iva
IVA in Italia se il prestatore è fiscalmente residente nel territorio nazionale
Dopo le modifiche in vigore dal 2010, i concetti di domicilio e di residenza vanno interpretati alla luce della normativa comunitaria
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14071, depositata il 27 giugno 2011, ha stabilito che si considerano territorialmente rilevanti in Italia i servizi resi dal soggetto passivo che, pur se anagraficamente residente all’estero, abbia nel nostro Paese la dimora abituale e la sede dei suoi affari e interessi. In tale evenienza, l’obbligo d’imposta ricade sul prestatore anche se il committente italiano ha provveduto ad autofatturare i servizi ricevuti e ad assolvere la relativa imposta.
Tali principi sono stati espressi in riferimento alla disciplina vigente fino a tutto il 2009, quando trovava applicazione la regola generale prevista dall’art. 7, comma 3, del DPR n. 633/1972, fondata sul luogo di domicilio o di residenza del prestatore.
Anche dopo il passaggio al nuovo sistema impositivo (cfr. DLgs. 18/2010), basato sulla tassazione – in via alternata – nel luogo di stabilimento del committente (per i servizi “B2B”) e nel luogo di stabilimento del prestatore (per i servizi “B2C”), la territorialità continua ad essere riferita al domicilio e alla residenza dell’operatore. Ora come prima, il luogo impositivo deve essere individuato avendo riguardo al domicilio e, in subordine, nel caso in cui il medesimo sia situato all’estero, alla residenza, con l’avvertenza che, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, i parametri del domicilio e della residenza si riferiscono, rispettivamente, alla sede legale e alla sede effettiva (cfr. art. 7, comma 1, lett. d) del DPR n. 633/1972).
Sul punto, i giudici di vertice, in linea con quanto indicato dalla prassi amministrativa (cfr. risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 369/2008), hanno affermato che, in base all’art. 43 c.c., il domicilio è il centro principale degli affari e degli interessi, mentre la residenza coincide con la dimora abituale. Ne consegue che la territorialità, per le persone fisiche, è determinata in funzione del luogo degli affari e degli interessi, ovvero, se quest’ultimo è collocato all’estero, del luogo di dimora abituale, normalmente inteso come residenza anagrafica.
Dalla normativa comunitaria di riferimento (artt. 44 e 45 della Direttiva n. 2006/112/CE), interpretata alla luce delle disposizioni applicative contenute nel Reg. UE n. 282/2011 (in vigore dal 1° luglio 2011), si evince che, per le persone fisiche, il servizio è attratto a tassazione nel luogo in cui ha sede l’attività del soggetto passivo. Accanto a questa regola generale, la norma regolamentare prevede che, in assenza della sede, occorre riferirsi al luogo del domicilio (rectius, indirizzo permanente) o della residenza abituale.
Nel caso risolto dalla Suprema Corte, le prestazioni rese dall’artista residente anagraficamente all’estero (nella specie, nel Principato di Monaco) assumono in ogni caso rilevanza in Italia, in quanto dimostrato, nei gradi di merito della controversia, che ivi è situato il centro dei suoi affari e interessi. Per la normativa italiana, la stessa conclusione si applicherebbe nell’ipotesi opposta, cioè nel caso in cui l’artista abbia mantenuto la dimora abituale in Italia pur essendo stabilito all’estero il centro dei suoi affari e interessi. Si tratta, come detto, di una conclusione incompatibile con la legislazione comunitaria: quest’ultima, considerando complementari, anziché alternati, i corrispondenti parametri del domicilio e della residenza, implica che le prestazioni in esame siano escluse da IVA in Italia.
Tali principi sono stati espressi in riferimento alla disciplina vigente fino a tutto il 2009, quando trovava applicazione la regola generale prevista dall’art. 7, comma 3, del DPR n. 633/1972, fondata sul luogo di domicilio o di residenza del prestatore.
Anche dopo il passaggio al nuovo sistema impositivo (cfr. DLgs. 18/2010), basato sulla tassazione – in via alternata – nel luogo di stabilimento del committente (per i servizi “B2B”) e nel luogo di stabilimento del prestatore (per i servizi “B2C”), la territorialità continua ad essere riferita al domicilio e alla residenza dell’operatore. Ora come prima, il luogo impositivo deve essere individuato avendo riguardo al domicilio e, in subordine, nel caso in cui il medesimo sia situato all’estero, alla residenza, con l’avvertenza che, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, i parametri del domicilio e della residenza si riferiscono, rispettivamente, alla sede legale e alla sede effettiva (cfr. art. 7, comma 1, lett. d) del DPR n. 633/1972).
Sul punto, i giudici di vertice, in linea con quanto indicato dalla prassi amministrativa (cfr. risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 369/2008), hanno affermato che, in base all’art. 43 c.c., il domicilio è il centro principale degli affari e degli interessi, mentre la residenza coincide con la dimora abituale. Ne consegue che la territorialità, per le persone fisiche, è determinata in funzione del luogo degli affari e degli interessi, ovvero, se quest’ultimo è collocato all’estero, del luogo di dimora abituale, normalmente inteso come residenza anagrafica.
Dalla normativa comunitaria di riferimento (artt. 44 e 45 della Direttiva n. 2006/112/CE), interpretata alla luce delle disposizioni applicative contenute nel Reg. UE n. 282/2011 (in vigore dal 1° luglio 2011), si evince che, per le persone fisiche, il servizio è attratto a tassazione nel luogo in cui ha sede l’attività del soggetto passivo. Accanto a questa regola generale, la norma regolamentare prevede che, in assenza della sede, occorre riferirsi al luogo del domicilio (rectius, indirizzo permanente) o della residenza abituale.
Residenza abituale complementare all’indirizzo permanente
Dalla disposizione comunitaria, a differenza della normativa interna, si intende che il parametro della residenza abituale è complementare a quello dell’indirizzo permanente, nel senso che – al fine di garantire l’imponibilità del servizio nel luogo in cui si verifica il suo consumo effettivo – la residenza anagrafica (indirizzo permanente) conta se coincide con il centro degli affari e degli interessi (residenza abituale). In caso contrario, è la residenza abituale, cioè il luogo in cui la persona fisica “vive abitualmente a motivo di interessi personali e professionali” (art. 13 del Regolamento), a determinare il luogo impositivo, in ottemperanza all’approccio sostanziale diretto a tassare il servizio dove risulta effettivamente utilizzato.Nel caso risolto dalla Suprema Corte, le prestazioni rese dall’artista residente anagraficamente all’estero (nella specie, nel Principato di Monaco) assumono in ogni caso rilevanza in Italia, in quanto dimostrato, nei gradi di merito della controversia, che ivi è situato il centro dei suoi affari e interessi. Per la normativa italiana, la stessa conclusione si applicherebbe nell’ipotesi opposta, cioè nel caso in cui l’artista abbia mantenuto la dimora abituale in Italia pur essendo stabilito all’estero il centro dei suoi affari e interessi. Si tratta, come detto, di una conclusione incompatibile con la legislazione comunitaria: quest’ultima, considerando complementari, anziché alternati, i corrispondenti parametri del domicilio e della residenza, implica che le prestazioni in esame siano escluse da IVA in Italia.
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