Neutrale il recesso con l’assegnazione di azienda al socio
Secondo lo studio del Notariato n. 74/2011, dovrebbero applicarsi gli stessi principi relativi al conferimento d’azienda
Lo studio del Consiglio nazionale del Notariato n. 74/2011 approfondisce i profili fiscali connessi al recesso da società (di capitali o di persone), in quanto tale scelta ad opera del socio presenta un’importante ricaduta in termini fiscali sia riguardo alle imposte indirette che, soprattutto, per le imposte dirette.
La liquidazione della quota al socio che recede può essere effettuata anche mediante l’assegnazione dell’azienda sociale o di un ramo della stessa, producendo un duplice rilievo in capo al socio recedente e in capo alla società da cui si recede.
È opportuno ricordare che la consistenza minima per aversi un’azienda è integrata quando sia trasferito (rectius assegnato) al socio recedente un complesso di beni potenzialmente idoneo all’esercizio dell’impresa.
In primo luogo, si osserva che per il recedente cui venga assegnata l’azienda sociale o un ramo della stessa si giunge alle medesime conclusioni cui si giungerebbe in via generale in relazione al soggetto che esercita il recesso. In caso di recesso da società di persone, quindi, il reddito del socio uscente sarà un reddito da partecipazione quantificato in base al valore normale dei beni assegnati e al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Per valore normale del bene, si intende quello determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR, ovvero il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari (si veda anche “Recesso del socio di società di persone a tassazione piena” del 15 dicembre 2011).
In ordine, invece, all’imposizione in capo alla società da cui si recede, la particolarità del bene (azienda) oggetto di assegnazione con cui viene liquidata la quota in capo al recedente induce i notai a un’ulteriore differente riflessione.
Il recesso del socio con assegnazione d’azienda, nella sostanza, presenta gli stessi profili fiscali della continuazione dell’attività imprenditoriale da parte dell’unico socio nella forma dell’impresa individuale; se ne differenzia solo perché, sul piano civilistico, il recesso presuppone una sopravvivenza della rimanente compagine sociale, ma i profili fiscali che ne conseguono sono pressoché identici.
In materia di imposte indirette, l’atto sarà assoggettato a imposta fissa di registro a norma dell’art. 4 della Tariffa parte prima lett. d) n. 2 e lett. a) n. 3 del DPR 131/86. Ciò anche in presenza di beni immobili.
Nelle imposte dirette invece, muovendo da quanto sostenuto dalla circ. Agenzia delle Entrate 9 giugno 2002 n. 54, l’assegnazione di azienda al socio che abbia esercitato il recesso non realizza plusvalenze in capo alla società assegnante, a condizione che:
- il socio (recedente) continui l’attività sotto forma di impresa individuale;
- mantenga inalterati i valori dei beni ai fini fiscali.
In pratica, si sostiene che vige lo stesso principio di neutralità fiscale proprio del conferimento di azienda regolato dall’art. 176 del TUIR; tanto che nello studio del Notariato si parla di una sorta di “conferimento rovesciato”.
Lo studio n. 74/2011 affronta anche il tema delle eventuali imposte ipotecaria e catastale dovute.
In dottrina, è stato tuttavia replicato che in realtà i beni aziendali non fuoriescono dall’impresa e quindi non si realizza quell’effetto traslativo che giustificherebbe la misura proporzionale delle imposte ipocatastali. Il Consiglio nazionale del Notariato rileva poi che, muovendo dalla possibilità di assimilare sul piano tipologico l’assegnazione al conferimento, si potrebbe trovare spazio anche per la conclusione dell’applicazione delle imposte in argomento in misura fissa.
/ Salvatore SANNA
La liquidazione della quota al socio che recede può essere effettuata anche mediante l’assegnazione dell’azienda sociale o di un ramo della stessa, producendo un duplice rilievo in capo al socio recedente e in capo alla società da cui si recede.
È opportuno ricordare che la consistenza minima per aversi un’azienda è integrata quando sia trasferito (rectius assegnato) al socio recedente un complesso di beni potenzialmente idoneo all’esercizio dell’impresa.
In primo luogo, si osserva che per il recedente cui venga assegnata l’azienda sociale o un ramo della stessa si giunge alle medesime conclusioni cui si giungerebbe in via generale in relazione al soggetto che esercita il recesso. In caso di recesso da società di persone, quindi, il reddito del socio uscente sarà un reddito da partecipazione quantificato in base al valore normale dei beni assegnati e al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Per valore normale del bene, si intende quello determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR, ovvero il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari (si veda anche “Recesso del socio di società di persone a tassazione piena” del 15 dicembre 2011).
In ordine, invece, all’imposizione in capo alla società da cui si recede, la particolarità del bene (azienda) oggetto di assegnazione con cui viene liquidata la quota in capo al recedente induce i notai a un’ulteriore differente riflessione.
Il recesso del socio con assegnazione d’azienda, nella sostanza, presenta gli stessi profili fiscali della continuazione dell’attività imprenditoriale da parte dell’unico socio nella forma dell’impresa individuale; se ne differenzia solo perché, sul piano civilistico, il recesso presuppone una sopravvivenza della rimanente compagine sociale, ma i profili fiscali che ne conseguono sono pressoché identici.
In materia di imposte indirette, l’atto sarà assoggettato a imposta fissa di registro a norma dell’art. 4 della Tariffa parte prima lett. d) n. 2 e lett. a) n. 3 del DPR 131/86. Ciò anche in presenza di beni immobili.
Nelle imposte dirette invece, muovendo da quanto sostenuto dalla circ. Agenzia delle Entrate 9 giugno 2002 n. 54, l’assegnazione di azienda al socio che abbia esercitato il recesso non realizza plusvalenze in capo alla società assegnante, a condizione che:
- il socio (recedente) continui l’attività sotto forma di impresa individuale;
- mantenga inalterati i valori dei beni ai fini fiscali.
In pratica, si sostiene che vige lo stesso principio di neutralità fiscale proprio del conferimento di azienda regolato dall’art. 176 del TUIR; tanto che nello studio del Notariato si parla di una sorta di “conferimento rovesciato”.
Lo studio n. 74/2011 affronta anche il tema delle eventuali imposte ipotecaria e catastale dovute.
Dubbi sulle ipocatastali
Secondo la ris. Agenzia delle Entrate 3 aprile 2006 n. 47, in caso di assegnazione d’azienda con beni immobili, occorre applicare le ipocatastali in misura proporzionale, comportando l’assegnazione un caso di trasferimento di beni immobili aziendali.In dottrina, è stato tuttavia replicato che in realtà i beni aziendali non fuoriescono dall’impresa e quindi non si realizza quell’effetto traslativo che giustificherebbe la misura proporzionale delle imposte ipocatastali. Il Consiglio nazionale del Notariato rileva poi che, muovendo dalla possibilità di assimilare sul piano tipologico l’assegnazione al conferimento, si potrebbe trovare spazio anche per la conclusione dell’applicazione delle imposte in argomento in misura fissa.
/ Salvatore SANNA
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