accertamento
Raddoppio dei termini: il «sì» della Consulta non convince Assonime
Per la circ. n. 20, potevano sussistere i presupposti per una dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
Arriva in tempi straordinariamente brevi, e con la puntualità alla quale ci ha abituato Assonime, la circolare n. 20 del 29 luglio scorso, con la quale l’Associazione fra le società italiane per azioni analizza la recente sentenza n. 247 della Corte Costituzionale, che si è pronunciata sul raddoppio dei termini di accertamento in presenza di fattispecie penalmente rilevanti, di cui al DLgs. n. 74/2000 (si veda “Raddoppio dei termini anche per gli anni già decaduti” del 26 luglio 2011).
In merito, è opportuno ricordare che l’Assonime, nel documento redatto dal Tavolo interassociativo tra Assonime, ABI, ANIA e Confindustria, già nel 2010 aveva messo in luce i principali problemi interpretativi sollevati dalle disposizioni censurate dal Giudice rimettente, tra i quali in particolare la possibilità di utilizzare l’allungamento dei termini per esercitare l’azione di accertamento anche in relazione ad annualità già definite per effetto della decadenza degli Uffici dal proprio potere accertativo (ossia la possibilità, per gli Uffici, di avvalersi di queste disposizioni anche per iniziare ex post le verifiche relativamente ad annualità per le quali fossero già spirati infruttuosamente i termini di accertamento ordinari).
In maniera ineccepibile, e per quanto mi riguarda condivisibile, veniva innanzitutto osservato che i termini di decadenza sono previsti a tutela di un interesse ordinamentale superiore a quello delle parti in causa: l’interesse, cioè, a che determinati atti ed effetti giuridici si collochino in un tempo preciso, con la conseguenza che il decorso di tali termini estingue il diritto che non sia stato nel frattempo esercitato.
Non solo. L’Assonime rilevava altresì che il termine di decadenza non è soggetto né ad interruzione, né a sospensione, e che l’unico atto che può interromperne il decorso è la notifica dell’avviso di accertamento. In questo contesto, il generale divieto di proroga dei termini di decadenza fissati dalla legge, sancito dallo Statuto del contribuente (art. 3, comma 3, della legge n. 212 del 2000), appare chiaramente preordinato al rispetto del principio costituzionale di certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza, in funzione dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente.
Ma l’aspetto probabilmente più importante della posizione Assonime, che resta fermo anche nella circolare in commento, è che il raddoppio dei termini di accertamento potesse operare solo a condizione che i termini ordinari non fossero ancora scaduti al momento in cui le indagini istruttorie dell’Ufficio conducessero a ipotizzare l’esistenza di comportamenti rilevanti ai fini della notitia criminis: lettura, questa, che veniva – e ancora viene – ritenuta coerente con la ratio dell’intervento legislativo e, al tempo stesso, rispettosa dei limiti costituzionali.
Detto ciò, l’Assonime passa a confutare la sentenza nella sua componente essenziale, ossia in ordine alla circostanza che sarebbe improprio discettare su riapertura o proroga dei termini, perché “i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse che non interferiscono tra loro e alle quali si riconnettono diversi termini di accertamento”: da cui l’aspetto discutibile, e discusso, nella pronuncia dei Giudici delle leggi, ravvisabile nell’elemento materiale dell’ipotetico reato rilevato dall’Ufficio in ragione del mero coacervo delle violazioni commesse dal contribuente nella determinazione dell’imponibile o dell’imposta, peraltro sprovvisto di margini di discrezionalità in questa rilevazione.
Condivisibili, quindi, le perplessità dell’Assonime allorquando viene prospettata l’inconciliabilità di un simile regime col dato letterale della norma che, invece, esplicitamente ipotizza la distinzione degli ambiti applicativi per l’accertamento in generale e per quello collegato a specifiche fattispecie penali autonomamente individuabili.Senza tacere sulla circostanza che appare difficoltoso cogliere anche la ratio di un regime del genere nel contesto di un ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia, che trovano chiara espressione non solo nella Costituzione, ma anche nello Statuto del contribuente, che pure riveste una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione delle norme.
