accertamento
Accertamento per antieconomicità legittimo, se si riduce il ricarico
La Cassazione ha ribadito che il contribuente deve fornire un’adeguata giustificazione della sproporzione fra ricavi ridotti e costi molto elevati
/ Sabato 30 luglio 2011
Il giudice tributario non può annullare l’atto impositivo, se il contribuente non fornisce un’adeguata giustificazione della manifesta antieconomicità della gestione aziendale, desunta dalla drastica riduzione della percentuale di ricarico dell’anno oggetto di controllo rispetto a quelli precedenti. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 16642 di ieri, 29 luglio.
La pronuncia trae origine da un accertamento notificato ad un srl, con cui l’ufficio competente aveva rettificato il reddito di quest’ultima con procedimento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/1973. In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva rilevato che la società, a fronte di una percentuale di ricarico degli anni precedenti pari a circa il 90%, nell’annualità oggetto di controllo essa risultava soltanto del 35%. Questa drastica riduzione – secondo il Fisco – rappresentava il frutto di una gestione palesemente antieconomica, che consentiva, quindi, di procedere ad accertamento analitico-induttivo. La società proponeva ricorso, adducendo che il ridimensionamento della percentuale di ricarico era dovuto al negativo mutare delle condizioni di mercato, nonché soprattutto al fatto che, a partire dall’anno oggetto di controllo, per accordi con la sua controllante, essa doveva acquistare anche accessori necessari all’installazione dei manufatti prodotti, da rivendere, però, alla controllante al prezzo di costo, onde consentirle una più facile penetrazione del mercato. I giudici di primo grado, quindi, accoglievano il ricorso.
Appellava l’ufficio, affermando che la giustificazione della società rappresentava il risultato di accordi tra controllata e controllante volti a trasferire materia imponibile da una società all’altra, per conseguire indebiti vantaggi fiscali per il gruppo. La censura dell’Agenzia, però, non veniva accolta dalla C.T. Reg., la quale riteneva sussistenti elementi sufficienti ad escludere la possibilità dei maggiori ricavi accertati, quali regolarità formale della contabilità, qualità della clientela “finale” che avrebbe impedito la produzione di ricavi extracontabili ed esistenza di ragioni idonee a giustificare la contrazione della predetta percentuale di ricarico.
Proponendo ricorso per Cassazione, l’Amministrazione finanziaria denunciava, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/1973, atteso che il giudice di merito aveva ritenuto assolto l’onere probatorio da parte della società, pur in presenza di una manifesta antieconomicità della gestione aziendale non adeguatamente giustificata dalla stessa contribuente; inoltre, il giudice di merito non aveva motivato sufficientemente sui plurimi indizi dai quali era desumibile che l’obiettivo della strategia di gruppo non fosse quello di massimizzare le vendite della controllante, ma di “transitare” verso quest’ultima una parte dei ricavi della controllata.
A tal proposito, i Supremi Giudici hanno innanzitutto ricordato la loro consolidata giurisprudenza, in base alla quale una sproporzione fra ricavi ridotti e costi molto elevati, tale da indurre a ritenere antieconomica la gestione aziendale, legittima l’accertamento analitico-induttivo basato sulle poste passive dichiarate dal contribuente (cfr. Cass. 21165/2005). Inoltre, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non giustifichi in alcun modo, è legittimo l’accertamento presuntivo e il giudice tributario non può annullarlo se non specificando, con valide argomentazioni, le ragioni per cui ritenga che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni tributarie (cfr. Cass. n. 14428/2005, 951/2009, 24532/2007, 20857/2007, 11559/2007).
Nel caso di specie – secondo la Suprema Corte – i giudici di merito non avevano adeguatamente motivato perché avessero ritenuto la riscontrata antieconomicità non sintomatica di evasione: infatti, la giustificazione fornita dalla contribuente, circa il sostenimento di costi per l’acquisto di accessori da rivendere a prezzo di costo alla controllante, non spiega – secondo i Giudici di piazza Cavour – quale interesse avrebbe potuto spingere ad una simile scelta, che avrebbe inevitabilmente danneggiato la controllata, senza incidere su un costo insopprimibile di produzione, semplicemente e fittiziamente spostato dall’uno all’altro soggetto, senza alcuna reale economia (il costo rimaneva immutato); peraltro, tale motivazione della contribuente, sulla base dei dati contabili rilevati, non sarebbe comunque stata sufficiente a giustificare una così drastica riduzione della percentuale di ricarico. Gli Ermellini hanno quindi cassato la sentenza e rinviato la causa ad altra sezione della C.T. Reg.
