operazioni straordinarie
Plusvalenza da cessione, il solo dato contabile non vince la presunzione
Come prova contraria, il contribuente deve documentare circostanze soggettive e oggettive e produrre copia della documentazione bancaria
/ Lunedì 22 agosto 2011
L’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere, in via induttiva, all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore dell’avviamento, realizzata a seguito di cessione d’azienda, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere del contribuente superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto a un prezzo inferiore.
Si fa sempre più largo, anche nelle pronunce dei giudici di merito, l’orientamento già più volte ribadito dalla Corte di Cassazione e, questa volta, tocca alla Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli (sezione I), con la sentenza n. 18 dello scorso 21 marzo 2011, respingere il ricorso del contribuente, basato sul rifiuto dell’automatica traslazione ai fini delle imposte sul reddito del maggior valore emerso ai fini dell’imposta di registro.
Come il contribuente ricorrente, anche la migliore dottrina assolutamente prevalente rifugge da sempre da questa impostazione, ritenendola poco rispettosa dell’oggettiva diversità tra le caratteristiche proprie dell’ambito delle imposte d’atto (fondato sul valore effettivo) e di quello delle imposte sul reddito (fondato sul valore realizzato).
È però ormai da tempo che la giurisprudenza della Corte di Cassazione pare ormai consolidata nel senso di ritenere il maggior valore definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro quale elemento sufficiente a generare una presunzione idonea a traslare sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
Per tutte, si ricorda la sentenza n. 18705 dello scorso 13 agosto 2010, con la quale la Corte di Cassazione ha nuovamente statuito che “in tema di accertamento del reddito d’impresa, il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione dell’azienda”.
Ecco che, come già si è avuto modo di evidenziare in passato su questo giornale, se è giusto non abbandonare in sede di contradditorio e contenzioso i propri convincimenti circa la carenza di motivazione di un accertamento sulla plusvalenza basato esclusivamente sul valore di mercato individuato ai fini dell’imposta di registro, bisogna con pragmatismo concentrarsi anche su quest’ultimo aspetto: quello della prova contraria con la quale il contribuente può disinnescare la presunzione relativa di (inopinata) elaborazione giurisprudenziale.
Perché è la stessa sentenza n. 18705/2010 a ribadire che la presunzione è comunque relativa, “restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato, mediante la prova, desumibile dalle scritture contabili o da altri elementi, di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore”.
In verità, dalla lettura della sentenza sembrerebbe emergere la piena consapevolezza del problema, da parte del ricorrente, tanto che risulta come lo stesso abbia opportunamente fatto constatare “l’assenza, nelle scritture contabili, di pagamento maggiore di quanto dichiarato”.
Questo è il vero campanello di allarme che fa suonare la sentenza, essendo gli altri aspetti, come detto, ormai noti nell’interpretazione della giurisprudenza assolutamente prevalente.
- idonea documentazione atta a comprovare circostanze soggettive riconducibili al cedente (quali, ad esempio, età, motivazioni, legami parentali o affettivi), oppure oggettive riconducibili all’azienda ceduta, per le quali la cessione ha avuto luogo ad un prezzo inferiore al valore di mercato dell’azienda stessa, definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro;
- copia della documentazione bancaria personale del cedente e del cessionario relativa al periodo antecedente e susseguente il perfezionamento della cessione dell’azienda, così da evidenziare l’assenza di movimentazioni finanziarie riconducibili a parziali occultamenti del corrispettivo di cessione.
In particolare, è del tutto lecito ritenere che, nel caso in cui venga spontaneamente prodotta, oltre alla documentazione contabile, anche la documentazione bancaria relativa al cedente e possibilmente pure al cessionario, la presunzione generata dalla mera constatazione del maggior valore di mercato (senza elementi ulteriori a supporto) sia da considerarsi superabile dal contribuente, se non in sede di contradditorio con l’Agenzia delle Entrate, quantomeno in sede contenziosa dinanzi al giudice.
Forse, nel caso di specie, ciò non è accaduto e la presentazione della sola documentazione contabile, senza quella bancaria e alcun tipo di altro elemento a supporto, è stata ritenuta inidonea a vincere da sola la presunzione contraria.
Resta il fatto che, ove tale invincibilità fosse confermata anche in caso di presentazione di tale ulteriore documentazione, la giurisprudenza getterebbe le basi per trasformare da presunzione virtualmente assoluta una presunzione in realtà relativa, dopo che già, non va dimenticato, si è resa essa stessa artefice della sua creazione, in assenza di qualsivoglia previsione espressa di legge in tal senso.
