’impresa costruttrice o l’impresa che abbia eseguito sullo stesso opere di ripristino (restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica) da meno di 5 anni dalla costruzione dell’immobile o dal termine dei lavori di ripristino.
Dopo la novella legislativa continua ad applicarsi tale regola con l’introduzione della possibilità, solamente per i soggetti costruttori o quelli che abbiano eseguito i predetti lavori si ripristino, di esercitare l’opzione per l’imponibilità Iva trascorsi  5 anni dalla costruzione. L’opzione per l’imponibilità Iva deve essere manifestata nell’atto di vendita.
La norma vuole favorire le imprese di costruzioni in sede di vendita dei beni invenduti, tenuto conto che sempre più spesso i beni vengono venduto dal costruttore oltre cinque anni dopo la costruzione. Per queste imprese, il vecchio regime prevedeva l’esenzione Iva con ricadute negative in termini di detrazione dell’Iva; la vendita in regime di esenzione determinava l’applicazione del pro-rata di detraibilità ai sensi dell’articolo 19, comma 5, DPR 633/1972.
D’ora in poi tali soggetti potranno applicare alla cessioni l’Iva, indipendentemente dal momento in cui cedono i beni costruiti o ripristinati, potendo così detrarre l’Iva versata durante la costruzione del bene.
Nella tabella che segue viene riassunto il regime fiscale delle cessioni di beni immobili con destinazione abitativa:


Operazione
Cedente
Cessionario
Iva
Registro
Ipotecarie e catastali
Regime
Detrazione per il cedente
Cessione di fabbricati abitativi
1) Imprese costruttrici o che vi abbiano eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica da meno di 5 anni
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Imponibile 4% (prima casa) 10% aliquota ordinaria
Ammessa
 Fissa 168 €
Fissa 168 € + 168 €
   
2) Imprese costruttrici o che vi abbiano eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica da meno di 5 anni, che hanno esercito l’opzione per l’imponibilità Iva dopo tale termine
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Imponibile 4% (prima casa) 10% aliquota ordinaria
Ammessa
 Fissa 168 €
Fissa 168 € + 168 €
 
3) Imprese diverse dalle precedenti
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Esente
Non ammessa o ammessa con il pro-rata
3% (prima casa) 7% aliquota ordinaria
Fissa 168 € + 168 € (prima casa) 2%+1% aliquote ordinarie

La modifica più rilevante riguarda le cessioni di fabbricati strumentali; per questi viene stabilita una regola di imponibilità per opzione senza vincolarla alla tipologia del soggetto che la esercita, come accade invece per le cessioni di fabbricati abitativi.
Prima della novella legislativa, le cessioni di immobili strumentali avvenivano in esenzione Iva a meno che il cedente non fosse l’impresa di costruzione o di ripristino entro i 4 anni successivi oppure per i cedenti diversi da questi quando il cessionario:
-          aveva una percentuale di detrazione Iva inferiore o uguale al 25%;
-          non era un soggetto passivo Iva.

L’opzione per l’imponibilità Iva era ammessa per i cedenti diversi dalle imprese di costruzione o di ripristino entro 4 anni dal termine della costruzione o dei lavori se il cessionario era diverso da quelli testè descritti.
Con l’entrata in vigore del DL 83/2011 lo scorso 26 giugno, le regole per l’imponibilità Iva sono state semplificate. Le cessioni di immobili strumentali sono soggetti ad Iva in due sole ipotesi;
-          qualora il cessionario sia l’impresa costruttrice del bene o via abbia eseguito i lavori di ripristino entro 5 anni dal termine della costruzione o dei lavori;
-          qualora il cedente abbia manifestato l’opzione per l’imponibilità.

Anche nel caso degli immobili strumentali, l’opzione deve essere manifestata nell’atto di vendita.

Cessione di fabbricati strumentali
1) Imprese costruttrici o che vi abbiano eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica da meno di 5 anni
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
21% aliquota ordinaria
Ammessa
 Fissa 168 €
Fissa 168 € + 168 €
 
2) Qualunque impresa che ha esercitato l’opzione per l’imponibilità Iva
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
21% aliquota ordinaria
Ammessa
 Fissa 168 €
Fissa 168 € + 168 €
 
3) Imprese diverse dalle precedenti
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Esente
Non ammessa o ammessa con il pro-rata
3% (prima casa) 7% aliquota ordinaria
Fissa 168 € + 168 € (prima casa) 2%+1% aliquote ordinarie

Lo stesso DL 83/2012 ha apportato modifiche anche all’articolo 17, comma 6, lettera a-bis) del DPR 633/1972. In tale norma era precedentemente contenuto l’obbligo del reverse charge per i cessionari di immobili strumentali, qualora il cedente avesse esercitato l’opzione per l’imponibilità oppure qualora il cessionario era un soggetto passivo con un pro-rata di detraibilità uguale o inferiore al 25%.
Con la modifica apportata, il reverse charge è ora obbligatorio, tanto per le cessioni di immobili abitativi quanto per quelli strumentali, qualora il cedente eserciti, nei limiti previsti, l’opzione per l’imponibilità Iva.
Il recente DL 83/2012 modifica strutturalmente anche la disciplina delle locazione di immobili. Infatti l’articolo 9 del DL riscrive interamente il n. 8), comma 1, dell’articolo 10 del DPR 633/1972.
Anteriormente alla modifica, il regime Iva ordinario delle locazioni di immobili era l’esenzione ad eccezione di alcune tipologie di locazione. In particolare erano soggette all’Iva (10%) le locazioni di immobili abitativi da parte delle imprese costruttrici o di ripristino (cioè quelle che hanno eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica) in attuazione di piani di edilizia convenzionata entro quattro dalla ultimazione della costruzione o dei lavori a patto che il contratto di locazione non abbia una durata inferiore a quattro anni.
Erano inoltre soggetti ad Iva (21%) le locazioni di fabbricati strumentali da chiunque concesse quando il locatario aveva una percentuale di detrazione Iva inferiore o uguale al 25% oppure non era un soggetto passivo Iva oppure il locatore aveva manifestato l’opzione per l’imponibilità.
Con l’entrata in vigore del DL 83/2012 la disciplina viene semplificata. Rimane infatti, come regola generale, l’esenzione Iva per le locazione di immobili, sia abitativi sia strumentali, affiancata da tre eccezioni. L’imponibilità Iva della locazione è riservata, previa esplicita opzione del locatore nel contratto di locazione, per i fabbricati:
-          abitativi, effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino (cioè quelle che hanno eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica) senza limite temporale;
-          abitativi, destinati ad alloggi sociali (cd. housing sociale);
-          strumentali.

