iva
Chiusura delle partite IVA inattive con dubbi
L’Agenzia ha fornito chiarimenti contrastanti sulla sanatoria, riguardo all’obbligo di presentazione della dichiarazione di cessazione attività
Si denomina circolare l’atto amministrativo con cui l’amministrazione centrale si rivolge alle autorità inferiori impartendo loro istruzioni di servizio. Con lo stesso documento, molto spesso, vengono risolti dubbi in relazione all’applicazione di una legge o vengono indicati i criteri da seguire nella sua pratica esecuzione. Inoltre, nei rapporti interni, essa è pure usata per far conoscere al funzionario notizie che interessano un particolare servizio. Resta inteso che la circolare non ha efficacia di legge né di regolamento.
Ricordarsi, ogni tanto, di qualche nozione, come quella poco prima citata, non nuoce, specie quando si tratta di far conoscere ai contribuenti gli adempimenti che devono essere osservati. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 41 del 5 agosto scorso, anziché dissipare qualche dubbio, produce alcune difficoltà operative proprio in tema di adempimenti riguardanti la chiusura delle partite IVA inattive.
Va ricordato che l’articolo 23, commi 22 e 23, del DL n. 98/2011, convertito dalla L. n. 111/2011, dispone la cancellazione d’ufficio delle partite IVA inattive da tre anni, prevedendo, altresì, una sanatoria per l’ipotesi di mancata dichiarazione di cessazione attività. In particolare, il comma 22 inserisce il comma 15-quinquies all’articolo 35 del DPR n. 633/1972, stabilendo che l’attribuzione del numero di partita IVA è revocata qualora per tre annualità consecutive il titolare:
- non abbia esercitato l’attività d’impresa o di arti e professioni;
- o, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale in materia di IVA, non abbia adempiuto a tale obbligo.
Il provvedimento di revoca è impugnabile davanti le Commissioni tributarie.
Il comma 23, invece, introduce una sanatoria per i titolari di partita IVA che, sebbene obbligati, non abbiano tempestivamente presentato la dichiarazione di cessazione attività. La disposizione intende agevolare l’adempimento spontaneo dei contribuenti, i quali devono versare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, vale a dire entro il 4 ottobre 2011, un importo pari alla sanzione minima indicata nell’articolo 5, comma 6, primo periodo, del DLgs. n. 471/1997, ridotta a un quarto. In pratica, si versa una sanzione pari a 129 euro. Non è, in ogni caso, possibile accedere alla sanatoria qualora la violazione sia già stata constatata con atto portato a conoscenza del contribuente.
La risoluzione n. 72 dell’11 luglio 2011 ha indicato il codice tributo “8110”, da utilizzare per il versamento della sanzione ridotta.
Tanto precisato, il dubbio sorge per effetto delle divergenze contenute nel comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate dell’11 luglio scorso e nella circolare in commento, a proposito degli adempimenti che il contribuente deve eseguire per usufruire della sanatoria. Nel comunicato stampa si legge che “per aderire alla norma di favore è sufficiente provvedere al versamento tramite F24, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, dell’importo di 129 euro, indicando il codice tributo 8110, la partita IVA da chiudere e l’anno di cessazione dell’attività. Nell’ottica della semplificazione non è necessario presentare anche la dichiarazione di cessazione attività, con il mod. AA7 (previsto per i soggetti diversi dalle persone fisiche) o il mod. AA9 (previsto per le imprese individuali e lavoratori autonomi), perché la chiusura della partita IVA verrà effettuata dall’Agenzia sulla base dei dati desunti dal modello F24 presentato”.
La circolare n. 41/2011, invece, chiarisce che i contribuenti possono sanare la mancata presentazione della dichiarazione di cessazione attività “presentando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, la dichiarazione di cessazione di attività”, oltre a versare l’importo di 129 euro.
La domanda sorge spontanea: il contribuente che vuole usufruire della sanatoria deve o non ha l’obbligo di presentare la dichiarazione di cessazione attività? Analizzando il comma 23, che tratta dell’agevolazione, si evince che non è previsto l’adempimento concernente la presentazione del modello e, dunque, sembra corretta l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nel comunicato stampa. Ne consegue che, l’Agenzia rileva la cessazione attività dal campo “elementi identificativi” contenuto nel modello F24, che il contribuente deve redigere per avvalersi della sanatoria. In proposito, comunque, sembra opportuno un nuovo intervento dell’Amministrazione finanziaria, volto a risolvere il problema.
