Fiscalità internazionale
CFC: tassazione degli utili «per trasparenza» a convenienza variabile
Alcune asimmetrie di sistema possono rendere conveniente l’imposizione per trasparenza rispetto ai flussi «per
/ Giovedì 30 giugno 2011
La tassazione per trasparenza, di cui agli artt. 167 e 168 del TUIR, è scenario che il contribuente italiano, titolare di partecipazioni di controllo o di collegamento in soggetti paradisiaci, potrebbe anche non avversare, in ragione di talune asimmetrie di sistema.
Il socio italiano, interessato a una distribuzione degli utili conseguiti dall’investimento oltre confine, è destinato a scontare su di essi una tassazione integrale, ai fini IRPEF (posizioni “qualificate”) o IRES, se non è in grado di invocare l’esimente di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR: quest’ultima subordina i regimi di parziale esclusione da imposizione dei dividendi alla dimostrazione che dalle partecipazioni non è stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in giurisdizioni off shore.
In tale scenario, in presenza di una tassazione estera, per quanto minima, l’imposizione per trasparenza ai sensi della disciplina CFC si rivelerà certamente più vantaggiosa della tassazione dei flussi “per cassa”.
Si pensi al caso seguente:
- utile ante imposte della CFC, frutto di attività commerciale e suscettibile di imputazione per competenza, pari a 100;
- aliquota di tassazione del reddito nel territorio estero pari al 5%;
- assenza di ritenute sui dividendi in uscita;
- socio di controllo o collegamento italiano, società di capitali, con aliquota media sul reddito complessivo pari a quella ordinaria IRES.
La tassazione per trasparenza vedrà gli utili lordi esteri subire una tassazione globale di 27,5, in parte versata all’estero (5), in parte in Italia (22,5), grazie al meccanismo del credito d’imposta ex art. 165 del TUIR. La pretesa impositiva italiana sulle somme in questione sarà esaurita, in ragione dell’applicazione del successivo art. 167, comma 7, a norma del quale gli utili distribuiti dalla partecipata estera non concorrono a formare il reddito del soggetto residente sino a concorrenza di quanto già traslato per trasparenza.
Nel caso in cui, invece, la disciplina CFC fosse disapplicata, il carico fiscale globale gravante sugli stessi utili, nell’incapacità di invocare l’esimente di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR, sarebbe pari a 31,125, frutto della somma tra le imposte estere di 5 (5% di 100) e l’IRES di 26,125 (27,5% di 95) richiesta in sede di distribuzione.
È giocoforza notare come il differenziale esistente tra le due ipotesi, qui pari a 3,625, sarà destinato a crescere all’aumentare del carico fiscale esistente oltreconfine e a diminuire, a parità di altre condizioni, in presenza di una maggiore imposizione italiana.
La conclusione dovrebbe essere negativa, solo avendo a mente il passaggio della circolare 26 maggio 2011, n. 23, a detta del quale l’adozione del regime CFC non può essere basata “su valutazioni di convenienza del contribuente residente”: nondimeno, ci si interroga sulla reale possibilità per l’Erario di gestire efficacemente un contradditorio con il contribuente, che verta sull’esistenza di esimenti che quest’ultimo non invoca.
Il socio italiano, interessato a una distribuzione degli utili conseguiti dall’investimento oltre confine, è destinato a scontare su di essi una tassazione integrale, ai fini IRPEF (posizioni “qualificate”) o IRES, se non è in grado di invocare l’esimente di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR: quest’ultima subordina i regimi di parziale esclusione da imposizione dei dividendi alla dimostrazione che dalle partecipazioni non è stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in giurisdizioni off shore.
In tale scenario, in presenza di una tassazione estera, per quanto minima, l’imposizione per trasparenza ai sensi della disciplina CFC si rivelerà certamente più vantaggiosa della tassazione dei flussi “per cassa”.
Si pensi al caso seguente:
- utile ante imposte della CFC, frutto di attività commerciale e suscettibile di imputazione per competenza, pari a 100;
- aliquota di tassazione del reddito nel territorio estero pari al 5%;
- assenza di ritenute sui dividendi in uscita;
- socio di controllo o collegamento italiano, società di capitali, con aliquota media sul reddito complessivo pari a quella ordinaria IRES.
La tassazione per trasparenza vedrà gli utili lordi esteri subire una tassazione globale di 27,5, in parte versata all’estero (5), in parte in Italia (22,5), grazie al meccanismo del credito d’imposta ex art. 165 del TUIR. La pretesa impositiva italiana sulle somme in questione sarà esaurita, in ragione dell’applicazione del successivo art. 167, comma 7, a norma del quale gli utili distribuiti dalla partecipata estera non concorrono a formare il reddito del soggetto residente sino a concorrenza di quanto già traslato per trasparenza.
Nel caso in cui, invece, la disciplina CFC fosse disapplicata, il carico fiscale globale gravante sugli stessi utili, nell’incapacità di invocare l’esimente di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR, sarebbe pari a 31,125, frutto della somma tra le imposte estere di 5 (5% di 100) e l’IRES di 26,125 (27,5% di 95) richiesta in sede di distribuzione.
È giocoforza notare come il differenziale esistente tra le due ipotesi, qui pari a 3,625, sarà destinato a crescere all’aumentare del carico fiscale esistente oltreconfine e a diminuire, a parità di altre condizioni, in presenza di una maggiore imposizione italiana.
L’applicazione non può basarsi su valutazioni di opportunità
È legittimo chiedersi a questo punto se l’applicazione o meno della normativa CFC possa derivare da valutazioni di opportunità del contribuente. Il caso al quale ci si riferisce è quello del socio italiano che non disapplichi la tassazione per trasparenza, pur nella piena possibilità di invocare le esimenti di legge (verosimilmente quella di cui all’art. 167, comma 5, lett. a) del TUIR), in ragione dell’impossibilità di usufruire della parziale esclusione da imposizione sui dividendi distribuiti da quest’ultima.La conclusione dovrebbe essere negativa, solo avendo a mente il passaggio della circolare 26 maggio 2011, n. 23, a detta del quale l’adozione del regime CFC non può essere basata “su valutazioni di convenienza del contribuente residente”: nondimeno, ci si interroga sulla reale possibilità per l’Erario di gestire efficacemente un contradditorio con il contribuente, che verta sull’esistenza di esimenti che quest’ultimo non invoca.
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