Operazione
Cedente
Cessionario
Iva
Registro
Regime
Detrazione per il cedente
Locazione di fabbricati abitativi
1) Imprese costruttrici o che vi abbiano eseguito interventi di restauro e di risanamento conservativo, interventi di ristrutturazione edilizia e/o interventi di ristrutturazione urbanistica se hanno esercitato l’opzione per l’imponibilità
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Imponibile 10%
Ammessa
 Fissa 168 €
 
2) Qualunque soggetto passivo se l’immobile è destinato ad alloggio sociale
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Imponibile 10%
Ammessa
 Fissa 168 €
 
3) Imprese diverse dalle precedenti
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Esente
Non ammessa o ammessa con il pro-rata
Aliquota 2%
Locazione di fabbricati strumentali
1) Qualunque impresa che ha esercitato l’opzione per l’imponibilità Iva
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Imponibile 21%
Ammessa
 Fissa 168 €
 
2) Imprese diverse dalle precedenti
Chiunque (soggetti passivi Iva e privati)
Esente
Non ammessa o ammessa con il pro-rata
Aliquota 1%

L’Agenzia delle Entrate, considerata la recente entrata in vigore del DL 83/2012, non si è ancora pronunciata sulle modalità di esercita l’opzione per i contratti in corso alla data di entrata in vigore del DL (26 giugno 2012).
Alcuna dottrina ritiene applicabile quanto riportato nella Risoluzione 4 gennaio 2008, n. 2/E. In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate il soggetto subentrante in un contratto di locazione che non ha potuto esercitare l’opzione per l’imponibilità all’Iva in sede di registrazione del contratto, può esercitarla all’atto del sub-ingresso mediante invio di apposita raccomandata a/r al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, ove manifesta tale opzione. Si attende sul punto una pronuncia dell’agenzia delle Entrate.
FONTE:  http://www.portaleaziende.it

reddito d'impresa Per i beni in godimento, non obbligatoria la certificazione scritta di data certa

reddito d'impresa

Per i beni in godimento, non obbligatoria la certificazione scritta di data certa

In mancanza della certificazione, è possibile documentare gli elementi essenziali diversamente

/ Venerdì 28 settembre 2012
Non è obbligatoria la certificazione scritta di data certa dalla quale si evince la data di inizio dell’utilizzazione del bene. In assenza di detta certificazione, il contribuente può, in ogni caso, documentare diversamente gli elementi essenziali dell’accordo. Si ricorda che l’articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, del DL n. 138/2011, convertito dalla L. n. 148/2011, contempla una nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati fittiziamente a società. La norma può essere così riassunta:
- si tassa come reddito diverso la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore. Infatti, è stata inserita la lettera h-ter nell’articolo 67 del TUIR, rubricato come redditi diversi;
- i costi relativi ai beni concessi in godimento non sono, in ogni caso, ammessi in deduzione dal reddito imponibile delle società o dell’imprenditore.
In merito alla certificazione, la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria manifestata, peraltro, sia nella circolare n. 24 del 15 giugno 2012 sia nella circolare n. 36 del 24 settembre scorso, è alquanto criticabile.
Nella prima circolare si afferma che, per esigenza di certezza e di documentabilità, al fine di verificare gli accordi tra le parti, è opportuno che il corrispettivo annuo per il godimento del bene e le altre condizioni contrattuali risultino da apposita certificazione scritta di data certa, ma antecedente a quella di inizio dell’utilizzazione del bene. Nel secondo documento di prassi, viene precisato che gli elementi essenziali della certificazione sono l’indicazione del corrispettivo pattuito, l’inizio e la durata del godimento del bene nonché la prova documentale che detti elementi risultino in modo certo e oggettivo. In più, continua il documento, “la predisposizione di adeguata documentazione di data certa, in cui sono evidenziati i contenuti del rapporto, appare utile nel precipuo interesse delle parti, in quanto idonea ad evidenziare la mancanza di volontà di porre in essere arbitraggi fiscali sulla base di scelte di convenienza economica dell’ultimo momento. Si precisa, tuttavia, che in assenza della predetta documentazione il contribuente può, comunque, diversamente dimostrare quali sono gli elementi essenziali dell’accordo”.
Quest’ultima precisazione è salutata con favore, visto che, nella maggior parte dei casi, non risulterà accordo alcuno tra concedente e utilizzatore del bene. Tuttavia, individuare gli altri documenti utili per dimostrare l’utilizzo in godimento del bene è ardua impresa. Si possono, per esempio, utilizzare documenti bancari come bonifici o negoziazione di assegni, scambi di corrispondenza postale, fax, e-mail, posta elettronica certificata. Importante, a parere dell’Agenzia delle Entrate, che si evinca la data certa del documento, al fine di non porre in essere “arbitraggi fiscali”.
Ci si chiede quali siano le conseguenze dell’assenza totale della predetta documentazione. Occorre porre l’accento sull’argomento, visto che il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 novembre 2011, che prevede le modalità e i termini di comunicazione all’Anagrafe Tributaria dei dati relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento ai soci o familiari, stabilisce che devono essere comunicati anche i beni concessi in godimento nei periodi d’imposta precedenti al 2012, ricordando che la prima scadenza utile per comunicare i citati dati è il 31 marzo 2013.
La normativa non prevede nulla su “un’apposita certificazione”
Analizzando la normativa, questa nulla stabilisce sia per quanto riguarda la necessità di redazione di “un’apposita certificazione” sia per ciò che concerne la predisposizione di altri documenti dai quali emergono gli elementi essenziali dell’accordo; né il menzionato Provvedimento dispone in tal senso. Quindi, quest’obbligo è previsto da semplici documenti di prassi che, come già noto, vincolano (e neanche) l’Agenzia delle Entrate e non certo i contribuenti, atteso che le circolari in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi (Cass., ord. n. 14409 del 10 agosto 2012). D’altro canto, qualora l’Amministrazione finanziaria volesse controllare la posizione del contribuente, non bisogna dimenticare che l’articolo 2, comma 36-sexiesdecies, del DL n. 138/2011, dispone che, in via alternativa, l’impresa concedente, il socio o il familiare dell’imprenditore hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento. In caso di mancata comunicazione ovvero in caso di dati incompleti o non veritieri, è stabilita in solido una sanzione amministrativa pari al 30% della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo del bene concesso in godimento. Ne consegue che solo l’arma del controllo è quella che il Fisco può utilizzare, con “copertura normativa”, per verificare l’effettiva concessione in godimento del bene aziendale.

Pertanto, la mancanza di un accordo scritto di data certa tra concedente ed utilizzatore del bene difficilmente può generare l’applicazione di sanzioni amministrative. Queste, invece, possono essere applicate qualora le parti omettano di osservare le disposizioni concernenti la nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati a società utilizzati dai soci o dai familiari dell’imprenditore. In pratica, si applica la sanzione per infedele dichiarazione, sia per il concedente che per l’utilizzatore del bene, prevista dall’articolo 1, comma 2, del DLgs n. 471/1997.
 / Francesco BARONE
FONTE:EUTEKNE

Immobili Locazioni di fabbricati abitativi imponibili a IVA

Immobili

Locazioni di fabbricati abitativi imponibili a IVA

In base a quanto disposto dal DL 83/2012, inoltre, dal 26 giugno 2012 è prevista l’aliquota agevolata del 10%