Si fa sempre più largo, anche nelle pronunce dei giudici di merito, l’orientamento già più volte ribadito dalla Corte di Cassazione e, questa volta, tocca alla Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli (sezione I), con la sentenza n. 18 dello scorso 21 marzo 2011, respingere il ricorso del contribuente, basato sul rifiuto dell’automatica traslazione ai fini delle imposte sul reddito del maggior valore emerso ai fini dell’imposta di registro.
Come il contribuente ricorrente, anche la migliore dottrina assolutamente prevalente rifugge da sempre da questa impostazione, ritenendola poco rispettosa dell’oggettiva diversità tra le caratteristiche proprie dell’ambito delle imposte d’atto (fondato sul valore effettivo) e di quello delle imposte sul reddito (fondato sul valore realizzato).
È però ormai da tempo che la giurisprudenza della Corte di Cassazione pare ormai consolidata nel senso di ritenere il maggior valore definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro quale elemento sufficiente a generare una presunzione idonea a traslare sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
Per tutte, si ricorda la sentenza n. 18705 dello scorso 13 agosto 2010, con la quale la Corte di Cassazione ha nuovamente statuito che “in tema di accertamento del reddito d’impresa, il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione dell’azienda”.
Ecco che, come già si è avuto modo di evidenziare in passato su questo giornale, se è giusto non abbandonare in sede di contradditorio e contenzioso i propri convincimenti circa la carenza di motivazione di un accertamento sulla plusvalenza basato esclusivamente sul valore di mercato individuato ai fini dell’imposta di registro, bisogna con pragmatismo concentrarsi anche su quest’ultimo aspetto: quello della prova contraria con la quale il contribuente può disinnescare la presunzione relativa di (inopinata) elaborazione giurisprudenziale.
Perché è la stessa sentenza n. 18705/2010 a ribadire che la presunzione è comunque relativa, “restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato, mediante la prova, desumibile dalle scritture contabili o da altri elementi, di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore”.
In verità, dalla lettura della sentenza sembrerebbe emergere la piena consapevolezza del problema, da parte del ricorrente, tanto che risulta come lo stesso abbia opportunamente fatto constatare “l’assenza, nelle scritture contabili, di pagamento maggiore di quanto dichiarato”.
Questo è il vero campanello di allarme che fa suonare la sentenza, essendo gli altri aspetti, come detto, ormai noti nell’interpretazione della giurisprudenza assolutamente prevalente.
Documentazione bancaria determinante in sede contenziosa
La prova contraria, infatti, a meno che la si voglia trasformare in prova diabolica, deve poter essere fornita dal contribuente mediante la produzione di:- idonea documentazione atta a comprovare circostanze soggettive riconducibili al cedente (quali, ad esempio, età, motivazioni, legami parentali o affettivi), oppure oggettive riconducibili all’azienda ceduta, per le quali la cessione ha avuto luogo ad un prezzo inferiore al valore di mercato dell’azienda stessa, definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro;
- copia della documentazione bancaria personale del cedente e del cessionario relativa al periodo antecedente e susseguente il perfezionamento della cessione dell’azienda, così da evidenziare l’assenza di movimentazioni finanziarie riconducibili a parziali occultamenti del corrispettivo di cessione.
In particolare, è del tutto lecito ritenere che, nel caso in cui venga spontaneamente prodotta, oltre alla documentazione contabile, anche la documentazione bancaria relativa al cedente e possibilmente pure al cessionario, la presunzione generata dalla mera constatazione del maggior valore di mercato (senza elementi ulteriori a supporto) sia da considerarsi superabile dal contribuente, se non in sede di contradditorio con l’Agenzia delle Entrate, quantomeno in sede contenziosa dinanzi al giudice.
Forse, nel caso di specie, ciò non è accaduto e la presentazione della sola documentazione contabile, senza quella bancaria e alcun tipo di altro elemento a supporto, è stata ritenuta inidonea a vincere da sola la presunzione contraria.
Resta il fatto che, ove tale invincibilità fosse confermata anche in caso di presentazione di tale ulteriore documentazione, la giurisprudenza getterebbe le basi per trasformare da presunzione virtualmente assoluta una presunzione in realtà relativa, dopo che già, non va dimenticato, si è resa essa stessa artefice della sua creazione, in assenza di qualsivoglia previsione espressa di legge in tal senso.
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