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mercoledì 11 gennaio 2012

accertamento La rilevanza penale delle richieste del Fisco coinvolge il professionista

accertamento

La rilevanza penale delle richieste del Fisco coinvolge il professionista

Dati e notizie sempre ascrivibili al contribuente per evitare l’incriminazione di falso in atto

/ Martedì 10 gennaio 2012
In un precedente intervento (si veda “Risposte ai questionari e rilevanza penale: una norma in «fuori gioco»” del 2 gennaio 2012), mi ero soffermato sulla perfettibilità della norma che sancisce conseguenze penali “extra-tributarie” – per la precisione l’applicazione dell’articolo 76 del DPR n. 445/2000 – nei casi di fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero, laddove dalle richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria si configurino fattispecie tributarie penalmente rilevanti, di cui al DLgs. n. 74/2000.
Ora è opportuno soffermarsi sulle conseguenze pratiche che questa disposizione è suscettibile di determinare tanto sul versante “oggettivo” quanto su quello “soggettivo”.
Cominciamo con l’analizzare il primo aspetto, per chiarire che il primo comma dell’articolo 11 del Decreto “Salva Italia” fa riferimento non soltanto ai poteri esercitabili dall’Amministrazione finanziaria nell’ambito delle cosiddette indagini “a tavolino”, ma anche nell’ambito delle attività svolte “sul campo”: la norma di interesse, infatti, fa espresso riferimento alle “richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633”, ricomprendendo, quindi, anche l’operatività propria delle richieste effettuate nel corso delle attività di verifica.
In proposito non c’è di che meravigliarsi, atteso che, per restare sul tema, le conseguenze che sinora hanno caratterizzato l’omessa risposta ad un questionario – la “sterilizzazione” degli elementi non addotti in sede tanto amministrativa quanto giudiziale; la sanzione di natura pecuniaria; la possibilità, per i soggetti titolari di partita IVA, di essere sottoposti ad accertamento induttivo “puro” – sono le stesse che derivano dalla sottrazione alle medesime richieste che giungono nell’ambito delle attività svolte in sede verifica (cfr., in proposito, le modifiche apportate dalla L. n. 28/1999).
Quanto assume rilievo, invece, sono i possibili riverberi che la previsione del Decreto “Salva Italia” è suscettibile di proiettare su soggetti diversi dal contribuente: in specie, sul professionista che lo assiste.
Allora, se non c’è dubbio che in termini di responsabilità, nella fisiologia del procedimento, la restituzione di un questionario con dati non rispondenti al vero non può che essere ascritta al contribuente “infedele”, la questione muta radicalmente quando nel procedimento di controllo il “protagonista” del colloquio con gli organi procedenti è il professionista, per l’espressa delega rilasciata dal contribuente.
In proposito, infatti, è opportuno sottolineare la circostanza che l’incipit dell’articolo 11, comma 1, del DL n. 201/2011 prevede che “Chiunque, a seguito delle richieste (…) esibisce o trasmette atti o documenti falsi (…) ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito”.
In altre parole, mediante l’utilizzo del termine “chiunque”, il Legislatore ha inteso categorizzare la fattispecie alla stregua di un reato cosiddetto “comune” e non “proprio” o “qualificato”: pertanto, non già un reato realizzabile solo da quanti rivestono particolari status o qualifiche, quanto piuttosto da “chiunque” (il che è suscettibile di abbracciare una platea potenziale di soggetti ulteriori rispetto al contribuente, quali i rappresentanti legali, un dirigente dell’area amministrativa o contabile, e così via).
Diventa a questo punto problematico, e in prospettiva “rischioso”, l’operato del professionista che eventualmente assiste il contribuente durante le operazioni di verifica, atteso che il delegato ben potrebbe essere considerato destinatario della previsione dell’articolo 76 quando, nell’ottemperare all’incarico di rappresentanza ricevuto, corrisponde agli organi di controllo dati e notizie che vengono a posteriori qualificate come “non rispondenti al vero”.
Ebbene, in una circostanza del genere, laddove dalle richieste formulate dai verificatori dovessero configurarsi una o più ipotesi di reato tributario, di cui al DLgs. n. 74/2000, per il professionista scatterebbe la “tagliola” del più volte citato articolo 76: salvo che lo stesso si premuri di fornire dati e notizie con la sistematica sottolineatura, da evidenziare necessariamente nel processo verbale giornaliero, che quanto fornito ha provenienza “diretta” dal contribuente rappresentato e non ha comportato il benché minimo intervento, tanto “produttivo” quanto “rielaborativo”, da parte di colui che, nell’esercizio dell’incarico professionale, ha debitamente ottemperato alla richiesta ricevuta nel corso delle operazioni di verifica.
Ciò al fine di scongiurare, sul crinale soggettivo, la sussistenza del semplice dolo generico, ravvisabile nella cosciente volontà di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (cfr. Cassazione penale, sez. V, 15 dicembre 2003, n. 47867).
 / Carlo NOCERA

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