/ Venerdì 28 settembre 2012
L’art. 10, primo comma, n. 8) del DPR n. 633/1972 dispone, per le locazioni di fabbricati, un generale regime di esenzione IVA, salvo codificate eccezioni.
Il novero delle eccezioni è stato recentemente oggetto di rilevanti modifiche, a seguito delle previsioni introdotte dall’art. 9 del DL n. 83/2012 convertito.
In particolare, a partire dal 26 giugno 2012 sono imponibili ad IVA le seguenti operazioni:
- locazioni, con opzione, di fabbricati abitativi effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), d) ed f), del Testo Unico dell’edilizia di cui al DPR n. 380/2011;
- locazioni, con opzione, di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali come definiti dal DM 22 aprile 2008;
- locazioni, con opzione, di fabbricati strumentali che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni.
Si ricorda che, per fabbricati abitativi, s’intendono gli edifici a destinazione abitativa classificati o classificabili nelle categorie catastali da A/1 a A/11, esclusa la A/10.
Per “alloggio sociale” s’intende, invece, l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente, che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Rientrano in tale definizione gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche (esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico), destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni e anche alla proprietà.
In ordine ad entrambe le fattispecie di locazioni di fabbricati abitativi imponibili ad IVA, è, inoltre, prevista, dal 26 giugno 2012, l’applicazione dell’aliquota agevolata del 10%, a norma del n. 127-duodevicies) della Tabella A, parte III, allegata al Decreto IVA, come sostituito dall’art. 9, comma 1, lett. c) del DL n. 83/2012.
È bene far presente che, alla luce della normativa in vigore, sono comunque esenti da IVA le locazioni di abitazioni non costituenti “alloggi sociali” realizzate da soggetti diversi dalle imprese costruttrici/ristrutturatici.
Anche le locazioni e gli affitti di fabbricati strumentali sono considerati dal legislatore, in linea generale, operazioni esenti.
Rientrano tra i fabbricati strumentali che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, gli immobili appartenenti alle categorie catastali B, C, D ed E, nonché i fabbricati classificati o classificabili nella categoria A/10.
Quel che rileva, dunque, in ordine all’individuazione in materia di IVA degli immobili strumentali, è il presupposto della loro “strumentalità per natura”, mentre non assume alcun valore a tal fine quello della “strumentalità per destinazione” che, invece, può connotare l’immobile ai fini delle imposte sui redditi.
Ebbene, per queste operazioni, il DL n. 83/2012, in vigore dal 26 giugno 2012, ha mantenuto l’applicazione di un generale regime di esenzione da IVA, il quale può essere, tuttavia, derogato, in ogni caso, mediante apposita opzione per l’imposizione.
Per i fabbricati strumentali, possibile l’opzione per l’imponibilità
Ne consegue che, a partire da tale data, gli operatori economici avranno completa libertà di scelta circa il regime applicabile alle locazioni di fabbricati strumentali per natura (esenzione o imponibilità).
L’opzione per l’imponibilità della locazione sarà effettuata soltanto se vi è una reale convenienza da parte del contribuente: ciò avviene nella maggior parte dei casi, ma vi sono anche delle ipotesi in cui non si ha interesse all’esercizio della stessa, come nel caso di locazione di un immobile acquistato da privato.
 / Lelio CACCIAPAGLIA e Francesco D'ALFONSO

iva Prestazione unica ai fini IVA anche per i servizi resi da terzi

iva

Prestazione unica ai fini IVA anche per i servizi resi da terzi

Secondo la Corte di Giustizia, gli «oneri locativi» sono accessori alla locazione dell’immobile anche se riferiti a servizi forniti non dal locatore

/ Venerdì 28 settembre 2012
La sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella causa C-392/11, depositata il 27 settembre 2012, qualifica come prestazione unitaria, nella specie esente da IVA, l’operazione avente per oggetto la locazione di un immobile strumentale e i servizi ad esso relativi, anche se resi da un soggetto diverso dal locatore.
Il caso riguarda la Field Fisher Waterhouse, law firm di matrice anglosassone che ha preso in locazione alcuni uffici a Londra. Il relativo contratto prevede che, oltre alla locazione dei locali, siano resi – dal locatore stesso – altri servizi; si tratta degli “oneri locativi”, che includono – a titolo di esempio – le utenze, le riparazioni degli ascensori, la pulizia delle parti comuni e il portierato dell’immobile.
Dai fatti in causa, si evince che la locazione è stata fatturata in regime di esenzione IVA siccome il locatore non ha esercitato l’opzione per l’imponibilità di cui all’art. 137, par. 1, lett. d), della Direttiva n. 2006/112/CE. Il locatario, cioè la law firm, ha invece ritenuto che i servizi collegati all’immobile costituissero prestazioni autonome, da assoggettare ad imposta.
La Corte Ue è stata chiamata a pronunciarsi sulla qualificazione dell’operazione come prestazione unica o meno, tenuto conto, da un lato, che alcuni servizi potrebbero essere forniti da soggetti diversi dal locatore e, dall’altro, che il mancato pagamento, da parte del locatario, degli oneri locativi dà diritto al locatore di risolvere il contratto.
È opportuno osservare che, in applicazione del principio di ripartizione delle competenze di cui all’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i giudici comunitari si sono limitati ad enunciare i principi interpretativi necessari ad orientare l’organo giurisdizionale nazionale a stabilire, in via definitiva, la natura dell’operazione in esame.
È stato, pertanto, richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza europea in base al quale, ai fini IVA, ciascuna prestazione deve essere considerata distinta e indipendente. Tale regola generale può essere derogata quando l’operazione si compone di più elementi, dovendosi così determinare se gli stessi siano distinti oppure costituiscano un’unica prestazione. Quest’ultima ipotesi ricorre in due casi, segnatamente in presenza di un rapporto di accessorietà, cioè quando una prestazione si considera principale, mentre l’altra è ad essa accessoria, nonché quando le prestazioni rese siano talmente connesse da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale (Corte di Giustizia, causa C-41/04, Levob Verzekeringen e OV Bank).
Calando i principi di cui sopra nel caso materiale, la Corte Ue propende per l’unicità della prestazione avuto riguardo, allo stesso tempo, all’aspetto formale, rappresentato dal contenuto del contratto di locazione, e all’aspetto sostanziale, vale a dire la ragione economica sottesa alla sua stipula, essendo innegabile che il locatario abbia voluto non soltanto ottenere il diritto di occupare l’immobile, ma anche di beneficiare di un insieme di servizi resi dal locatore.
L’unicità, in particolare, discende dal nesso di accessorietà che lega i servizi (prestazioni secondarie) alla locazione (prestazione principale); tant’è che i giudici comunitari giustificano la conclusione raggiunta affermando, alla luce della giurisprudenza in materia, che “non si può apprezzare che l’ottenimento delle prestazioni di servizi in parola costituisca un fine a sé stante per il locatario medio di locali come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, ma costituisca piuttosto il mezzo per fruire, nelle migliori condizioni, della prestazione principale, cioè della locazione di superfici commerciali” (punto 23).
Particolare rilevanza viene, pertanto, ad assumere l’ulteriore principio sancito dalla pronuncia in rassegna, ossia che l’unicità della prestazione non può essere esclusa per il semplice fatto che i servizi, anziché dal locatore, potrebbero essere resi da un terzo. Si tratta di un’indicazione che merita attenzione perché dimostra la legittimità, sotto il profilo della compatibilità con l’ordinamento comunitario, dell’art. 9, comma 4, della L. n. 392/1978 (legge sull’equo canone, applicabile però agli immobili abitativi), secondo il quale gli oneri condominiali, se addebitati dal locatore al conduttore, devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione. Sul punto, la sentenza RLRE Tellmer Property (causa C-572/07) era invece giunta alla conclusione esattamente opposta, escludendo il regime di esenzione applicato al servizio di pulizia degli spazi comuni di un edificio concesso in locazione nel presupposto, tra l’altro, che il medesimo “può essere fornito con modalità diverse, in particolare, da un terzo che fatturi il costo di detto servizio direttamente ai locatari o dal proprietario che impieghi a tale scopo il suo personale o che faccia ricorso ad un’impresa di pulizie” (punto 22).
 / Marco PEIROLO
FONTE: EUTEKNE

