diritto penale
È reato utilizzare false schede carburante
Sotto il profilo penale, la Cassazione ha qualificato la condotta come dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti
/ Sabato 14 gennaio 2012
Il contribuente che utilizzi schede carburante false al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA è penalmente responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 912 depositata ieri, 13 gennaio.
L’articolo 1 del DPR 444/1997 prevede che gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti IVA debbano risultare dalle annotazioni eseguite in un’apposita scheda, conforme al modello allegato al Decreto; le indicazioni contenute in detta scheda sono sostitutive della fattura di cui all’articolo 21 del DPR 633/1972, la cui emissione è vietata ai predetti gestori di impianti stradali.
La citata normativa prevede, poi, una serie di adempimenti ai fini dell’utilizzo di tali schede carburante, tra cui l’obbligo dell’addetto alla distribuzione di carburante di indicare in detta scheda, all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’IVA, nonché, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso (art. 3 del DPR 444/1997); inoltre, prima della registrazione, l’intestatario del mezzo di trasporto, utilizzato nell’esercizio d’impresa (sono esclusi, quindi, i professionisti), deve annotare sulla scheda il numero dei chilometri rilevabile, alla fine del mese o del trimestre, dall’apposito dispositivo esistente nel veicolo (art. 4 del DPR 444/1997).
Nei controlli sia interni che esterni degli Uffici viene spesso richiesta l’esibizione di tali documenti di acquisto di carburante, che talvolta, però, risultano quantomeno irregolari.
A tal riguardo occorre ricordare che, secondo la Suprema Corte, la mancanza della firma di convalida dell’addetto alla distribuzione di carburante comporta l’indeducibilità ai fini delle imposte sul reddito e l’indetraibilità dell’IVA relativamente agli importi indicati nella scheda priva di tale sottoscrizione (Cass. 21941/2007); le stesse conseguenze si verificano qualora nella scheda non sia stato riportato il numero di targa del veicolo a cui essa si riferisce (Cass. 21769/2005). Più recentemente, la Suprema Corte ha disconosciuto la detrazione IVA relativa a schede carburante ritenute inattendibili sulla base dell’indicazione di importi sproporzionati rispetto al tipo di attività svolta dal soggetto d’imposta; ad avviso della Corte di Cassazione, l’inattendibilità delle schede carburante genera una presunzione che costituisce prova sufficiente dell’infedeltà della dichiarazione IVA ai sensi dell’art. 54 del DPR 633/1972 (Cass. 7272/2009).
La pronuncia della Cassazione in commento, n. 912/2012, evidenzia il profilo penale che può assumere la questione sin qui illustrata. Un contribuente, infatti, aveva inserito in contabilità alcune schede carburante, portandone in deduzione i costi e in detrazione l’IVA. Dal controllo effettuato dalle Fiamme Gialle, però, era risultato che tali documenti erano falsi, giacché dall’esame dei dati in essi indicati emergeva che il mezzo utilizzato dal contribuente avrebbe percorso, sulla base del quantitativo di carburante consumato (facilmente ricavabile dal prezzo dei vari rifornimenti), 1,73 Km per ogni litro di gasolio acquistato, mentre il dato medio dichiarato ufficialmente dalla casa costruttrice era di oltre 15 Km per litro. Inoltre, i militari della GdF avevano raccolto le dichiarazioni dei gestori degli impianti di distribuzione presso cui erano stati effettuati i rifornimenti, che avevano tutti disconosciuto le firme di convalida presenti sulle schede carburanti contestate, nonché la calligrafia relativa alle altre indicazioni obbligatorie. Infine, le Fiamme Gialle avevano constatato che le date di rifornimento recate dalle predette schede carburante coincidevano con giorni in cui gli impianti di distribuzione, privi di erogatori self-service, erano stati chiusi.
L’articolo 1 del DPR 444/1997 prevede che gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti IVA debbano risultare dalle annotazioni eseguite in un’apposita scheda, conforme al modello allegato al Decreto; le indicazioni contenute in detta scheda sono sostitutive della fattura di cui all’articolo 21 del DPR 633/1972, la cui emissione è vietata ai predetti gestori di impianti stradali.
