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mercoledì 26 settembre 2012

società di comodo La locazione temporanea non fa scattare il test di operatività

società di comodo

La locazione temporanea non fa scattare il test di operatività

Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni Uffici, un fabbricato, solo perché locato, non può perdere la natura di immobile destinato alla vendita

/ Lunedì 24 settembre 2012
Una delle questioni ricorrenti nel mondo delle immobiliari di gestione è il rispetto dei test nell’ambito della problematica delle società di comodo. In modo particolare, sta diventando un caso paradigmatico la fattispecie della società che ha costruito un immobile con l’intenzione di rivenderlo e che, in attesa di individuare un acquirente, decide di locare i beni costruiti, ritenendo che un immobile vuoto sia poco appetibile per qualunque compratore, oltre a considerare il deperimento maggiore di un fabbricato non abitato. Esaminiamo i vari aspetti che possono nascere da questa fattispecie sullo sfondo dell’articolo 30 della L. 724/1994.
La prima delicata questione, mai risolta in modo esaustivo, consiste nel valutare se l’immobile costruito e classificato tra le rimanenze debba essere considerato un’immobilizzazione nel momento in cui viene locato. Gli Uffici delle Entrate spesso partono dall’equazione secondo cui la locazione determina l’obbligo di considerare l’immobile un bene dell’attivo immobilizzato, il che comporta l’attrazione dello stesso bene nella casistica del test di operatività da società di comodo. Diversamente se l’immobile, pur locato, fosse contabilizzato tra i beni merce, non si avrebbe il riflesso sopra ricordato.
La questione è particolarmente delicata, ma chi scrive ritiene debba essere contrastata l’equazione necessaria locazione/immobilizzazione. Spesso gli Uffici poggiano questa convinzione rifacendosi alla ris. n. 152/2004, in cui, in materia di PEX, una società di costruzione in attesa di vendere l’immobile lo aveva affittato ritenendo che l’attività di locazione, sussidiaria alla vendita, non comportasse affatto il mutamento della destinazione dell’immobile da rimanenza a immobilizzazione, e ciò anche se la locazione, in un dato momento, costituisce l’unica attività che produce ricavi. Del resto, se una società di costruzione non riesce a vendere gli immobili, è evidente che locandoli non potrà avere alcuna altra attività.
Sul punto, la citata risoluzione afferma che “La durata pluriennale e continuativa dei contratti di locazione stipulati sull’immobile e la contestuale assenza di un qualsiasi atto di vendita avente per oggetto anche una parte di esso non consentono di considerare la locazione come attività sussidiaria, rientrante nell’esercizio caratteristico di un’attività immobiliare di compravendita, ma la riconducono, di fatto, all’alveo di attività tipica di una società immobiliare di gestione, a prescindere da ogni qualificazione formale dell’attività d’impresa”. Quindi, da un’indagine che aveva per oggetto la verifica della commercialità ai fini dell’articolo 87 del TUIR, gli Uffici fanno derivare la conclusione che l’immobile vada considerato bene immobilizzato e come tale sottoposto al test di operatività da società di comodo.
Si ritiene che questa conclusione sia priva di fondamento e, soprattutto, non avallata da alcuna disposizione normativa. Al riguardo, va ricordato che la classificazione nell’attivo patrimoniale di un bene dipende dal tipo di utilità che la società intende ritrarre dal medesimo, e questa valutazione è rimessa al giudizio dell’organo amministrativo. L’articolo 2424-bis comma 1 c.c. prescrive che i beni destinati all’utilizzo durevole devono essere iscritti tra le immobilizzazioni, e il Documento OIC 13, in materia di rimanenze, afferma che esse sono costituite dai “beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività dell’impresa”. Non è chiaro il motivo in base al quale un fabbricato, solo perché locato, perda la sua natura di immobile destinato alla vendita, come se non esistesse un mercato degli immobili occupati dall’inquilino.
È evidente che, di fronte a situazioni abnormi, come le locazioni ultradecennali, la destinazione alla vendita del bene appare più ardua da dimostrare, ma in un momento caratterizzato da una crisi del mercato edilizio nota a chiunque e inconfutabile, una locazione ancorché pluriennale non può innescare la necessaria conseguenza di una riqualificazione obbligatoria dell’immobile nella classe B I dell’attivo patrimoniale. L’equazione sostenuta da alcuni Uffici dell’Agenzia delle Entrate significherebbe sottrarre all’organo amministrativo una sua prerogativa fondamentale: classificare i beni a seconda della destinazione che intende assegnare agli stessi. Il contradditorio con l’Agenzia dovrebbe quindi muovere da questo primo punto: la contestazione che la locazione dell’immobile destinato alla vendita ne muti la classificazione contabile. È chiaro che, a sostegno di tale assunto, sarà utile dotarsi di prove documentali: in questo ambito si possono citare, ad esempio, i contratti con agenzie immobiliari per l’affidamento dell’incarico a promuovere la vendita dell’immobile oppure la presenza di contratti di locazione con clausola di riscatto a favore del locatario.
 / Paolo MENEGHETTI fonte:eutekne

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