accertamento
Risposte ai questionari e rilevanza penale
Effetti fuori controllo a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione al Decreto «Salva Italia»
Le modifiche al Decreto “Salva Italia” introdotte in sede di conversione, tra gli altri effetti, hanno tentato di mitigare la previsione della rilevanza penale delle risposte mendaci o contenenti dati e notizie non rispondenti al vero, a seguito delle richieste rivolte dall’Amministrazione finanziaria in esito ai poteri e alle attribuzioni di cui alle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi e di IVA (rispettivamente, artt. 32 e 33 del DPR n. 600/1973 e artt. 51 e 52 del DPR n. 633/1972).
Il secondo periodo del primo comma dell’articolo 10, appunto aggiunto in sede di conversione del Decreto, stabilisce che la sanzione prevista dall’articolo 76 del DPR n. 445/2000 è comminabile soltanto se “a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero.
Va innanzitutto rilevata la circostanza che l’attenuazione – se così la si può definire – per l’ipotesi di incriminazione di cui al citato articolo 76 riguarda la sola fattispecie dei dati e delle notizie non rispondenti al vero: ciò significa, quindi, che la mendacità delle risposte è “sempre” suscettibile di determinare l’incriminazione, a nulla rilevando l’eventuale successiva emersione della fattispecie penalmente rilevante.
L’intento del Legislatore è evidente: da un lato, penalizzare – nel duplice significato che può essere ricondotto al termine – i casi in cui la falsità sia incontrovertibile ed evidentemente volta a raggirare l’Amministrazione finanziaria con l’intento di condizionare, in peius per la stessa, gli esiti delle indagini; dall’altro, invece, prevedere la rilevanza penale della fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero soltanto quando “a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.
Infatti, pur non condividendo la previsione della punibilità penale in caso di dati e notizie “non rispondenti al vero” – resta da capire chi stabilisca il “vero” e se un errore da 1 euro, su un importo fornito in risposta ad un questionario, sia tecnicamente un dato non rispondente al vero e, dunque, suscettibile di condurre all’incriminazione – non si comprende perché sia stata prevista l’esimente nel caso in cui dall’indagine avviata non emergano fattispecie tributarie penalmente rilevanti, giungendo alla bizzarria secondo cui un’azione scientemente volta ad ostacolare l’attività di controllo, laddove non si traduca “anche” in un’ipotesi di reato di cui al DLgs. n. 74/2000, non determina il coinvolgimento del contribuente nel reato di cui all’articolo 76 del DPR n. 445/2000.
Ma c’è di più: stando alla lettera della legge, la punibilità per falso in atto “si applica solo se a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”, il che equivale a dire che la “materia” dalla quale deriva l’ipotesi di reato deve “necessariamente” essere fornita dalla risposta al questionario, stante la “derivazione diretta” di uno o più dei reati (di cui al decreto legislativo n. 74/2000) dai dati e notizie “non rispondenti al vero”.
In sostanza, laddove l’Ufficio, pur ricevendo una risposta con dati non veritieri, riscontrasse un’ipotesi di fattispecie tributaria penalmente rilevante “avulsa” da detta risposta, non potrebbe ritenere integrato il requisito per l’incriminazione del contribuente da uso di atto falso: infatti, proprio questa “soluzione di continuità” tra la risposta fornita e la fattispecie penale del DLgs. n. 74/2000 preclude senza dubbio la contestazione di cui all’art. 76 del DPR n. 445/2000.
In proposito, non può essere sostenuta in alcun modo una tesi contraria, giacché laddove si fosse voluto ricondurre il falso in atto al “procedimento” caratterizzato dall’inquinamento della risposta con dati non veritieri, di cui il questionario è un mezzo istruttorio, la legge avrebbe dovuto fare riferimento al procedimento nella sua interezza e non, come ha fatto, alle “richieste”.
La soggettivazione del questionario, insomma, determina un ritaglio “specifico” della fattispecie, diversamente da quanto, probabilmente, si voleva fare con una “oggettivazione” dell’intero procedimento di controllo.
/ Carlo NOCERA
Il secondo periodo del primo comma dell’articolo 10, appunto aggiunto in sede di conversione del Decreto, stabilisce che la sanzione prevista dall’articolo 76 del DPR n. 445/2000 è comminabile soltanto se “a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero.
Va innanzitutto rilevata la circostanza che l’attenuazione – se così la si può definire – per l’ipotesi di incriminazione di cui al citato articolo 76 riguarda la sola fattispecie dei dati e delle notizie non rispondenti al vero: ciò significa, quindi, che la mendacità delle risposte è “sempre” suscettibile di determinare l’incriminazione, a nulla rilevando l’eventuale successiva emersione della fattispecie penalmente rilevante.
L’intento del Legislatore è evidente: da un lato, penalizzare – nel duplice significato che può essere ricondotto al termine – i casi in cui la falsità sia incontrovertibile ed evidentemente volta a raggirare l’Amministrazione finanziaria con l’intento di condizionare, in peius per la stessa, gli esiti delle indagini; dall’altro, invece, prevedere la rilevanza penale della fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero soltanto quando “a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.
La modifica tradisce lo spirito punitivo della norma
La modifica, tuttavia, non convince affatto e finisce per tradire lo spirito – punitivo, senza dubbio – della norma.Infatti, pur non condividendo la previsione della punibilità penale in caso di dati e notizie “non rispondenti al vero” – resta da capire chi stabilisca il “vero” e se un errore da 1 euro, su un importo fornito in risposta ad un questionario, sia tecnicamente un dato non rispondente al vero e, dunque, suscettibile di condurre all’incriminazione – non si comprende perché sia stata prevista l’esimente nel caso in cui dall’indagine avviata non emergano fattispecie tributarie penalmente rilevanti, giungendo alla bizzarria secondo cui un’azione scientemente volta ad ostacolare l’attività di controllo, laddove non si traduca “anche” in un’ipotesi di reato di cui al DLgs. n. 74/2000, non determina il coinvolgimento del contribuente nel reato di cui all’articolo 76 del DPR n. 445/2000.
Ma c’è di più: stando alla lettera della legge, la punibilità per falso in atto “si applica solo se a seguito delle richieste (…) si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”, il che equivale a dire che la “materia” dalla quale deriva l’ipotesi di reato deve “necessariamente” essere fornita dalla risposta al questionario, stante la “derivazione diretta” di uno o più dei reati (di cui al decreto legislativo n. 74/2000) dai dati e notizie “non rispondenti al vero”.
In sostanza, laddove l’Ufficio, pur ricevendo una risposta con dati non veritieri, riscontrasse un’ipotesi di fattispecie tributaria penalmente rilevante “avulsa” da detta risposta, non potrebbe ritenere integrato il requisito per l’incriminazione del contribuente da uso di atto falso: infatti, proprio questa “soluzione di continuità” tra la risposta fornita e la fattispecie penale del DLgs. n. 74/2000 preclude senza dubbio la contestazione di cui all’art. 76 del DPR n. 445/2000.
In proposito, non può essere sostenuta in alcun modo una tesi contraria, giacché laddove si fosse voluto ricondurre il falso in atto al “procedimento” caratterizzato dall’inquinamento della risposta con dati non veritieri, di cui il questionario è un mezzo istruttorio, la legge avrebbe dovuto fare riferimento al procedimento nella sua interezza e non, come ha fatto, alle “richieste”.
La soggettivazione del questionario, insomma, determina un ritaglio “specifico” della fattispecie, diversamente da quanto, probabilmente, si voleva fare con una “oggettivazione” dell’intero procedimento di controllo.
/ Carlo NOCERA
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