In merito, è opportuno ricordare che l’Assonime, nel documento redatto dal Tavolo interassociativo tra Assonime, ABI, ANIA e Confindustria, già nel 2010 aveva messo in luce i principali problemi interpretativi sollevati dalle disposizioni censurate dal Giudice rimettente, tra i quali in particolare la possibilità di utilizzare l’allungamento dei termini per esercitare l’azione di accertamento anche in relazione ad annualità già definite per effetto della decadenza degli Uffici dal proprio potere accertativo (ossia la possibilità, per gli Uffici, di avvalersi di queste disposizioni anche per iniziare ex post le verifiche relativamente ad annualità per le quali fossero già spirati infruttuosamente i termini di accertamento ordinari).
In maniera ineccepibile, e per quanto mi riguarda condivisibile, veniva innanzitutto osservato che i termini di decadenza sono previsti a tutela di un interesse ordinamentale superiore a quello delle parti in causa: l’interesse, cioè, a che determinati atti ed effetti giuridici si collochino in un tempo preciso, con la conseguenza che il decorso di tali termini estingue il diritto che non sia stato nel frattempo esercitato.
Non solo. L’Assonime rilevava altresì che il termine di decadenza non è soggetto né ad interruzione, né a sospensione, e che l’unico atto che può interromperne il decorso è la notifica dell’avviso di accertamento. In questo contesto, il generale divieto di proroga dei termini di decadenza fissati dalla legge, sancito dallo Statuto del contribuente (art. 3, comma 3, della legge n. 212 del 2000), appare chiaramente preordinato al rispetto del principio costituzionale di certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza, in funzione dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente.
Ma l’aspetto probabilmente più importante della posizione Assonime, che resta fermo anche nella circolare in commento, è che il raddoppio dei termini di accertamento potesse operare solo a condizione che i termini ordinari non fossero ancora scaduti al momento in cui le indagini istruttorie dell’Ufficio conducessero a ipotizzare l’esistenza di comportamenti rilevanti ai fini della notitia criminis: lettura, questa, che veniva – e ancora viene – ritenuta coerente con la ratio dell’intervento legislativo e, al tempo stesso, rispettosa dei limiti costituzionali.
Detto ciò, l’Assonime passa a confutare la sentenza nella sua componente essenziale, ossia in ordine alla circostanza che sarebbe improprio discettare su riapertura o proroga dei termini, perché “i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse che non interferiscono tra loro e alle quali si riconnettono diversi termini di accertamento”: da cui l’aspetto discutibile, e discusso, nella pronuncia dei Giudici delle leggi, ravvisabile nell’elemento materiale dell’ipotetico reato rilevato dall’Ufficio in ragione del mero coacervo delle violazioni commesse dal contribuente nella determinazione dell’imponibile o dell’imposta, peraltro sprovvisto di margini di discrezionalità in questa rilevazione.
Il raddoppio riguarderebbe l’accertamento “tout court”
Ecco che, per l’estensore, il raddoppio dei termini non attiene affatto a una presunta fattispecie di rilevanza penale distinta o distinguibile dalle altre violazioni tributarie, ma all’accertamento tout court: il che si traduce in un effettivo e generale raddoppio dei termini dell’azione di accertamento, sottoposto soltanto a quella sorta di condizione risolutiva ravvisabile nella “variabile” del superamento, o meno, delle soglie di punibilità.Condivisibili, quindi, le perplessità dell’Assonime allorquando viene prospettata l’inconciliabilità di un simile regime col dato letterale della norma che, invece, esplicitamente ipotizza la distinzione degli ambiti applicativi per l’accertamento in generale e per quello collegato a specifiche fattispecie penali autonomamente individuabili.Senza tacere sulla circostanza che appare difficoltoso cogliere anche la ratio di un regime del genere nel contesto di un ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia, che trovano chiara espressione non solo nella Costituzione, ma anche nello Statuto del contribuente, che pure riveste una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione delle norme.
Nessun commento:
Posta un commento