riforma fiscale La riforma fiscale potrebbe approdare alla Camera il 9 o 10 ottobre

riforma fiscale

La riforma fiscale potrebbe approdare alla Camera il 9 o 10 ottobre

Da martedì prossimo, la Commissione Finanze comincerà a votare gli oltre 300 emendamenti al Ddl. delega, ma non è escluso il voto di fiducia

/ Venerdì 28 settembre 2012
A partire da martedì prossimo, la Commissione Finanze della Camera inizierà a votare gli emendamenti al Ddl. delega fiscale, e avrà una settimana di tempo per licenziare il provvedimento.
Intanto, si è conclusa ieri la discussione generale e sono stati dichiarati inammissibili 11 proposte di modifica su un totale di 320. Nessun emendamento è stato presentato dal Governo o dal relatore, che, però, potranno proporre modifiche in qualunque momento. La tabella di marcia serrata stabilita da Montecitorio prevede, come stabilito dalla conferenza dei capigruppo, l’avvio della discussione generale in Aula il 9 o 10 ottobre.
Anche se c’è chi è già pronto a scommettere che l’unica strada per il via libera sia blindare il Ddl. mediante voto di fiducia: il rischio sarebbe infatti quello di “scontrarsi” con la sessione di bilancio, che dovrebbe partire a breve a Montecitorio.
“Il mio giudizio sugli emendamenti è nel complesso positivo – ha commentato il relatore al testo Alberto Fluvi – non c’è nulla di scandaloso”. I gruppi, comunque, per consentire il rispetto del calendario, si sono impegnati a segnalare entro martedì le proposte prioritarie tra quelle presentate.
Nel dettaglio, in cima alla lista dei temi sui quali concentrare l’attenzione, per il Pd vi sarebbe la richiesta d’inserire nel provvedimento il Fondo “salva tasse”, creato dall’ex Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, con l’obiettivo di ridurre il Fisco a carico di dipendenti e pensionati attraverso i proventi della lotta all’evasione. Il Pd chiede infatti d’incardinare all’interno della nuova legge di finanza pubblica le previsioni sulle somme che saranno recuperate dalla lotta all’evasione e che potranno andare al fondo.
Sotto la lente di ingrandimento c’è poi la riforma del Catasto, con la richiesta di garanzie, da parte parlamentare, che tale revisione porti a un’invarianza della pressione fiscale, soprattutto per quanto riguarda la prima casa.
Inoltre, si potrebbe prevedere la possibilità di ricorrere alla giurisdizione amministrativa per affrontare nel merito i ricorsi per le tariffe applicate ritenute inique.
Si punterebbe sulla non rilevanza penale dell’abuso del diritto
Ancora, si punterebbe a fare in modo che le nuove norme sull’abuso del diritto comprendano anche l’irrilevanza penale: esigenza, questa, espressa soprattutto dal Pdl, mentre il Pd sembrerebbe più orientato a un “parere” preventivo, che i contribuenti dovrebbero chiedere all’Amministrazione finanziaria per evitare situazioni di elusione.
Si chiede poi anche una norma di coordinamento tra i decreti attuativi della delega fiscale e quelli che mancano sul federalismo fiscale. In particolare, la richiesta sarebbe di omogeneizzare le addizionali IRPEF regionali e comunali.
Infine, tra i nodi che la Commissione si troverà a dover affrontare ne esiste poi uno bipartisan: si tratta della riorganizzazione delle Agenzie fiscali, voluta dal Governo, che però non convince i deputati, che non concordano sulla necessità dell’accorpamento delle strutture.
 / REDAZIONE
FONTE:EUTEKNE

accertamento Il credito d’imposta si recupera solo con lo specifico avviso

accertamento

Il credito d’imposta si recupera solo con lo specifico avviso

Se, dopo la notifica dell’avviso, vengono iscritte a ruolo le stesse somme a seguito della liquidazione automatica ex art. 36-bis, c’è doppia imposizione

/ Venerdì 28 settembre 2012
Si verifica un’illegittima doppia imposizione se l’Amministrazione finanziaria, dopo aver notificato l’apposito avviso di recupero del credito d’imposta indebitamente utilizzato dal contribuente, iscrive a ruolo le stesse somme a seguito della liquidazione automatica della dichiarazione ex art. 36-bis. Lo ha stabilito la C.T. Reg. di Bari, con la sentenza n. 27/5/12 del 19 aprile 2012.
Nel caso affrontato dai giudici di merito, l’Ufficio, avendo accertato l’insussistenza dei presupposti per la fruizione del credito d’imposta per investimenti agevolati nelle aree svantaggiate, aveva notificato al contribuente l’apposito avviso di recupero. Avverso tale atto era stato promosso un ricorso, in esito al quale il provvedimento veniva annullato, anche in appello (il giudizio pendeva in Cassazione).
Nella frattempo, l’Amministrazione Finanziaria, sulla base del controllo automatizzato della dichiarazione ex art. 36-bis del DPR 600/1973, iscriveva a ruolo le somme derivanti dal disconoscimento del predetto credito d’imposta e, quindi, al contribuente veniva notificata la relativa cartella di pagamento. Quest’ultima veniva tempestivamente impugnata, perché, secondo il ricorrente, violava il divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 del DPR 600/1973, in base al quale la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto.
I giudici baresi hanno stabilito che, in effetti, l’Ufficio aveva violato la prefata disposizione, atteso che l’oggetto dell’avviso di recupero e quello della cartella di pagamento era lo stesso, ovvero il credito d’imposta che secondo il Fisco era stato indebitamente utilizzato dal contribuente.
In sostanza, si potrebbe affermare che la stessa pretesa tributaria era stata azionata due volte: una con l’avviso di recupero, poi impugnato dal contribuente, e l’altra con la cartella di pagamento oggetto della pronuncia in commento. Perciò, la Commissione ha ritenuto fondata la censura del contribuente circa la doppia tassazione così subita.
Il collegio d’appello, peraltro, ha anche ricordato che, al fine di recuperare il credito d’imposta, l’Ufficio non avrebbe comunque potuto ricorrere alla procedura di cui al predetto art. 36-bis, dovendo procedere, invece, ai sensi dell’art. 1, comma 421, della L. 311/2004, alla notifica di un apposito avviso di recupero motivato, così come, infatti, aveva già operato in precedenza.
Mette conto di ricordare che il predetto comma 421 reca la disciplina per il recupero dei crediti d’imposta previsti dalle legge speciali (bonus assunzioni, bonus ricerca e sviluppo, ecc.). In particolare, essa prevede che l’Agenzia delle Entrate possa emanare appositi avvisi di recupero dei crediti d’imposta utilizzati anche in compensazione, e che tali atti siano motivati e notificati ex art. 60 del DPR 600/1973; rimangono, peraltro, fermi tutti gli altri poteri e attribuzioni previsti da quest’ultimo decreto, e la riscossione deve avvenire nel rispetto del DPR 602/1973. Le somme devono essere versate entro il termine indicato nell’atto, comunque non inferiore a sessanta giorni.
L’Amministrazione finanziaria, pertanto, non può recuperare i crediti d’imposta (speciali) avvalendosi della procedura prevista per la liquidazione automatica della dichiarazione, ma deve utilizzare quella stabilita per gli atti di accertamento, di cui gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta ne sono una specie.
Gli avvisi di recupero hanno natura accertativa
Del resto, in più occasioni, la Suprema Corte ha confermato che tali avvisi di recupero, già utilizzati dall’Amministrazione finanziaria anche prima della L. 311/2004, hanno natura accertativa (cfr. Cass. 6582/2011, 22322/2010, 13858/2010). Conformemente, la dottrina li ha definiti quali provvedimenti amministrativi di natura decisoria e con efficacia dichiarativa, tendenti ad accertare la sussistenza o meno dei requisiti e delle condizioni legali da cui deriva il diritto all’agevolazione.
 / Alessandro BORGOGLIO
FONTE:EUTEKNE