La citata normativa prevede, poi, una serie di adempimenti ai fini dell’utilizzo di tali schede carburante, tra cui l’obbligo dell’addetto alla distribuzione di carburante di indicare in detta scheda, all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’IVA, nonché, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso (art. 3 del DPR 444/1997); inoltre, prima della registrazione, l’intestatario del mezzo di trasporto, utilizzato nell’esercizio d’impresa (sono esclusi, quindi, i professionisti), deve annotare sulla scheda il numero dei chilometri rilevabile, alla fine del mese o del trimestre, dall’apposito dispositivo esistente nel veicolo (art. 4 del DPR 444/1997).
Nei controlli sia interni che esterni degli Uffici viene spesso richiesta l’esibizione di tali documenti di acquisto di carburante, che talvolta, però, risultano quantomeno irregolari.
A tal riguardo occorre ricordare che, secondo la Suprema Corte, la mancanza della firma di convalida dell’addetto alla distribuzione di carburante comporta l’indeducibilità ai fini delle imposte sul reddito e l’indetraibilità dell’IVA relativamente agli importi indicati nella scheda priva di tale sottoscrizione (Cass. 21941/2007); le stesse conseguenze si verificano qualora nella scheda non sia stato riportato il numero di targa del veicolo a cui essa si riferisce (Cass. 21769/2005). Più recentemente, la Suprema Corte ha disconosciuto la detrazione IVA relativa a schede carburante ritenute inattendibili sulla base dell’indicazione di importi sproporzionati rispetto al tipo di attività svolta dal soggetto d’imposta; ad avviso della Corte di Cassazione, l’inattendibilità delle schede carburante genera una presunzione che costituisce prova sufficiente dell’infedeltà della dichiarazione IVA ai sensi dell’art. 54 del DPR 633/1972 (Cass. 7272/2009).
La pronuncia della Cassazione in commento, n. 912/2012, evidenzia il profilo penale che può assumere la questione sin qui illustrata. Un contribuente, infatti, aveva inserito in contabilità alcune schede carburante, portandone in deduzione i costi e in detrazione l’IVA. Dal controllo effettuato dalle Fiamme Gialle, però, era risultato che tali documenti erano falsi, giacché dall’esame dei dati in essi indicati emergeva che il mezzo utilizzato dal contribuente avrebbe percorso, sulla base del quantitativo di carburante consumato (facilmente ricavabile dal prezzo dei vari rifornimenti), 1,73 Km per ogni litro di gasolio acquistato, mentre il dato medio dichiarato ufficialmente dalla casa costruttrice era di oltre 15 Km per litro. Inoltre, i militari della GdF avevano raccolto le dichiarazioni dei gestori degli impianti di distribuzione presso cui erano stati effettuati i rifornimenti, che avevano tutti disconosciuto le firme di convalida presenti sulle schede carburanti contestate, nonché la calligrafia relativa alle altre indicazioni obbligatorie. Infine, le Fiamme Gialle avevano constatato che le date di rifornimento recate dalle predette schede carburante coincidevano con giorni in cui gli impianti di distribuzione, privi di erogatori self-service, erano stati chiusi.
Il reato prevede la reclusione da 18 mesi a sei anni
Gli Ermellini hanno stabilito, quindi, che siffatte emergenze istruttorie costituivano dati incontrovertibili, che i giudici di merito avevano già correttamente valutato con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, certamente inquadrabile nell’ipotesi di cui all’articolo 2 del DLgs. 74/2000, che prevede la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. In conclusione, poi, i giudici di piazza Cavour hanno escluso che potesse sussistere, invece, l’ipotesi residuale di reato di cui all’articolo 3 del predetto Decreto (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), stante l’oggettiva e accertata inesistenza delle operazioni documentate, che rendeva, quindi, applicabile la fattispecie delittuosa di cui al predetto articolo 2.
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