reddito d'impresa
Deducibili solo le sponsorizzazioni «legate» all’attività aziendale
Occorre un nesso tra attività dello sponsor e oggetto della pubblicità
Sono integralmente deducibili dal reddito, alla stregua delle spese di pubblicità, le sponsorizzazioni per
cui sussiste un legame logico tra l’attività dello sponsor e l’oggetto
della pubblicità o della promozione. È quanto ha stabilito la C.T. Prov.
di Lecce, con la sentenza del 21 febbraio 2012, n. 53/02/12. L’art.
108, comma 2, del TUIR si limita a distinguere tra spese di pubblicità e di rappresentanza,
stabilendone criteri di deducibilità ben diversi: integrale nell’anno
di sostenimento, ovvero in quote costanti nell’esercizio stesso e nei
quattro successivi, per le prime, mentre nel caso delle seconde entrano
in gioco i ben più restrittivi criteri fissati dal DM 19 novembre 2008.
Il Testo Unico, però, non fornisce alcuna indicazione circa i parametri discriminanti
la qualificazione delle une e delle altre e, quindi, è dovuta
intervenire la dottrina, la prassi e soprattutto la giurisprudenza a
colmare tale vuoto normativo.
Con la pronuncia in commento, i giudici di merito, a fronte delle contestazioni mosse dal Fisco avverso le spese di sponsorizzazione dedotte integralmente dalla società ricorrente, alla stregua di spese di pubblicità, hanno stabilito che esse sono state legittimamente portate in diminuzione del reddito d’impresa, attesa la sussistenza del “legame logico tra l’attività dell’azienda sponsorizzante e la promozione dedotta”, che costituisce, appunto, la condizione per la deducibilità delle stesse.
Si tratta, invero, di un orientamento giurisprudenziale ormai ampiamente consolidato anche a livello di legittimità, stante la recenti pronunce con cui i Supremi Giudici hanno stabilito che costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, sono da considerare spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, mentre costituiscono spese di pubblicità o propaganda quelle sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi e in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine e il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (ex plurimis, Cass. n. 8679/2011, n. 21270/2008, n. 9567/2007).
Spesso, in sede di controllo fiscale, i verificatori riqualificano le spese considerate di pubblicità dall’azienda come di rappresentanza, atteso che non individuano nell’operazione pubblicitaria quel nesso tra l’attività aziendale e la promozione dedotta menzionato anche dai giudici di merito, con l’odierna pronuncia. In particolare, accade di sovente che sponsorizzazioni sportive vengano qualificate come spese di pubblicità, mentre al più possono assumere il carattere di spese di rappresentanza (con le ben più rigide limitazioni alla deducibilità), atteso che non esiste alcun legame tra l’attività dell’azienda e l’evento sportivo pubblicizzato.
Questa ipotesi è stata esaminata, di recente, dalla Cassazione, con la sentenza n. 8679/2011, con cui gli Ermellini hanno affermato che le spese in oggetto potevano eventualmente accrescere l’immagine, ma non erano certamente in grado di influire sull’ammontare delle vendite. Allo stesso modo, i Supremi Giudici hanno di recente stabilito, esaminando il caso di un’azienda di impiantistica che aveva sponsorizzato un pilota professionista di corse automobilistiche, che la contribuente non aveva fornito alcuna dimostrazione di quale concreto ritorno economico si potesse attendere dalla sponsorizzazione di un pilota da corsa, atteso il diverso settore in cui operava la società, ovvero quello dell’impiantistica per imballaggi. Non vi era, infatti, alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dalla società. Conseguentemente, quelle in oggetto non potevano considerarsi spese di pubblicità integralmente deducibili, ma dovevano ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dalla normativa sopra richiamata (Cass. n 3433/2012).
In conclusione, quindi, ai fini dell’inquadramento tra le spese di pubblicità, con conseguente integrale deduzione nell’anno di sostenimento, la sponsorizzazione deve recare quel nesso logico tra l’attività dello sponsor e la promozione che la rende idonea ad incidere positivamente sui ricavi aziendali e non solo eventualmente sull’immagine complessiva dell’impresa. L’onere probatorio è a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 6548/2012), che deve anche dimostrare l’esistenza di un contratto sinallagmatico tra le parti (R.M. 5 novembre 1974 n. 2/1016 e 17 giugno 1992 n. 9/204, circ. n. 34/2009, § 3.1).
/ Alessandro BORGOGLIO
fonte:eutekne
Con la pronuncia in commento, i giudici di merito, a fronte delle contestazioni mosse dal Fisco avverso le spese di sponsorizzazione dedotte integralmente dalla società ricorrente, alla stregua di spese di pubblicità, hanno stabilito che esse sono state legittimamente portate in diminuzione del reddito d’impresa, attesa la sussistenza del “legame logico tra l’attività dell’azienda sponsorizzante e la promozione dedotta”, che costituisce, appunto, la condizione per la deducibilità delle stesse.
Si tratta, invero, di un orientamento giurisprudenziale ormai ampiamente consolidato anche a livello di legittimità, stante la recenti pronunce con cui i Supremi Giudici hanno stabilito che costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, sono da considerare spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, mentre costituiscono spese di pubblicità o propaganda quelle sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi e in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine e il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (ex plurimis, Cass. n. 8679/2011, n. 21270/2008, n. 9567/2007).
Spesso, in sede di controllo fiscale, i verificatori riqualificano le spese considerate di pubblicità dall’azienda come di rappresentanza, atteso che non individuano nell’operazione pubblicitaria quel nesso tra l’attività aziendale e la promozione dedotta menzionato anche dai giudici di merito, con l’odierna pronuncia. In particolare, accade di sovente che sponsorizzazioni sportive vengano qualificate come spese di pubblicità, mentre al più possono assumere il carattere di spese di rappresentanza (con le ben più rigide limitazioni alla deducibilità), atteso che non esiste alcun legame tra l’attività dell’azienda e l’evento sportivo pubblicizzato.
Questa ipotesi è stata esaminata, di recente, dalla Cassazione, con la sentenza n. 8679/2011, con cui gli Ermellini hanno affermato che le spese in oggetto potevano eventualmente accrescere l’immagine, ma non erano certamente in grado di influire sull’ammontare delle vendite. Allo stesso modo, i Supremi Giudici hanno di recente stabilito, esaminando il caso di un’azienda di impiantistica che aveva sponsorizzato un pilota professionista di corse automobilistiche, che la contribuente non aveva fornito alcuna dimostrazione di quale concreto ritorno economico si potesse attendere dalla sponsorizzazione di un pilota da corsa, atteso il diverso settore in cui operava la società, ovvero quello dell’impiantistica per imballaggi. Non vi era, infatti, alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dalla società. Conseguentemente, quelle in oggetto non potevano considerarsi spese di pubblicità integralmente deducibili, ma dovevano ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dalla normativa sopra richiamata (Cass. n 3433/2012).
In conclusione, quindi, ai fini dell’inquadramento tra le spese di pubblicità, con conseguente integrale deduzione nell’anno di sostenimento, la sponsorizzazione deve recare quel nesso logico tra l’attività dello sponsor e la promozione che la rende idonea ad incidere positivamente sui ricavi aziendali e non solo eventualmente sull’immagine complessiva dell’impresa. L’onere probatorio è a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 6548/2012), che deve anche dimostrare l’esistenza di un contratto sinallagmatico tra le parti (R.M. 5 novembre 1974 n. 2/1016 e 17 giugno 1992 n. 9/204, circ. n. 34/2009, § 3.1).
/ Alessandro BORGOGLIO
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