Nessuna trasformazione da società ad impresa individuale
L’operazione richiede il passaggio da enti plurisoggettivi ad enti plurisoggettivi con patrimonio separato
Non è configurabile una trasformazione eterogenea atipica da società di capitali (unipersonale) in impresa individuale.
È questa la conclusione cui perviene il Tribunale di Piacenza nel decreto del 2 dicembre 2011, che conferma precedenti interventi di giudici di merito.
Nel caso di specie, una srl unipersonale deliberava la trasformazione in impresa individuale. Il notaio rogante si rifiutava di procedere all’iscrizione del verbale assembleare nel Registro delle imprese, ex art. 2436 comma 3 c.c., non ritenendo adempiute le condizioni stabilite dalla legge. Il legale rappresentante della srl ricorreva, quindi, al Tribunale per ottenere, una volta verificata la sussistenza delle condizioni di legge, l’ordine di iscrizione, con decreto, nel Registro delle imprese della delibera di trasformazione. Il ricorso, però, viene rigettato.
La riforma del diritto societario (DLgs. 6/2003) ha introdotto disposizioni in materia di trasformazione “eterogenea” regressiva e progressiva di società di capitali (artt. 2500-septies e ss. c.c.) che prescindono dal criterio della omogeneità causale. È ammesso, infatti, il passaggio da società con fini di lucro ad associazioni o a fondazioni ovvero a società senza fini di lucro e viceversa, sia pure con puntuali cautele e con maggioranze particolarmente elevate. Occorre, peraltro, chiedersi se le ipotesi disciplinate siano “tipicizzate” ovvero se, al contrario, ci si trovi di fronte ad una previsione normativa “aperta”. Il Tribunale di Piacenza opta per la prima soluzione, dal momento che, in presenza di un ampio dibattito in materia, il Legislatore della riforma ha deciso di proporre una serie di casi ben definiti e tra loro non esattamente speculari.
Resta ferma la necessità di verificare quale possa essere il comune denominatore dei casi espressamente contemplati. Esso è da ravvisare nel fatto che tutte le ipotesi concernono enti che, sia in partenza che in arrivo, si presentano come “plurisoggettivi” nella loro composizione e, di regola, connotati da un patrimonio separato rispetto a quello dei singoli partecipanti, non rilevando, invece, come già evidenziato, il mutamento della causa contrattuale.
In tale contesto, tuttavia, si inserisce l’espressa previsione della trasformazione da e verso la comunione d’azienda, nella quale non esiste né un patrimonio separato né una distinta soggettività. Questa ipotesi è utilizzata da una parte della dottrina (come sottolineato dallo stesso ricorrente) per sostenere l’ammissibilità anche di una trasformazione di società di capitali da e verso un’impresa individuale, anch’essa priva di patrimonio separato e di autonomo centro di imputazione. Il riferimento alla comunione d’impresa, in particolare, deriverebbe dalla mera presa d’atto di ciò che accade nella maggior parte dei casi, in cui a trasformarsi è una società con più soci, senza potersi per questo escludere una trasformazione anche di una società unipersonale.
Ma questa impostazione non è condivisa dalla decisione in esame. Il riferimento alla comunione d’azienda deve essere considerato del tutto eccezionale, senza possibilità di desumere da esso alcun argomento a sostegno della trasformazione eterogenea da e verso un’impresa individuale. Le due fattispecie non appaiono in alcun modo equiparabili: la comunione d’azienda, da un lato, presuppone sempre e necessariamente una pluralità di soggetti, al pari delle altre ipotesi normativamente contemplate, e, dall’altro, non può che essere di mero godimento (a differenza dell’impresa che deve sempre avere finalità produttive). D’altra parte, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sia anteriormente che successivamente alla riforma del diritto societario, ha evidenziato come nel passaggio da società ad impresa individuale non si possa mai parlare, in senso tecnico giuridico, di trasformazione, realizzandosi una successione tra soggetti distinti per natura e per forma (cfr. Cass. 16 febbraio 2007 n. 3670 e 6 febbraio 2002 n. 1593).
Analogamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di merito pronunciatasi fino ad oggi in materia (cfr. App. Torino 14 luglio 2010 e Trib. Mantova 28 marzo 2006), quindi, il Tribunale di Piacenza ritiene di dover escludere una interpretazione estensiva delle norme in tema di trasformazione eterogenea, che presuppongono, perché si possa parlare in senso proprio di trasformazione, il passaggio da enti plurisoggettivi ad enti plurisoggettivi connotati da patrimonio separato (risultando del tutto occasionale e irrilevante il fatto che una società possa essere unipersonale). In tale contesto, la comunione d’azienda rappresenta una ulteriore eccezione – che non ammette, quindi, interpretazione né analogica né estensiva, attese le sue peculiarità del tutto distinte da quelle dell’impresa individuale – nell’ambito della quale, tra l’altro, il passaggio alla forma societaria può avvenire con grande facilità e in qualunque momento, in presenza di una minima attività di profitto.
