iva
L’Agenzia ritorna sulla territorialità IVA dei servizi
Chiarite le novità in materia di territorialità e di «reverse charge», alla luce del Regolamento di esecuzione entrato in vigore il 1° luglio 2011
/ Sabato 30 luglio 2011
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 37 di ieri, 29 luglio 2011, ha esaminato – in forma sistematica – le novità introdotte dal DLgs. n. 18/2010, di recepimento del c.d. “VAT package”, in materia di territorialità delle prestazioni di servizi e di reverse charge. L’interpretazione delle intervenute modifiche normative è stata effettuata anche alla luce del Reg. UE n. 282/2011, contenente le disposizioni di applicazione della Direttiva IVA, vincolanti per tutti i Paesi membri dal 1° luglio 2011.
Come indicato dall’Agenzia, fino all’emanazione della circolare in commento non saranno sanzionabili i comportamenti tenuti dai contribuenti in difformità dal Regolamento comunitario.
Passando ad analizzare i criteri territoriali applicabili, dal 1° gennaio 2010, alle prestazioni di servizi “generiche”, occorre distinguere a seconda che il committente sia o meno un soggetto passivo che agisce in quanto tale nel Paese in cui è stabilito. Per i servizi “B2B” è, pertanto, irrilevante sia il luogo di stabilimento del prestatore, sia il luogo di utilizzazione del servizio.
Laddove il committente sia stabilito in altro Paese membro, la delocalizzazione della prestazione presuppone, innanzi tutto, che il prestatore sia in grado di dimostrare la soggettività passiva della controparte; a tal fine, l’operatore italiano deve ottenere, attraverso il sistema VIES, la conferma della validità del numero identificativo IVA comunicato dal committente comunitario, ovvero – direttamente da quest’ultimo – la richiesta di attribuzione del codice identificativo. Nei restanti casi, il prestatore, salvo che disponga di informazioni contrarie circa lo status del committente, è legittimato a qualificare la prestazione come territorialmente rilevante in quanto resa a un non soggetto passivo.
Se il committente non è stabilito nella Comunità, la soggettività passiva può essere verificata attraverso l’apposita certificazione rilasciata dalle Autorità fiscali per accedere al “rimborso diretto” di cui all’art. 38-ter del DPR n. 633/1972. Dato che tale possibilità è ammessa solo per la Norvegia, la Svizzera e Israele, nei cui confronti opera la condizione di reciprocità richiesta dalla normativa in materia di rimborsi IVA, lo status di soggetto passivo del destinatario stabilito in un diverso Paese terzo può essere dimostrato attraverso l’eventuale numero identificativo rilasciato dalla competente Autorità fiscale oppure ricorrendo a qualsiasi altra prova attestante la soggettività passiva.
Oltre allo status, il prestatore italiano deve verificare la destinazione del servizio in capo al committente, se cioè viene impiegato nell’attività economica svolta. Sul punto, il Regolamento stabilisce, da un lato, che un soggetto passivo o un ente non soggetto passivo assimilato a un soggetto passivo che riceve servizi destinati esclusivamente a un uso privato, ivi compreso l’uso dei suoi dipendenti, è considerato come un soggetto non passivo e, dall’altra, che l’utilizzo “misto” del servizio – per fini privati e imprenditoriali/professionali – si considera effettuato da un soggetto passivo. Alla luce di tali indicazioni, la presunzione di soggettività passiva prevista dalla norma interna per le società e gli enti deve essere opportunamente interpretata, dovendosi qualificare il committente come un non soggetto passivo se il servizio è destinato all’uso privato delle persone facenti parte degli organi delle società o enti, ovvero dei loro dipendenti.
La verifica in esame, relativa alla qualità di soggetto passivo del committente, va effettuata tenendo conto della natura del servizio; se compatibile sia con la sfera privata, sia con la veste di soggetto passivo del committente, la prestazione si considera “B2B” se il committente (comunitario) ha comunicato il proprio codice IVA. Qualora il destinatario sia extracomunitario, la detassazione della prestazione presuppone che il prestatore acquisisca gli elementi che dimostrino l’utilizzo del servizio nell’attività economica del committente.
L’ulteriore verifica richiesta al prestatore riguarda il luogo di stabilimento della controparte, identificato, di regola, con quello della sede legale, ove vengono prese le decisioni essenziali concernenti la gestione generale dell’impresa o dove si riunisce la direzione; anche la stabile organizzazione è idonea ad attrarre a tassazione il servizio di cui sia destinataria.