iva Per l’esenzione delle cessioni intra-Ue, la «sostanza» prevale sulla forma


iva

Per l’esenzione delle cessioni intra-Ue, la «sostanza» prevale sulla forma

La Corte di Giustizia ha ribadito che, ai fini dell’esenzione dall’IVA, la presenza dei requisiti sostanziali conta più delle mancanze formali

/ Venerdì 28 settembre 2012
La Corte di Giustizia, con la sentenza 27 settembre 2012, procedimento C-587/10, chiarisce che il principio di non imponibilità che contraddistingue gli scambi intracomunitari enunciato dall’art. 28-quater, punto A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non vieta all’Amministrazione tributaria di uno Stato membro di subordinare l’“esenzione” dall’imposta di una cessione intracomunitaria alla comunicazione, da parte del fornitore, del numero d’identificazione IVA dell’acquirente. Tuttavia, se da un lato questa è la regola principale, dall’altro lato il diniego dell’esenzione non può essere opposto unicamente sulla base del fatto che il suddetto obbligo non è stato rispettato.
Qualora, infatti, il fornitore non possa comunicare il numero identificativo dell’acquirente, e previa verifica sull’esatta adozione di tutte le misure necessarie al reperimento del codice, può tuttavia fornire “indicazioni idonee a dimostrare sufficientemente che l’acquirente è un soggetto passivo che agisce in quanto tale nell’ambito dell’operazione (oggetto di esenzione)”, non “subendo” dunque la negazione dell’agevolazione (rectius, non imponibilità) nel caso in cui abbia correttamente rispettato gli ulteriori presupposti richiesti dalla normativa ai fini del godimento dell’esenzione (in ambito nazionale non imponibilità) negli scambi intracomunitari.
L’art. 28-quater citato non impone espressamente, ai fini dell’esenzione, che l’acquirente operi con un numero individuale d’identificazione, poiché è sufficiente che l’acquirente sia un “soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”.
Come indicato nella sentenza 27 settembre 2007, C-146/05 (Collée), subordinare il diritto all’esenzione dall’IVA di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali eccederebbe quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta. Infatti, il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni requisiti di forma sono stati omessi da parte dei soggetti passivi “e la situazione sarebbe diversa solo se la violazione di requisiti formali siffatti avesse l’effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, sempreché, tuttavia, il fornitore dei beni non abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA”. In tale ultima ipotesi, proprio i giudici della Corte escludono che il contribuente possa validamente chiamare a proprio conforto il principio di neutralità fiscale che è alla base della detrazione e, quindi, della stessa natura dell’IVA (cfr. Corte di giustizia CE, causa C-45/01, Dornier del 2003, punti 42 e 69).
La supremazia della forma sulla sostanza deve essere giustificata
Identica conclusione viene adottata dalla Corte nel recente procedimento 6 settembre 2012 (Mecsek-Gabona), ove si legge che, nonostante il numero di identificazione IVA fornisca la prova dello status fiscale del soggetto passivo e, quindi, consenta un miglior monitoraggio degli scambi intracomunitari, lo stesso rappresenta un requisito formale e, di conseguenza, la sua assenza non dovrebbe mettere in discussione l’esenzione dell’operazione se ricorrono tutti i requisiti di una cessione intracomunitaria.
In conclusione, favorendo una lettura a contrariis della sentenza, si ricava che la supremazia della forma sulla sostanza nell’IVA (in particolare nel regime delle esenzioni e delle detrazioni) non deve essere in ogni caso cieca, ma giustificata dal suo utilizzo per gli scopi indicati dalla legislazione comunitaria: ossia, se la violazione dei requisiti di forma prescritti dal diritto nazionale non coincide con gli scopi perseguiti dalla direttiva, ovvero favorisce la crescita di frodi e all’esatta riscossione delle imposte.
 / Vincenzo CRISTIANO e Manuela SODINI
FONTE:EUTEKNE
Riscossione