/ Maurizio MEOLI
È questa la conclusione cui perviene il Tribunale di Piacenza nel decreto del 2 dicembre 2011, che conferma precedenti interventi di giudici di merito.
Nel caso di specie, una srl unipersonale deliberava la trasformazione in impresa individuale. Il notaio rogante si rifiutava di procedere all’iscrizione del verbale assembleare nel Registro delle imprese, ex art. 2436 comma 3 c.c., non ritenendo adempiute le condizioni stabilite dalla legge. Il legale rappresentante della srl ricorreva, quindi, al Tribunale per ottenere, una volta verificata la sussistenza delle condizioni di legge, l’ordine di iscrizione, con decreto, nel Registro delle imprese della delibera di trasformazione. Il ricorso, però, viene rigettato.
La riforma del diritto societario (DLgs. 6/2003) ha introdotto disposizioni in materia di trasformazione “eterogenea” regressiva e progressiva di società di capitali (artt. 2500-septies e ss. c.c.) che prescindono dal criterio della omogeneità causale. È ammesso, infatti, il passaggio da società con fini di lucro ad associazioni o a fondazioni ovvero a società senza fini di lucro e viceversa, sia pure con puntuali cautele e con maggioranze particolarmente elevate. Occorre, peraltro, chiedersi se le ipotesi disciplinate siano “tipicizzate” ovvero se, al contrario, ci si trovi di fronte ad una previsione normativa “aperta”. Il Tribunale di Piacenza opta per la prima soluzione, dal momento che, in presenza di un ampio dibattito in materia, il Legislatore della riforma ha deciso di proporre una serie di casi ben definiti e tra loro non esattamente speculari.
Resta ferma la necessità di verificare quale possa essere il comune denominatore dei casi espressamente contemplati. Esso è da ravvisare nel fatto che tutte le ipotesi concernono enti che, sia in partenza che in arrivo, si presentano come “plurisoggettivi” nella loro composizione e, di regola, connotati da un patrimonio separato rispetto a quello dei singoli partecipanti, non rilevando, invece, come già evidenziato, il mutamento della causa contrattuale.
In tale contesto, tuttavia, si inserisce l’espressa previsione della trasformazione da e verso la comunione d’azienda, nella quale non esiste né un patrimonio separato né una distinta soggettività. Questa ipotesi è utilizzata da una parte della dottrina (come sottolineato dallo stesso ricorrente) per sostenere l’ammissibilità anche di una trasformazione di società di capitali da e verso un’impresa individuale, anch’essa priva di patrimonio separato e di autonomo centro di imputazione. Il riferimento alla comunione d’impresa, in particolare, deriverebbe dalla mera presa d’atto di ciò che accade nella maggior parte dei casi, in cui a trasformarsi è una società con più soci, senza potersi per questo escludere una trasformazione anche di una società unipersonale.
Ma questa impostazione non è condivisa dalla decisione in esame. Il riferimento alla comunione d’azienda deve essere considerato del tutto eccezionale, senza possibilità di desumere da esso alcun argomento a sostegno della trasformazione eterogenea da e verso un’impresa individuale. Le due fattispecie non appaiono in alcun modo equiparabili: la comunione d’azienda, da un lato, presuppone sempre e necessariamente una pluralità di soggetti, al pari delle altre ipotesi normativamente contemplate, e, dall’altro, non può che essere di mero godimento (a differenza dell’impresa che deve sempre avere finalità produttive). D’altra parte, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sia anteriormente che successivamente alla riforma del diritto societario, ha evidenziato come nel passaggio da società ad impresa individuale non si possa mai parlare, in senso tecnico giuridico, di trasformazione, realizzandosi una successione tra soggetti distinti per natura e per forma (cfr. Cass. 16 febbraio 2007 n. 3670 e 6 febbraio 2002 n. 1593).
Analogamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di merito pronunciatasi fino ad oggi in materia (cfr. App. Torino 14 luglio 2010 e Trib. Mantova 28 marzo 2006), quindi, il Tribunale di Piacenza ritiene di dover escludere una interpretazione estensiva delle norme in tema di trasformazione eterogenea, che presuppongono, perché si possa parlare in senso proprio di trasformazione, il passaggio da enti plurisoggettivi ad enti plurisoggettivi connotati da patrimonio separato (risultando del tutto occasionale e irrilevante il fatto che una società possa essere unipersonale). In tale contesto, la comunione d’azienda rappresenta una ulteriore eccezione – che non ammette, quindi, interpretazione né analogica né estensiva, attese le sue peculiarità del tutto distinte da quelle dell’impresa individuale – nell’ambito della quale, tra l’altro, il passaggio alla forma societaria può avvenire con grande facilità e in qualunque momento, in presenza di una minima attività di profitto.
/ Maurizio MEOLI
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