Alla luce della disciplina di cui sopra, per le prestazioni di servizi “generiche” rese nei confronti di committenti non soggetti passivi IVA, la territorialità continua ad applicarsi – anche dopo le modifiche operate con effetto dal 2010 – in riferimento al luogo di stabilimento del prestatore.
Come indicato dall’Agenzia, fino all’emanazione della circolare in commento non saranno sanzionabili i comportamenti tenuti dai contribuenti in difformità dal Regolamento comunitario.
Passando ad analizzare i criteri territoriali applicabili, dal 1° gennaio 2010, alle prestazioni di servizi “generiche”, occorre distinguere a seconda che il committente sia o meno un soggetto passivo che agisce in quanto tale nel Paese in cui è stabilito. Per i servizi “B2B” è, pertanto, irrilevante sia il luogo di stabilimento del prestatore, sia il luogo di utilizzazione del servizio.
Laddove il committente sia stabilito in altro Paese membro, la delocalizzazione della prestazione presuppone, innanzi tutto, che il prestatore sia in grado di dimostrare la soggettività passiva della controparte; a tal fine, l’operatore italiano deve ottenere, attraverso il sistema VIES, la conferma della validità del numero identificativo IVA comunicato dal committente comunitario, ovvero – direttamente da quest’ultimo – la richiesta di attribuzione del codice identificativo. Nei restanti casi, il prestatore, salvo che disponga di informazioni contrarie circa lo status del committente, è legittimato a qualificare la prestazione come territorialmente rilevante in quanto resa a un non soggetto passivo.
Se il committente non è stabilito nella Comunità, la soggettività passiva può essere verificata attraverso l’apposita certificazione rilasciata dalle Autorità fiscali per accedere al “rimborso diretto” di cui all’art. 38-ter del DPR n. 633/1972. Dato che tale possibilità è ammessa solo per la Norvegia, la Svizzera e Israele, nei cui confronti opera la condizione di reciprocità richiesta dalla normativa in materia di rimborsi IVA, lo status di soggetto passivo del destinatario stabilito in un diverso Paese terzo può essere dimostrato attraverso l’eventuale numero identificativo rilasciato dalla competente Autorità fiscale oppure ricorrendo a qualsiasi altra prova attestante la soggettività passiva.
Oltre allo status, il prestatore italiano deve verificare la destinazione del servizio in capo al committente, se cioè viene impiegato nell’attività economica svolta. Sul punto, il Regolamento stabilisce, da un lato, che un soggetto passivo o un ente non soggetto passivo assimilato a un soggetto passivo che riceve servizi destinati esclusivamente a un uso privato, ivi compreso l’uso dei suoi dipendenti, è considerato come un soggetto non passivo e, dall’altra, che l’utilizzo “misto” del servizio – per fini privati e imprenditoriali/professionali – si considera effettuato da un soggetto passivo. Alla luce di tali indicazioni, la presunzione di soggettività passiva prevista dalla norma interna per le società e gli enti deve essere opportunamente interpretata, dovendosi qualificare il committente come un non soggetto passivo se il servizio è destinato all’uso privato delle persone facenti parte degli organi delle società o enti, ovvero dei loro dipendenti.
La verifica in esame, relativa alla qualità di soggetto passivo del committente, va effettuata tenendo conto della natura del servizio; se compatibile sia con la sfera privata, sia con la veste di soggetto passivo del committente, la prestazione si considera “B2B” se il committente (comunitario) ha comunicato il proprio codice IVA. Qualora il destinatario sia extracomunitario, la detassazione della prestazione presuppone che il prestatore acquisisca gli elementi che dimostrino l’utilizzo del servizio nell’attività economica del committente.
L’ulteriore verifica richiesta al prestatore riguarda il luogo di stabilimento della controparte, identificato, di regola, con quello della sede legale, ove vengono prese le decisioni essenziali concernenti la gestione generale dell’impresa o dove si riunisce la direzione; anche la stabile organizzazione è idonea ad attrarre a tassazione il servizio di cui sia destinataria.
Alla luce della disciplina di cui sopra, per le prestazioni di servizi “generiche” rese nei confronti di committenti non soggetti passivi IVA, la territorialità continua ad applicarsi – anche dopo le modifiche operate con effetto dal 2010 – in riferimento al luogo di stabilimento del prestatore.
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