Diritto societario
L’aggravamento del dissesto «allunga» la prescrizione
Il termine per l’azione dei creditori sociali decorre dall’ulteriore diminuzione dell’attivo
L’eventuale insufficienza del patrimonio sociale rispetto al soddisfacimento delle pretese dei creditori sociali (ovvero l’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa) può risultare anche in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento (o di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa) e anche solo nella fase liquidativa; in ogni caso, qualora nel corso della procedura dovesse risultare un’ulteriore diminuzione dell’attivo che comporti un aggravamento dello sbilanciamento in senso sfavorevole alle aspettative dei creditori sociali, il termine di prescrizione per l’azione ex art. 2394 c.c. comincia a decorrere da questo momento. È questo il principio sancito dalla sentenza 16 aprile 2011 del Tribunale di Udine.
Il Commissario liquidatore della procedura di liquidazione coatta amministrativa di una società cooperativa a responsabilità limitata, aperta in data 4 giugno 2004, esercitava azione di responsabilità nei confronti degli amministratori al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla società e dai creditori sociali in conseguenza del fatto che l’immobile e i terreni sui quali si svolgeva l’attività sociale erano risultati gravemente inquinati da sostanze tossiche; con rilevanti costi di messa in sicurezza e bonifica che andavano a gravare sulla procedura o comunque diminuivano il valore degli immobili, sbilanciando ulteriormente il passivo in senso sfavorevole per i creditori sociali. Gli amministratori contestavano le domande eccependo, tra l’altro, la scarsa chiarezza circa il titolo dell’azione e, in ogni caso, il decorso del termine di prescrizione quinquennale, dal momento che l’attività sociale era cessata nel 2003 e l’insufficienza del patrimonio si era manifestata con l’apertura della procedura concorsuale. Il Tribunale di Udine sottolinea, in primo luogo, come l’azione promossa dal Commissario liquidatore sia quella prevista dall’art. 206 comma 1 del RD 267/42, per la quale lo stesso era stato debitamente autorizzato (ai sensi della citata disposizione, infatti, l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in liquidazione, a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c., è esercitata dal Commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione).
Tale azione, al pari di quella disciplinata, con riguardo al curatore fallimentare, dall’art. 146 del RD 267/42, ha natura contrattuale e carattere unitario e inscindibile, risultando il frutto della confluenza in un unico rimedio dell’azione sociale (art. 2393 c.c.) e dei creditori sociali (art. 2394 c.c.). Ne consegue che la responsabilità di amministratori e sindaci può essere legittimamente dedotta e affermata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione spettante ai creditori sociali quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale. La natura contrattuale, inoltre, implica che chi promuove tale azione deve dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso tra esse e il danno, mentre amministratori e sindaci devono dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso.
Altrettanto indubbio, peraltro, è che, come accaduto nel caso di specie, nel corso della procedura può risultare anche un’ulteriore diminuzione dell’attivo che comporti un aggravamento dello sbilanciamento in senso sfavorevole alle aspettative dei creditori e pertanto un aggravamento del dissesto, con la conseguenza che il termine di prescrizione non può che iniziare a decorrere da questo momento. È, infatti, pacifico che l’esteriorizzazione dell’insufficienza del patrimonio – che non coincide con lo stato di insolvenza – può avvenire, come fatto oggettivo conoscibile dai creditori, sia prima della dichiarazione di insolvenza, sia nel contesto della dichiarazione di fallimento, ove la decisione rilevi lo sbilanciamento patrimoniale negativo, sia, infine, nel corso della procedura, qualora lo sbilanciamento ovvero il suo aggravamento emerga in sede di valutazione dell’attivo o durante la liquidazione.
Il Commissario liquidatore della procedura di liquidazione coatta amministrativa di una società cooperativa a responsabilità limitata, aperta in data 4 giugno 2004, esercitava azione di responsabilità nei confronti degli amministratori al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla società e dai creditori sociali in conseguenza del fatto che l’immobile e i terreni sui quali si svolgeva l’attività sociale erano risultati gravemente inquinati da sostanze tossiche; con rilevanti costi di messa in sicurezza e bonifica che andavano a gravare sulla procedura o comunque diminuivano il valore degli immobili, sbilanciando ulteriormente il passivo in senso sfavorevole per i creditori sociali. Gli amministratori contestavano le domande eccependo, tra l’altro, la scarsa chiarezza circa il titolo dell’azione e, in ogni caso, il decorso del termine di prescrizione quinquennale, dal momento che l’attività sociale era cessata nel 2003 e l’insufficienza del patrimonio si era manifestata con l’apertura della procedura concorsuale. Il Tribunale di Udine sottolinea, in primo luogo, come l’azione promossa dal Commissario liquidatore sia quella prevista dall’art. 206 comma 1 del RD 267/42, per la quale lo stesso era stato debitamente autorizzato (ai sensi della citata disposizione, infatti, l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in liquidazione, a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c., è esercitata dal Commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione).
Tale azione, al pari di quella disciplinata, con riguardo al curatore fallimentare, dall’art. 146 del RD 267/42, ha natura contrattuale e carattere unitario e inscindibile, risultando il frutto della confluenza in un unico rimedio dell’azione sociale (art. 2393 c.c.) e dei creditori sociali (art. 2394 c.c.). Ne consegue che la responsabilità di amministratori e sindaci può essere legittimamente dedotta e affermata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione spettante ai creditori sociali quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale. La natura contrattuale, inoltre, implica che chi promuove tale azione deve dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso tra esse e il danno, mentre amministratori e sindaci devono dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso.
In genere, termine dall’esteriorizzazione dell’insufficienza patrimoniale
In ordine alla prescrizione, poi, i giudici friulani evidenziano come l’eccezione appaia infondata quantomeno con riferimento all’azione dei creditori sociali, in relazione alla quale il termine quinquennale di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale si manifesta rendendosi conoscibile per i creditori. Senza dubbio, infatti, l’eventuale insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento delle ragioni dei creditori (cosa diversa dall’insolvenza, essendo rappresentata dall’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa) può risultare oggettivamente conoscibile dai creditori anteriormente o successivamente alla dichiarazione di fallimento o all’assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa e può non coincidere con la dichiarazione dello stato di insolvenza (cfr. Cass. 25 luglio 2008 n. 20476, secondo la quale ricade su amministratori e sindaci l’onere di provare che il momento in cui tale aspetto si è manifestato è anteriore alla dichiarazione di fallimento; analogamente Cass. 18 gennaio 2005 n. 941).Altrettanto indubbio, peraltro, è che, come accaduto nel caso di specie, nel corso della procedura può risultare anche un’ulteriore diminuzione dell’attivo che comporti un aggravamento dello sbilanciamento in senso sfavorevole alle aspettative dei creditori e pertanto un aggravamento del dissesto, con la conseguenza che il termine di prescrizione non può che iniziare a decorrere da questo momento. È, infatti, pacifico che l’esteriorizzazione dell’insufficienza del patrimonio – che non coincide con lo stato di insolvenza – può avvenire, come fatto oggettivo conoscibile dai creditori, sia prima della dichiarazione di insolvenza, sia nel contesto della dichiarazione di fallimento, ove la decisione rilevi lo sbilanciamento patrimoniale negativo, sia, infine, nel corso della procedura, qualora lo sbilanciamento ovvero il suo aggravamento emerga in sede di valutazione dell’attivo o durante la liquidazione.
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