Penale tributario
Conferimento d’azienda ad una sas che «sparisce»: dichiarazione fraudolenta
Legittimo, quindi, il sequestro per equivalente sui beni personali dei concorrenti
/ Martedì 17 gennaio 2012
Integra la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici l’imprenditore che, al fine di evadere le imposte sui redditi, conferisce un ramo della propria azienda, connotato dall’affidamento di un rilevante contratto di appalto, ad una società in accomandita semplice appositamente costituita e di lì a poco sciolta, evitando, così, di indicare nella propria dichiarazione fiscale redditi per importi rilevanti con sicuro superamento delle prescritte soglie di punibilità.
Sono queste le indicazioni desumibili dalla sentenza 16 gennaio 2012 n. 1200 della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, il titolare di una ditta (ditta Alfa) aveva provveduto a cedere un ramo della stessa ad una sas (sas Beta), costituita tra se stesso e un altro soggetto. Il ramo d’azienda, con valore dichiarato di 2.000 euro, aveva ad oggetto un contratto di appalto di notevole importo (circa 9 milioni di euro), in buona parte (circa 6 milioni di euro) spettante proprio alla ditta Alfa. La sas Beta, dopo soli otto mesi dalla sua costituzione, veniva sciolta senza alcuna liquidazione e con dichiarazione dei soci di assenza di attività o passività; la ditta Alfa, invece, presentava una dichiarazione dei redditi priva dei ricavi connessi al contratto di appalto.
Il competente pubblico ministero ravvisava nella condotta il fumus della fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). In base a tale disposizione, come recentemente modificata dall’art. 2 comma 36-vicies semel lett. b) e c) del DL 138/2011 convertito, fuori dei casi previsti dall’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro (77.468,53 euro all’epoca dei fatti); l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro 1.000.000 (euro 1.549.370,70 all’epoca dei fatti).
Di conseguenza, chiedeva e otteneva, in data 21 aprile 2011, provvedimento di sequestro preventivo per equivalente, in funzione della successiva confisca, di alcuni beni immobili di proprietà dei due soggetti coinvolti nell’operazione; provvedimento confermato dal Tribunale del riesame, con ordinanza del 16 maggio 2011. Veniva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, nel quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, tra l’altro, per l’omessa considerazione del fatto che la ditta Alfa restava comunque titolare del contratto di appalto, mantenendo pertanto il relativo obbligo tributario anche dopo il conferimento alla nuova società; società costituita quando i singoli collaudi funzionali tecnico-amministrativi erano già stati ultimati, senza operare alcun transito di denaro e con la mera finalità di conseguire l’attestato di qualificazione SOA e ISO.
Si tratta, osserva la Suprema Corte, di dati certamente sintomatici della sussistenza del reato contestato, per l’integrazione del quale, come evidenziato, occorre che il soggetto agente ponga in essere una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e si avvalga di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento dei tale falsa rappresentazione (cfr. Cass. 8 marzo 2011 n. 8962).
Dalle modalità della condotta, peraltro, è reputato correttamente desunto anche il presupposto del periculum in mora. Ne consegue la legittimità del provvedimento di sequestro per equivalente sui beni personali di entrambi gli indagati, stante il loro pieno coinvolgimento nell’artificio contabile che ha reso possibile la dichiarazione fraudolenta.
Sono queste le indicazioni desumibili dalla sentenza 16 gennaio 2012 n. 1200 della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, il titolare di una ditta (ditta Alfa) aveva provveduto a cedere un ramo della stessa ad una sas (sas Beta), costituita tra se stesso e un altro soggetto. Il ramo d’azienda, con valore dichiarato di 2.000 euro, aveva ad oggetto un contratto di appalto di notevole importo (circa 9 milioni di euro), in buona parte (circa 6 milioni di euro) spettante proprio alla ditta Alfa. La sas Beta, dopo soli otto mesi dalla sua costituzione, veniva sciolta senza alcuna liquidazione e con dichiarazione dei soci di assenza di attività o passività; la ditta Alfa, invece, presentava una dichiarazione dei redditi priva dei ricavi connessi al contratto di appalto.
Il competente pubblico ministero ravvisava nella condotta il fumus della fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). In base a tale disposizione, come recentemente modificata dall’art. 2 comma 36-vicies semel lett. b) e c) del DL 138/2011 convertito, fuori dei casi previsti dall’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro (77.468,53 euro all’epoca dei fatti); l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro 1.000.000 (euro 1.549.370,70 all’epoca dei fatti).
Di conseguenza, chiedeva e otteneva, in data 21 aprile 2011, provvedimento di sequestro preventivo per equivalente, in funzione della successiva confisca, di alcuni beni immobili di proprietà dei due soggetti coinvolti nell’operazione; provvedimento confermato dal Tribunale del riesame, con ordinanza del 16 maggio 2011. Veniva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, nel quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, tra l’altro, per l’omessa considerazione del fatto che la ditta Alfa restava comunque titolare del contratto di appalto, mantenendo pertanto il relativo obbligo tributario anche dopo il conferimento alla nuova società; società costituita quando i singoli collaudi funzionali tecnico-amministrativi erano già stati ultimati, senza operare alcun transito di denaro e con la mera finalità di conseguire l’attestato di qualificazione SOA e ISO.
Si evidenzia anche il presupposto del “periculum in mora”
La Suprema Corte rigetta il ricorso perché infondato. Nella sentenza, infatti, si osserva come i giudici del riesame abbiano correttamente individuato nella condotta sopra riassunta un comportamento maliziosamente teso all’evasione delle imposte. Circostanza confermata dalla presenza di ulteriori dati obiettivi, quali: la scelta di costituire una sas, in modo tale da evitare nel conferimento d’azienda il vaglio di un esperto; la circostanza che il ramo d’azienda conferito, con valore dichiarato di soli 2.000 euro, riguardava lavori già eseguiti; la breve durata della sas, composta dai due soli indagati e condotta allo scioglimento sulla base di motivazioni inverosimili.Si tratta, osserva la Suprema Corte, di dati certamente sintomatici della sussistenza del reato contestato, per l’integrazione del quale, come evidenziato, occorre che il soggetto agente ponga in essere una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e si avvalga di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento dei tale falsa rappresentazione (cfr. Cass. 8 marzo 2011 n. 8962).
Dalle modalità della condotta, peraltro, è reputato correttamente desunto anche il presupposto del periculum in mora. Ne consegue la legittimità del provvedimento di sequestro per equivalente sui beni personali di entrambi gli indagati, stante il loro pieno coinvolgimento nell’artificio contabile che ha reso possibile la dichiarazione fraudolenta.
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