Si segnala, infine, un’imperfezione, non di poco conto, contenuta nel comunicato stampa, dove viene indicato come termine ultimo, per usufruire della sanatoria, quello di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della L. n. 111/2011, ossia dal 17 luglio scorso. In realtà, come dispone il comma 23, i 90 giorni decorrono dalla data di entrata in vigore del relativo decreto legge (DL 98/2011), vale a dire dal 6 luglio 2011 e, quindi, entro il 4 ottobre occorre versare l’importo di 129 euro.
Ricordarsi, ogni tanto, di qualche nozione, come quella poco prima citata, non nuoce, specie quando si tratta di far conoscere ai contribuenti gli adempimenti che devono essere osservati. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 41 del 5 agosto scorso, anziché dissipare qualche dubbio, produce alcune difficoltà operative proprio in tema di adempimenti riguardanti la chiusura delle partite IVA inattive.
Va ricordato che l’articolo 23, commi 22 e 23, del DL n. 98/2011, convertito dalla L. n. 111/2011, dispone la cancellazione d’ufficio delle partite IVA inattive da tre anni, prevedendo, altresì, una sanatoria per l’ipotesi di mancata dichiarazione di cessazione attività. In particolare, il comma 22 inserisce il comma 15-quinquies all’articolo 35 del DPR n. 633/1972, stabilendo che l’attribuzione del numero di partita IVA è revocata qualora per tre annualità consecutive il titolare:
- non abbia esercitato l’attività d’impresa o di arti e professioni;
- o, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale in materia di IVA, non abbia adempiuto a tale obbligo.
Il provvedimento di revoca è impugnabile davanti le Commissioni tributarie.
Il comma 23, invece, introduce una sanatoria per i titolari di partita IVA che, sebbene obbligati, non abbiano tempestivamente presentato la dichiarazione di cessazione attività. La disposizione intende agevolare l’adempimento spontaneo dei contribuenti, i quali devono versare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, vale a dire entro il 4 ottobre 2011, un importo pari alla sanzione minima indicata nell’articolo 5, comma 6, primo periodo, del DLgs. n. 471/1997, ridotta a un quarto. In pratica, si versa una sanzione pari a 129 euro. Non è, in ogni caso, possibile accedere alla sanatoria qualora la violazione sia già stata constatata con atto portato a conoscenza del contribuente.
La risoluzione n. 72 dell’11 luglio 2011 ha indicato il codice tributo “8110”, da utilizzare per il versamento della sanzione ridotta.
Tanto precisato, il dubbio sorge per effetto delle divergenze contenute nel comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate dell’11 luglio scorso e nella circolare in commento, a proposito degli adempimenti che il contribuente deve eseguire per usufruire della sanatoria. Nel comunicato stampa si legge che “per aderire alla norma di favore è sufficiente provvedere al versamento tramite F24, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, dell’importo di 129 euro, indicando il codice tributo 8110, la partita IVA da chiudere e l’anno di cessazione dell’attività. Nell’ottica della semplificazione non è necessario presentare anche la dichiarazione di cessazione attività, con il mod. AA7 (previsto per i soggetti diversi dalle persone fisiche) o il mod. AA9 (previsto per le imprese individuali e lavoratori autonomi), perché la chiusura della partita IVA verrà effettuata dall’Agenzia sulla base dei dati desunti dal modello F24 presentato”.
La circolare n. 41/2011, invece, chiarisce che i contribuenti possono sanare la mancata presentazione della dichiarazione di cessazione attività “presentando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, la dichiarazione di cessazione di attività”, oltre a versare l’importo di 129 euro.
La domanda sorge spontanea: il contribuente che vuole usufruire della sanatoria deve o non ha l’obbligo di presentare la dichiarazione di cessazione attività? Analizzando il comma 23, che tratta dell’agevolazione, si evince che non è previsto l’adempimento concernente la presentazione del modello e, dunque, sembra corretta l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nel comunicato stampa. Ne consegue che, l’Agenzia rileva la cessazione attività dal campo “elementi identificativi” contenuto nel modello F24, che il contribuente deve redigere per avvalersi della sanatoria. In proposito, comunque, sembra opportuno un nuovo intervento dell’Amministrazione finanziaria, volto a risolvere il problema.
Si segnala, infine, un’imperfezione, non di poco conto, contenuta nel comunicato stampa, dove viene indicato come termine ultimo, per usufruire della sanatoria, quello di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della L. n. 111/2011, ossia dal 17 luglio scorso. In realtà, come dispone il comma 23, i 90 giorni decorrono dalla data di entrata in vigore del relativo decreto legge (DL 98/2011), vale a dire dal 6 luglio 2011 e, quindi, entro il 4 ottobre occorre versare l’importo di 129 euro.
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