Accertamento
Responsabilità «propria» del liquidatore anche nel fallimento
Per la Regionale di Bologna, il liquidatore è in buona fede se ha immesso denaro proprio per soddisfare i creditori sociali
L’art. 36 del DPR 602/73 è una norma che, nel prossimo futuro, può essere destinata ad una sempre più crescente applicazione ad opera degli uffici dell’Agenzia delle Entrate.
Infatti, ora che, secondo una giurisprudenza più che consolidata, la cancellazione della società è condizione sia necessaria sia sufficiente per l’estinzione della stessa, è chiaro che gli uffici, dopo la cancellazione, da un lato, non potranno più notificare atti impositivi al soggetto ormai estinto (sistematicamente, i giudici tributari stanno annullando accertamenti e cartelle di pagamento intestati al soggetto estinto); dall’altro, sarà molto difficile rivolgere la pretesa nei confronti dei soci, circoscritta dal codice civile alle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Entrando nel merito della questione, l’art. 36 comma 1 del DPR 602/73 prevede che i liquidatori di enti soggetti all’IRES rispondono in proprio per le imposte dovute dalla società per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori quando, disponendo delle risorse per pagare l’imposta, abbiano assegnato beni ai soci e soddisfatto creditori che non dovevano essere preferiti all’ufficio.
Quindi, la responsabilità riguarda le sole società di capitali e i soli debiti per IRES, essendo esclusi, per esempio, quelli IVA.
Un aspetto interessante concerne i nessi tra responsabilità in esame e dichiarazione di fallimento.
Con la sentenza dello scorso 23 aprile n. 12, la Regionale di Bologna, sezione 42, ha stabilito che la responsabilità del liquidatore conserva la propria autonomia anche in caso di fallimento, essendo espressione di un peculiare regime di responsabilità previsto dalla normativa relativa alle imposte sui redditi.
Viene così rigettata la tesi del contribuente, secondo cui si sarebbe dovuto applicare l’art. 146 della L. fall., che riserva al curatore la valutazione circa l’opportunità di azionare, nel rispetto della par conditio creditorum, la responsabilità di soci, amministratori e liquidatori.
I giudici affermano poi che l’art. 36 del DPR 602/73 presuppone che il credito erariale sia accertato in via definitiva (per osservazioni sulla necessità che, allo stato attuale della legislazione, il debito debba essere definitivo per poter rivolgersi nei confronti del liquidatore, si veda quanto sostenuto in “Ampia tutela per il liquidatore di società se l’ente si estingue” del 29 giugno 2012).
Il liquidatore, per “mettersi al riparo”, non deve quindi soddisfare prima del Fisco ad esempio i fornitori, che, nella gradazione del codice civile, non possono essere a questo preferiti.
È poi ovvio che, se si chiude la liquidazione e poi arriva l’accertamento al liquidatore per annualità pregresse, questi, al momento della soddisfazione dei creditori non privilegati rispetto al Fisco, nulla sapeva; quindi, pena una lampante violazione della Carta Costituzionale, alcunché può essergli rimproverato.
Un ultimo aspetto interessante riguarda la condotta della liquidatrice, alla quale è stato imputato di aver distratto determinate attività.
In merito a tale aspetto, la circostanza che la liquidatrice, insieme ad altri soci, abbia immesso, nella fase di liquidazione, liquidità provenienti dal proprio patrimonio personale, è indice di buona fede, “apparendo logicamente contraddittorio il contestarle di aver mal gestito le disponibilità finanziarie della società in liquidazione, in rapporto alle risorse da lei stessa conferite in maggiori misura all’impresa medesima”.
/ Alfio CISSELLO fonte eutekne
Infatti, ora che, secondo una giurisprudenza più che consolidata, la cancellazione della società è condizione sia necessaria sia sufficiente per l’estinzione della stessa, è chiaro che gli uffici, dopo la cancellazione, da un lato, non potranno più notificare atti impositivi al soggetto ormai estinto (sistematicamente, i giudici tributari stanno annullando accertamenti e cartelle di pagamento intestati al soggetto estinto); dall’altro, sarà molto difficile rivolgere la pretesa nei confronti dei soci, circoscritta dal codice civile alle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Entrando nel merito della questione, l’art. 36 comma 1 del DPR 602/73 prevede che i liquidatori di enti soggetti all’IRES rispondono in proprio per le imposte dovute dalla società per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori quando, disponendo delle risorse per pagare l’imposta, abbiano assegnato beni ai soci e soddisfatto creditori che non dovevano essere preferiti all’ufficio.
Quindi, la responsabilità riguarda le sole società di capitali e i soli debiti per IRES, essendo esclusi, per esempio, quelli IVA.
Un aspetto interessante concerne i nessi tra responsabilità in esame e dichiarazione di fallimento.
Con la sentenza dello scorso 23 aprile n. 12, la Regionale di Bologna, sezione 42, ha stabilito che la responsabilità del liquidatore conserva la propria autonomia anche in caso di fallimento, essendo espressione di un peculiare regime di responsabilità previsto dalla normativa relativa alle imposte sui redditi.
Viene così rigettata la tesi del contribuente, secondo cui si sarebbe dovuto applicare l’art. 146 della L. fall., che riserva al curatore la valutazione circa l’opportunità di azionare, nel rispetto della par conditio creditorum, la responsabilità di soci, amministratori e liquidatori.
I giudici affermano poi che l’art. 36 del DPR 602/73 presuppone che il credito erariale sia accertato in via definitiva (per osservazioni sulla necessità che, allo stato attuale della legislazione, il debito debba essere definitivo per poter rivolgersi nei confronti del liquidatore, si veda quanto sostenuto in “Ampia tutela per il liquidatore di società se l’ente si estingue” del 29 giugno 2012).
Necessaria la definitività del debito fiscale
Fermo restando ciò, occorre “che sia possibile ricostruire idealmente, in fase di liquidazione, un progetto di riparto pienamente rispettoso della gradazione dei crediti e dei privilegi e delle garanzie caratterizzanti gli stessi”.Il liquidatore, per “mettersi al riparo”, non deve quindi soddisfare prima del Fisco ad esempio i fornitori, che, nella gradazione del codice civile, non possono essere a questo preferiti.
È poi ovvio che, se si chiude la liquidazione e poi arriva l’accertamento al liquidatore per annualità pregresse, questi, al momento della soddisfazione dei creditori non privilegati rispetto al Fisco, nulla sapeva; quindi, pena una lampante violazione della Carta Costituzionale, alcunché può essergli rimproverato.
Un ultimo aspetto interessante riguarda la condotta della liquidatrice, alla quale è stato imputato di aver distratto determinate attività.
In merito a tale aspetto, la circostanza che la liquidatrice, insieme ad altri soci, abbia immesso, nella fase di liquidazione, liquidità provenienti dal proprio patrimonio personale, è indice di buona fede, “apparendo logicamente contraddittorio il contestarle di aver mal gestito le disponibilità finanziarie della società in liquidazione, in rapporto alle risorse da lei stessa conferite in maggiori misura all’impresa medesima”.
/ Alfio CISSELLO fonte eutekne
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