La Cassazione dà il via libera alla duplicazione della cartella di pagamento

Sempre possibile la rinotifica della cartella nei casi di vizio di notifica

/ Giovedì 27 settembre 2012
A quanto consta, per la prima volta, i giudici di Cassazione, con la sentenza n. 16370 di ieri, si sono pronunciati sulla legittimità della condotta di Equitalia consistente nella rinotifica di una cartella di pagamento già emessa. Per le ragioni che seguono, le conclusioni cui la Suprema Corte giunge destano moltissime perplessità, e comportano effetti estremamente pregiudizievoli per i contribuenti che, di fatto, rimangono privi di tutela.
Come premessa, è bene precisare che il caso non riguarda l’avvenuto annullamento del ruolo ad opera della Commissione tributaria: in tale ipotesi, è chiaro che Equitalia non può riemanare la cartella, in quanto spetterebbe all’ente impositore formare un nuovo ruolo privo del vizio che lo affliggeva (senza che ciò costituisca una violazione del decisum), e, solo a questo punto e fermi restando i termini decadenziali di cui all’art. 25 del DPR 602/73, lei potrebbe provvedere alla rinotifica.
Il caso, da quel che si evince dal quesito posto dal ricorrente, concerne il “valutare se [...] sia nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento riemessa e notificata [...] in presenza del suo pregresso annullamento [...] sentenziato dal giudice tributario con statuizioni ancora cogenti rese in un antecedente processo tuttora pendente [...] senza che il primo esemplare della stessa cartella sia mai stato annullato dal [...] concessionario”.
Allora, la fattispecie dovrebbe essere la seguente: Equitalia notifica la cartella; il contribuente impugna sollevando, tra l’altro, il vizio di notifica; la Provinciale, sulla sola base del vizio di notifica, annulla la cartella, e, successivamente ma prima della formazione del giudicato, Equitalia rinnova la notifica della cartella di pagamento. Delineato il fatto, la Cassazione afferma che il comportamento è legittimo perché Equitalia non duplica la pretesa ma semplicemente rinnova la notifica. Insomma, la cartella di pagamento ben può essere notificata anche dieci volte, tanto l’atto è sempre il medesimo: questo è ciò che pare emergere dalla sentenza.
La ratio decidendi considera la cartella alla stregua di una lettera di cortesia, quasi che si trattasse di una semplice intimazione di pagamento tra privati, ove è palese che la lettera, che sia notificata una o venti volte, ha sempre il medesimo effetto. Invece, per le cartelle di pagamento tutto cambia, siccome si devono a nostro avviso applicare i principi varie volte affermati (sempre per gli avvisi di accertamento) dalla stessa Cassazione in tema di autotutela sostitutiva; pertanto:
- se la cartella viene impugnata, sino a quando non si forma il giudicato, Equitalia, fermi restando i termini di decadenza, ben può rinotificare la cartella priva del vizio invalidante (notifica, sottoscrizione), ma, appare logico dirlo, previo annullamento della precedente cartella, in tal modo il processo pendente sarebbe estinto per cessazione della materia del contendere e il contribuente dovrebbe impugnare la nuova cartella;
- se la cartella emessa per prima non viene annullata ci sono due cartelle di pagamento, quindi è per forza presente una duplicazione della pretesa, pretesa che magari non verrà azionata due volte, ma che comunque non può essere accettata trattandosi di cartelle di pagamento e non di lettere di cortesia.
Accettando il ragionamento dei giudici, viene spontaneo chiedersi cosa dovrebbe fare il contribuente che, a processo instaurato, si vede notificare un’altra cartella. Ragionando correttamente, se la cartella è stata annullata dal giudice, Equitalia deve o annullare la cartella medesima e rinotificarne un’altra (ma c’è il problema dei termini di decadenza) o appellare la sentenza contro la prima cartella.
Lascia ancora più perplessi l’ultima affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui la rinotificazione non richiede ragioni giustificative, in quanto queste sono rinvenibili nella funzione della notificazione, che è quella di cristallizzare la pretesa per decorso dei termini di impugnazione. Ma se così è, allora la seconda cartella di pagamento viene definitiva se non la si impugna entro i 60 giorni? Se al contribuente vengono notificate tre cartelle, tanto come dice la Cassazione sempre di una pretesa sola si tratta, da quando bisogna computare il termine di sessanta giorni?
Il discorso, si rileva, prescinde dalla pendenza del giudizio: se, magari prima che decorrano i 60 giorni per il ricorso, Equitalia si accorge che la cartella è notificata male, non può semplicemente notificarne un’altra, ma deve notificare al contribuente l’annullamento della cartella e provvedere alla rinotifica in maniera corretta. Così è anche certo che il termine per il ricorso decorre dalla seconda cartella, siccome la prima non c’è più (non rileva il numero della cartella, che ha valenza solo interna, ma la legittimità sostanziale della condotta dell’agente della riscossione).
Rincuora il fatto che esista una giurisprudenza che ha nettamente preso le distanze da tale ragionamento, in quanto è stato sancito che l’emissione di due cartelle identiche è una duplicazione d’imposta (C.T. Reg. di Torino 10 giugno 2008 n. 36, sezione 15).
 / Alfio CISSELLO
FONTE:EUTEKNE

accertamento Se la verifica è «a tavolino», non spettano le garanzie a tutela del contribuente


accertamento

Se la verifica è «a tavolino», non spettano le garanzie a tutela del contribuente

La Cassazione ha stabilito che i diritti previsti dall’art. 12 della L. 212/2000 spettano solo nei casi di verifiche nella sede del contribuente

/ Giovedì 27 settembre 2012
I diritti e le garanzie previsti dallo Statuto del contribuente (L. 212/2000) a tutela del soggetto sottoposto a verifica fiscale non si applicano nel caso dei cosiddetti controlli “a tavolino”, ovvero tutte le volte in cui l’attività ispettiva del Fisco non venga espletata direttamente presso la sede del contribuente, ma sia effettuata presso l’Ufficio dell’Amministrazione finanziaria.
A tale conclusione è giunta la Cassazione, con la pronuncia n. 16354 di ieri, 26 settembre 2012.
Si ricorda che l’art. 12 della L. 212/2000 stabilisce le diverse garanzie poste a salvaguardia del contribuente sottoposto a verifica fiscale: esse si estrinsecano sostanzialmente nel diritto di essere informato circa le ragioni dell’accesso presso la sua sede, di farsi assistere dal proprio consulente durante le operazioni ispettive, di richiedere che l’esame dei documenti venga effettuato presso l’organo procedente, e di formulare osservazioni che vengano registrate nei verbali. Inoltre, come noto dal fervente dibattito dottrinale in corso, tale art. 12 fissa limiti temporali alla durata delle attività ispettive presso la sede del contribuente, prevede la possibilità di rivolgersi al Garante del contribuente in caso di comportamenti irrituali, e – altra facoltà ormai nota – vieta l’emissione dell’avviso di accertamento prima di sessanta giorni dal rilascio del PVC, termine entro il quale possono essere depositate memorie da parte del contribuente.
I giudici di merito si sono spesso occupati dell’estendibilità delle sopra illustrate garanzie statutarie anche alle cosiddette indagini a tavolino, ovvero in tutti questi casi in cui non vi sia stata attività ispettiva presso la sede del contribuente – tipicamente attraverso accessi o verifiche fiscali – ma il controllo sia avvenuto presso l’Ufficio dell’Amministrazione finanziaria. La giurisprudenza di merito ha affrontato la questione, in particolare, in relazione al termine sospensivo di sessanta giorni dal rilascio del PVC prima dell’emissione dell’atto impositivo, stabilendo, in alcuni casi, che tale tutela (e, quindi, la sospensione de qua) vale anche nelle ipotesi in cui la verifica fiscale non si sia concretizzata in materiali accessi dei funzionari presso le sedi ove viene esercitata l’attività del contribuente, ma si sia esplicata in un’attività interna d’Ufficio (cfr. C.T. I° Trento 7 febbraio 2011 n. 7/5/11, C.T. Prov. Milano 10 maggio 2010 n. 126); in altre occasioni, tuttavia, è stato stabilito l’esatto contrario, ovvero che il diritto di ottenere la sospensione di sessanta giorni vale soltanto nel caso di accessi, ispezioni e controlli presso la sede del contribuente (cfr. C.T. Prov. Reggio Emilia 16 maggio 2012 n. 44/4/12, C.T. Reg. Torino 14 aprile 2011 n. 27/34/11).
La Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata sulla questione, stabilendo in modo tranchant che i diritti previsti dal succitato art. 12 sono riservati “esclusivamente” alle ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”.
Di conseguenza, le predette garanzie non operano nel caso di attività di verifica e controllo effettuata dagli Uffici in base all’esame della dichiarazione fiscale, ovvero nel caso di attività di accertamento iniziata a seguito di segnalazioni, rapporti, comunicazioni ricevute da altri organismi od autorità, ovvero dalla polizia giudiziaria che ha operato nell’ambito di indagini penali, o ancora nel caso di accertamento effettuato in base a documenti ed elementi acquisiti a seguito di richieste, questionari od inviti notificati da parte dell’Amministrazione finanziaria: in tutti questi casi, infatti, gli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria sono stati acquisiti dal Fisco con modalità diverse dagli accessi, ispezioni e verifiche presso i locali di esercizio dell’attività del contribuente.
Rimarrebbe da chiarire, allora, la sola ipotesi “intermedia” tra controllo “a tavolino” e verifica fiscale presso il contribuente, ovvero quella in cui l’Amministrazione finanziaria abbia posto in essere un “accesso breve” (solitamente di un giorno) per acquisire la documentazione da controllare poi in Ufficio (di fatto, quindi, si tratterebbe di un controllo postumo “a tavolino”).
Alla stregua del principio fissato dalla Suprema Corte sembrerebbe che, in tal caso, spettino le garanzie statutarie in oggetto, dato che gli elementi posti a fondamento della pretesa sono necessariamente quelli acquisiti durante l’accesso presso la sede del contribuente. In tal senso, peraltro, si era già espressa la C.T. Reg. di Milano, che, con la sentenza 38/38/11, era giunta alla conclusione per cui ogni verifica fiscale, comportante anche soltanto un accesso breve presso il contribuente e non l’intero controllo presso la sua sede, deve concludersi sempre con la stesura di un processo verbale di constatazione, in quanto ciò è strumentale a rendere edotto il contribuente degli esiti della verifica nonché a consentirgli di produrre memorie difensive entro sessanta giorni dalla consegna del verbale e, quindi, ad esercitare il diritto previsto dall’art. 12, comma 7, della L. 212/2000 (che, pertanto, trova applicazione anche in tale ipotesi).
 / Alessandro BORGOGLIO
FONTE:EUTEKNE

