Diritto societario
Compensi di amministratore pagati a terzi: determinante la delega all’incasso
Se la società non prova la volontà dell’amministratore di destinazione a terzi deve «ripetere» il pagamento
/ Sabato 14 gennaio 2012
Al fine di stabilire se il credito vantato dall’amministratore di una società di capitali al compenso pattuito sia stato estinto tramite il pagamento effettuato ad un terzo, la società debitrice non può limitarsi ad affermare che il pagamento dei compensi, siccome eseguito dalla società, è da imputare allo stesso amministratore, ma deve dimostrare la sua positiva manifestazione di volontà di “dirottare” i pagamenti verso altri soggetti.
È questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza n. 390 del 13 gennaio 2012 della Corte di Cassazione.
Il presidente del CdA di una spa agiva in giudizio nei confronti della società per accertare il suo credito alla corresponsione dei relativi compensi. La spa eccepiva il fatto che le somme a lui dovute erano state “girate” a due società sulla base di una delega all’incasso rilasciata dallo stesso amministratore, con conseguente pagamento liberatorio ex art. 1188 c.c. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda dell’amministratore, dal momento che non era stata provata l’esistenza della delega da parte dell’amministratore, ma la mera sottoscrizione dei bilanci (circostanza dalla quale, secondo la società, si sarebbe dovuto desumere la conoscenza dei pagamenti e, quindi, il suo consenso); peraltro, né da essi né dalle relazioni del CdA emergeva l’evidenza di quei pagamenti.
Contro la decisione della Corte d’Appello la spa proponeva ricorso per Cassazione deducendo due motivi che si sostanziavano nei seguenti quesiti: se il pagamento effettuato (seppure non materialmente) da un amministratore, dei compensi a lui spettanti, a terzi, debba essere considerato, per presunzione di legge, voluto e, quindi, conosciuto dallo stesso, con conseguente estinzione dell’obbligazione gravante sulla società; se il bilancio sottoscritto dall’amministratore costituisca presunzione legale dell’esistenza e conoscenza dei fatti ed atti ivi indicati, dispensando da qualunque prova coloro a favore dei quali le presunzioni sono stabilite.
La Suprema Corte esamina unitamente i due ricorsi, per la loro intrinseca connessione, e li rigetta.
La diligenza richiesta agli amministratori nella redazione del bilancio – osservano in primo luogo i Giudici di Legittimità – non può estendersi alla verifica analitica dei titoli dei pagamenti effettuati in corso d’anno e della loro efficacia liberatoria, dovendo gli stessi limitarsi alla verifica della corrispondenza delle poste che emergono dal Conto economico con la contabilità sociale. Il bilancio, inoltre, che trae la sua validità ed efficacia dall’approvazione dell’assemblea e non dalla diligenza dei suoi redattori, vincola i soci e la società, ma non i terzi, tra i quali è da collocare lo stesso amministratore nel suo rapporto di lavoro con la società.
In esito alla relativa approvazione (senza impugnazione), quindi, pur non potendosi mettere in discussione l’avvenuto pagamento, che ha concorso a determinare il risultato d’esercizio, non è possibile ritenere il pagamento al terzo valido ed idoneo ad estinguere l’obbligazione per il creditore (in tal caso l’amministratore) che ne faccia richiesta in giudizio.
Dal dato di fatto rappresentato dal pagamento da parte della società non può trarsi l’illazione dell’imputazione del pagamento al suo amministratore, qui da considerarsi non come organo della società, ma come suo creditore; d’altra parte, il pagamento fatto o disposto dall’amministratore può essere valutato in modo assai diverso, potendo costituire un atto dovuto per la società nei confronti del terzo per un titolo diverso dalla delega del creditore.
In conclusione, la società debitrice, per liberarsi dalla propria obbligazione, avrebbe dovuto provare l’esistenza di una positiva manifestazione di volontà da parte dell’amministratore rispetto all’effettuazione dei pagamenti dei propri compensi in favore di altri soggetti.
È questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza n. 390 del 13 gennaio 2012 della Corte di Cassazione.
Il presidente del CdA di una spa agiva in giudizio nei confronti della società per accertare il suo credito alla corresponsione dei relativi compensi. La spa eccepiva il fatto che le somme a lui dovute erano state “girate” a due società sulla base di una delega all’incasso rilasciata dallo stesso amministratore, con conseguente pagamento liberatorio ex art. 1188 c.c. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda dell’amministratore, dal momento che non era stata provata l’esistenza della delega da parte dell’amministratore, ma la mera sottoscrizione dei bilanci (circostanza dalla quale, secondo la società, si sarebbe dovuto desumere la conoscenza dei pagamenti e, quindi, il suo consenso); peraltro, né da essi né dalle relazioni del CdA emergeva l’evidenza di quei pagamenti.
Contro la decisione della Corte d’Appello la spa proponeva ricorso per Cassazione deducendo due motivi che si sostanziavano nei seguenti quesiti: se il pagamento effettuato (seppure non materialmente) da un amministratore, dei compensi a lui spettanti, a terzi, debba essere considerato, per presunzione di legge, voluto e, quindi, conosciuto dallo stesso, con conseguente estinzione dell’obbligazione gravante sulla società; se il bilancio sottoscritto dall’amministratore costituisca presunzione legale dell’esistenza e conoscenza dei fatti ed atti ivi indicati, dispensando da qualunque prova coloro a favore dei quali le presunzioni sono stabilite.
La Suprema Corte esamina unitamente i due ricorsi, per la loro intrinseca connessione, e li rigetta.
La diligenza richiesta agli amministratori nella redazione del bilancio – osservano in primo luogo i Giudici di Legittimità – non può estendersi alla verifica analitica dei titoli dei pagamenti effettuati in corso d’anno e della loro efficacia liberatoria, dovendo gli stessi limitarsi alla verifica della corrispondenza delle poste che emergono dal Conto economico con la contabilità sociale. Il bilancio, inoltre, che trae la sua validità ed efficacia dall’approvazione dell’assemblea e non dalla diligenza dei suoi redattori, vincola i soci e la società, ma non i terzi, tra i quali è da collocare lo stesso amministratore nel suo rapporto di lavoro con la società.
In esito alla relativa approvazione (senza impugnazione), quindi, pur non potendosi mettere in discussione l’avvenuto pagamento, che ha concorso a determinare il risultato d’esercizio, non è possibile ritenere il pagamento al terzo valido ed idoneo ad estinguere l’obbligazione per il creditore (in tal caso l’amministratore) che ne faccia richiesta in giudizio.
Il pagamento non implica, di per sé, l’imputabilità all’amministratore
In particolare, nel caso di specie, la società avrebbe dovuto provare che il creditore (l’amministratore) aveva indicato il terzo quale legittimato a ricevere validamente il pagamento per suo conto (adiectus solutionis causa). Tale prova non è costituita dal fatto che il pagamento, in quanto eseguito dalla società, debba essere imputabile allo stesso amministratore. Si tratta di un’affermazione errata dal momento che l’immedesimazione organica comporta l’immediata imputazione alla persona giuridica dell’atto del suo organo, ma non il contrario.Dal dato di fatto rappresentato dal pagamento da parte della società non può trarsi l’illazione dell’imputazione del pagamento al suo amministratore, qui da considerarsi non come organo della società, ma come suo creditore; d’altra parte, il pagamento fatto o disposto dall’amministratore può essere valutato in modo assai diverso, potendo costituire un atto dovuto per la società nei confronti del terzo per un titolo diverso dalla delega del creditore.
In conclusione, la società debitrice, per liberarsi dalla propria obbligazione, avrebbe dovuto provare l’esistenza di una positiva manifestazione di volontà da parte dell’amministratore rispetto all’effettuazione dei pagamenti dei propri compensi in favore di altri soggetti.
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