Anche con la più recente pronuncia 27 gennaio 2010 n. 1647, la Cassazione aveva stabilito che, se l’ufficio motiva sufficientemente, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, null’altro è tenuto a provare, mentre grava sul contribuente l’onere di giustificare la contestata antieconomicità.
La pronuncia trae origine da un accertamento notificato ad un srl, con cui l’ufficio competente aveva rettificato il reddito di quest’ultima con procedimento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/1973. In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva rilevato che la società, a fronte di una percentuale di ricarico degli anni precedenti pari a circa il 90%, nell’annualità oggetto di controllo essa risultava soltanto del 35%. Questa drastica riduzione – secondo il Fisco – rappresentava il frutto di una gestione palesemente antieconomica, che consentiva, quindi, di procedere ad accertamento analitico-induttivo. La società proponeva ricorso, adducendo che il ridimensionamento della percentuale di ricarico era dovuto al negativo mutare delle condizioni di mercato, nonché soprattutto al fatto che, a partire dall’anno oggetto di controllo, per accordi con la sua controllante, essa doveva acquistare anche accessori necessari all’installazione dei manufatti prodotti, da rivendere, però, alla controllante al prezzo di costo, onde consentirle una più facile penetrazione del mercato. I giudici di primo grado, quindi, accoglievano il ricorso.
Appellava l’ufficio, affermando che la giustificazione della società rappresentava il risultato di accordi tra controllata e controllante volti a trasferire materia imponibile da una società all’altra, per conseguire indebiti vantaggi fiscali per il gruppo. La censura dell’Agenzia, però, non veniva accolta dalla C.T. Reg., la quale riteneva sussistenti elementi sufficienti ad escludere la possibilità dei maggiori ricavi accertati, quali regolarità formale della contabilità, qualità della clientela “finale” che avrebbe impedito la produzione di ricavi extracontabili ed esistenza di ragioni idonee a giustificare la contrazione della predetta percentuale di ricarico.
Proponendo ricorso per Cassazione, l’Amministrazione finanziaria denunciava, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/1973, atteso che il giudice di merito aveva ritenuto assolto l’onere probatorio da parte della società, pur in presenza di una manifesta antieconomicità della gestione aziendale non adeguatamente giustificata dalla stessa contribuente; inoltre, il giudice di merito non aveva motivato sufficientemente sui plurimi indizi dai quali era desumibile che l’obiettivo della strategia di gruppo non fosse quello di massimizzare le vendite della controllante, ma di “transitare” verso quest’ultima una parte dei ricavi della controllata.
A tal proposito, i Supremi Giudici hanno innanzitutto ricordato la loro consolidata giurisprudenza, in base alla quale una sproporzione fra ricavi ridotti e costi molto elevati, tale da indurre a ritenere antieconomica la gestione aziendale, legittima l’accertamento analitico-induttivo basato sulle poste passive dichiarate dal contribuente (cfr. Cass. 21165/2005). Inoltre, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non giustifichi in alcun modo, è legittimo l’accertamento presuntivo e il giudice tributario non può annullarlo se non specificando, con valide argomentazioni, le ragioni per cui ritenga che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni tributarie (cfr. Cass. n. 14428/2005, 951/2009, 24532/2007, 20857/2007, 11559/2007).
Nel caso di specie – secondo la Suprema Corte – i giudici di merito non avevano adeguatamente motivato perché avessero ritenuto la riscontrata antieconomicità non sintomatica di evasione: infatti, la giustificazione fornita dalla contribuente, circa il sostenimento di costi per l’acquisto di accessori da rivendere a prezzo di costo alla controllante, non spiega – secondo i Giudici di piazza Cavour – quale interesse avrebbe potuto spingere ad una simile scelta, che avrebbe inevitabilmente danneggiato la controllata, senza incidere su un costo insopprimibile di produzione, semplicemente e fittiziamente spostato dall’uno all’altro soggetto, senza alcuna reale economia (il costo rimaneva immutato); peraltro, tale motivazione della contribuente, sulla base dei dati contabili rilevati, non sarebbe comunque stata sufficiente a giustificare una così drastica riduzione della percentuale di ricarico. Gli Ermellini hanno quindi cassato la sentenza e rinviato la causa ad altra sezione della C.T. Reg.
Anche con la più recente pronuncia 27 gennaio 2010 n. 1647, la Cassazione aveva stabilito che, se l’ufficio motiva sufficientemente, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, null’altro è tenuto a provare, mentre grava sul contribuente l’onere di giustificare la contestata antieconomicità.
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