iva Per la compensazione «orizzontale», modello IVA entro il 30 settembre


L’Assonime, con la circ. 24 di ieri, passa in rassegna novità, termini e modalità di compilazione della dichiarazione

/ Giovedì 27 settembre 2012
A pochi giorni dal termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA 2012, e più in generale del modello UNICO 2012, Assonime interviene - con la circ. n. 24/2012 - commentando le principali novità che interessano le modalità e i termini di presentazione del modello IVA, nonché le peculiarità di compilazione.
La prima questione affrontata riguarda i vincoli alla compensazione orizzontale del credito IVA annuale o trimestrale, su cui Assonime, dopo aver ricordato l’abbassamento a 5.000 euro quale soglia massima di compensazione “libera” (ossia anche prima della presentazione della dichiarazione IVA annuale o del modello TR), e la possibilità di presentare la dichiarazione IVA in forma autonoma anche per i soggetti che chiudono a debito o a saldo zero la dichiarazione, sottolinea che, per poter operare la compensazione orizzontale del credito eccedente la predetta soglia già a partire dal 16 ottobre, è necessario presentare in via telematica il modello entro il prossimo 30 settembre, e non il 1° ottobre 2012, pena lo “slittamento” al 16 novembre della prima data utile per poter effettuare l’anzidetta compensazione.
La seconda questione “procedurale” riguarda le stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, per le quali la dichiarazione IVA deve essere composta di due moduli: uno relativo alle operazioni effettuate dalla stabile organizzazione (fatturate con una distinta serie di numerazione) e l’altro finalizzato ad accogliere le operazioni effettuate direttamente dal soggetto estero utilizzando la partita IVA della stabile organizzazione. A corollario di ciò, Assonime rammenta che, a partire dal 26 settembre 2009 (per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 11 del DL 135/2009), il soggetto non residente con stabile organizzazione in Italia non può più nominare nel nostro territorio un rappresentante fiscale, né identificarsi direttamente, in quanto la posizione IVA della stabile organizzazione “assorbe” tutte le operazioni (per le questioni transitorie, si veda la risoluzione Agenzia delle Entrate n. 108/2011).
Per quanto concerne le novità nella compilazione dei modelli, Assonime segnala principalmente quanto segue:
- nel quadro VA, relativo alle informazioni generali, sono stati inseriti i nuovi righi da VA20 a VA26, finalizzati all’inserimento degli estremi dei rapporti finanziari, bancari o postali intrattenuti dal soggetto passivo, al fine di poter fruire della riduzione alla metà delle sanzioni previste per la violazione degli obblighi di dichiarazione e di documentazione ai fini IVA ed imposte sui redditi (art. 2, comma 36-vicies ter, del DL n. 138/2011), la cui compilazione a parere di Assonime è facoltativa in quanto condizione per fruire del suddetto “sconto”;
- nel quadro VE, dedicato al volume d’affari, oltre all’inserimento di un apposito rigo (VE23) destinato all’accoglimento delle operazioni con aliquota IVA del 21% effettuate a partire dal 17 settembre 2011, a seguito dell’incremento dell’aliquota ordinaria dal 20% al 21% (art. 2, comma 2, del DL 138/2011), è stato modificato il rigo VE34, con l’inserimento dei nuovi campi 6 e 7, in cui devono indicarsi le operazioni in reverse charge, effettuate dal 1° aprile 2011, relative alla cessione di telefoni cellulari e di dispositivi a circuito integrato. Si ricorda, a tale proposito, che l’Agenzia delle Entrate (circ. n. 59/2010) ha precisato che sono escluse dall’inversione contabile le cessioni effettuate dai commercianti al minuto (art. 22 del DPR 633/72), nonché quelle effettuate da soggetti diversi nei confronti di consumatori finali;
- nel quadro VJ, destinato ad accogliere l’imposta a debito relativa alle operazioni in reverse charge, sono stati aggiunti i nuovi righi VJ15 e VJ16, relativi agli acquisti dei suddetti beni (cellulari e dispositivi a circuito integrato) da parte degli acquirenti che hanno applicato l’imposta con il regime dell’inversione contabile;
- nel quadro VF, infine, sono stati introdotti il nuovo rigo VF12 relativo agli acquisti con aliquota 21% e il nuovo rigo VF18 in cui indicare l’imponibile degli acquisti, intracomunitari e interni, di beni e servizi con detrazione ridotta o esclusa ai sensi dell’art. 19-bis1 del DPR 633/72, o di altre disposizioni (nel rigo VF19, invece, confluiscono gli acquisti e le importazioni con imposta indetraibile in quanto afferenti ad operazioni esenti).
 / Sandro CERATO
FONTE:EUTEKNE

Accertamento Sanzione da dichiarazione infedele applicabile anche con perdite pregresse

Accertamento

Sanzione da dichiarazione infedele applicabile anche con perdite pregresse

Per la Cassazione, l’Agenzia delle Entrate non può, d’ufficio, riconoscere tali perdite

/ Giovedì 27 settembre 2012
Le sanzioni per infedele dichiarazione devono essere applicate anche qualora il maggior reddito accertato sia compensabile mediante l’utilizzo di perdite pregresse.
Questo sembra essere il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16333 depositata ieri.
Da quanto si può evincere dal testo della sentenza, sembra che l’oggetto del contendere sia circoscritto alla debenza delle sanzioni per infedele dichiarazione, in un caso in cui si era in presenza di perdite pregresse che avrebbero condotto all’azzeramento del maggior reddito accertato.
Se così stanno le cose, vagliando la questione sotto il solo profilo sanzionatorio, il principio può essere dovuto al fatto che, una volta accertato un maggior reddito, scatta l’infedele dichiarazione, a prescindere dalla presenza di perdite.
Tale assunto potrebbe prendere le mosse dal fatto che, di norma, la possibilità, o meglio la necessità di computare le perdite pregresse onde eventualmente “azzerare” il maggior reddito accertato è questione che attiene alla legittimità dell’accertamento, in altri termini alla parte “sostanziale” e non “sanzionatoria” dell’atto.
I giudici, però, affermano che la sanzione non è dovuta poiché l’Ufficio non potrebbe comunque riconoscere autonomamente le perdite pregresse, “in quanto, come risulta dall’art. 102 (ora 84) del TUIR, al contribuente è riservata una facoltà di scelta - da esercitare mediante una chiara indicazione nella dichiarazione, pacificamente inesistente nella fattispecie - in ordine al periodo d’imposta (purché non oltre il quinto) nel quale utilizzare in compensazione le perdite disponibili”.
Viene richiamata la sentenza 7294/2012, che riguarda, però, l’emendabilità della dichiarazione, quindi un caso non perfettamente coincidente con quello in esame.
Su questa affermazione si può discutere, siccome esistono precedenti in senso diametralmente opposto, ove la stessa Cassazione ha rigettato la tesi erariale, secondo cui la perdita può essere utilizzata solo se tale volontà sia manifestata in dichiarazione, affermando che, alla luce della capacità contributiva, l’ufficio “deve tenere conto della mancata parziale utilizzazione delle perdite relative ad esercizi precedenti, purché comprese nel quinquennio, in quanto il fine degli organi tributari è accertare il tributo effettivamente dovuto, in osservanza a tutte la previsioni di legge” (Cass. 30 giugno 2010 n. 15452).
Questione diversa se si trattasse di minor perdita
Tanto premesso, è il caso di soffermarsi su di un aspetto che, almeno per quanto ci sembra, non è quello accaduto nella specie, riguardante l’irrogabilità delle sanzioni da dichiarazione infedele ove l’accertamento si sia chiuso con una minore perdita.
Secondo la dottrina, ove l’ufficio accerti una minor perdita, la sanzione non potrebbe essere irrogata in relazione al periodo d’imposta accertato, siccome non sussisterebbe la base di calcolo per la sanzione stessa, costituita dal “reddito imponibile inferiore a quello accertato” o da “un’imposta superiore a quella dovuta”.
Per questo motivo, l’irrogazione, con tutti i problemi che ciò comporta in merito alla delineazione del termine per la contestazione, dovrebbe riguardare l’esercizio in cui la perdita è stata riportata, siccome si ha una rettifica in aumento del reddito imponibile solo se la perdita riportata a nuovo è utilizzata per ridurre la base imponibile di periodi d’imposta successivi.
 / Alfio CISSELLO
FONTE:EUTEKNE

mercoledì 26 settembre 2012

riscossione In arrivo un Ddl. contro le «cartelle pazze»

riscossione

In arrivo un Ddl. contro le «cartelle pazze»

Il pacchetto potrebbe già essere approvato oggi in Commissione Finanze al Senato, ma Pdl e Lega chiedono di rivedere il capitolo sulle ganasce fiscali

/ Mercoledì 26 settembre 2012
Niente più “cartelle pazze”. Potrebbe arrivare già nella giornata di oggi, infatti, il primo “via libera” parlamentare al Ddl. predisposto dal comitato ristretto della Commissione Finanze del Senato, per porre fine a un fenomeno che continua a costare tempo e denaro ai contribuenti.
Stando alle indiscrezioni, il testo – probabilmente destinato a confluire in uno dei prossimi provvedimenti governativi – prevede l’annullamento automatico delle cartelle errate. Il cittadino vittima di un “equivoco” fiscale potrà presentare all’agente della riscossione una dichiarazione che smentisca la bontà della cartella, entro 90 giorni dalla notifica, dopodiché – entro i successivi 10 giorni – lo stesso agente dovrà rivolgersi all’ente impositore per chiedere gli opportuni chiarimenti. La risposta dell’ente deve arrivare entro due mesi; in caso contrario le cartelle saranno annullate, trascorsi 220 giorni dalla presentazione della domanda. Quanto alla decorrenza, la novità dovrebbe essere retroattiva e valere anche per i destinatari di cartelle precedenti all’entrata in vigore.
“Abbiamo fatto un gran lavoro come Commissione per dare un minimo di tutela ai contribuenti che, nonostante le garanzie dello Statuto, sono vessati e spesso anche perseguitati. È una norma di civiltà”, è stato il commento del senatore dell’Idv Elio Lannutti. Se l’intento è, dunque, quello di agevolare i contribuenti nella contestazione delle somme non dovute, i promotori hanno pensato anche ad un meccanismo sanzionatorio contro gli abusi: ai trasgressori toccherebbero la responsabilità penale e una sanzione amministrativa dal 100 al 200% dell’importo, con un minimo di 258 euro.
Come detto, il Governo starebbe valutando l’ipotesi di inserire il pacchetto di misure in un provvedimento più ampio, così da arrivare più in fretta all’approvazione definitiva. L’alternativa, sempre per scongiurare l’esame in Aula, sarebbe quella di mantenere il pacchetto in Commissione in sede deliberante e accelerare il passaggio alla Camera.
Si va verso una soluzione di compromesso
Il testo potrebbe, intanto, incassare il placet della Commissione Finanze di Palazzo Madama già oggi, ma perché ciò avvenga restano da convincere i senatori della Lega per quanto concerne l’attenuazione delle ganasce fiscali. Il capitolo andrebbe infatti riscritto (o attenuato) per soddisfare le richieste di parte del centrodestra, contrario all’abrogazione tout court di quanto predisposto sul tema dal Governo Berlusconi, ossia la previsione che siano necessari due solleciti di Equitalia, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, per innescare le ganasce fiscali su debiti d’importo inferiore a 2mila euro.
La Lega si dice contraria ad abrogare la norma dal testo, trovando d’accordo parte del Pdl (altri gruppi di centrodestra sarebbero invece favorevoli). Si delinea, sul punto, la possibilità di un emendamento di “mediazione”, che dimezzerebbe i tempi tra gli avvisi da sei a tre mesi, oltre a ridurre a 1.000 euro il tetto. In questo modo, la Commissione dovrebbe essere unanime e pronta a licenziare la proposta di legge. Secondo il relatore del Pdl Salvatore Sciascia, nel caso in cui la questione dovesse pregiudicare la rapidità dell’iter, si opterà per la soluzione più radicale.
 / Rossella QUARANTA
fonte:eutekne