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martedì 2 agosto 2011

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IVA detraibile anche senza indicazione della quantità di beni acquistati

Secondo la Suprema Corte, se tale omissione è dovuta alla particolare natura della transazione, il diritto alla detrazione resta intatto

/ Martedì 02 agosto 2011
È integralmente detraibile l’IVA assolta sulle fatture di acquisto, che non recano la quantità dei beni oggetto di cessione, se, a causa della particolare natura della transazione commerciale sottostante, non è possibile determinare la predetta quantità dei beni ceduti. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16649 del 29 luglio 2011.
L’obbligo di indicazione in fattura della quantità dei beni e servizi oggetto di fatturazione è previsto dall’art. 21 del DPR 633/1972, che, al comma 2, lettera b), prescrive chiaramente che la fattura deve contenere, tra l’altro, “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”.
La mancata esposizione in fattura delle predette quantità, così come la troppo generica descrizione delle prestazioni oggetto di fatturazione, costituisce un’irregolarità, come precisato dall’Amministrazione finanziaria con datati documenti di prassi (cfr. RM del 3 maggio 1995, prot. 111).
Recentemente, la giurisprudenza di merito, dopo aver affermato che non è corretta l’emissione di fatture che riportino genericamente l’indicazione delle prestazioni di servizi oggetto di fatturazione, senza specificare il numero delle ore di manodopera impiegate, ha stabilito che tale irregolarità, supportata da altre convergenti, legittima l’accertamento analitico-induttivo nei confronti del contribuente (cfr. C.T. Reg. di Torino n. 9/15/11 del 31 marzo 2011).
La sentenza odierna, in questo contesto, appare molto interessante perché affronta il caso in cui, per la particolarità della transazione commerciale posta in essere, non sia possibile determinare le quantità oggetto di cessione e, quindi, di fatturazione.
Dai fatti di causa si evince che un contribuente aveva ceduto a un altro della frutta ancora sull’albero, che, pertanto, non era ancora possibile quantificare, prima della raccolta. Nelle fatture di vendita, quindi, indicava genericamente tali frutti oggetto di cessione, senza riportarne le relative quantità. In sede di controllo, l’Amministrazione finanziaria contestava all’acquirente la detrazione dell’IVA esposta in tali fatture d’acquisto, in quanto, secondo il Fisco, non erano conformi al dettato normativo.
Impugnava l’avviso di accertamento il contribuente, che otteneva sentenze a sé favorevoli in entrambi i gradi di giudizio di merito.
Avverso la decisione della C.T. Reg. proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, eccependo la violazione del predetto art. 21 del DPR 633/1972, per aver i giudici d’appello erroneamente ritenuto regolari le fatture di acquisto e, quindi, detraibile la relativa imposta.
La Cassazione ha osservato, innanzitutto, che la C.T. Reg. aveva accertato in fatto che, nel caso di specie, le fatture prive dell’indicazione della quantità dei beni ceduti erano relative alla cosiddetta “vendita di frutti pendenti”, cioè una vendita di cosa futura con effetti obbligatori interveniente prima che i frutti siano separati dal fondo, ma con passaggio della proprietà solo successivamente a tale separazione, ovvero, quindi, una vendita che non consente l’indicazione in fattura della quantità di frutta ceduta.
L’Agenzia doveva contestare la riferibilità delle fatture a vendite effettive
Secondo gli Ermellini, poiché tale transazione commerciale è prevista dal Codice Civile, deve ritenersi che essa sia valida anche sotto il profilo fiscale, ancorché a fronte di tale transazione non sia possibile rilasciare fatture con l’indicazione della quantità di beni ceduti.
Conseguentemente, poiché l’art. 19 del DPR 633/1972 stabilisce la detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, l’Amministrazione finanziaria, per disconoscere tale diritto alla detrazione, avrebbe dovuto contestare la riferibilità delle fatture in oggetto a vendite effettive, anziché limitarsi a eccepire la mancanza nei predetti documenti di uno dei requisiti previsti dal citato art. 21 del Decreto IVA.
La Cassazione ha concluso, pertanto, che la sola mancata indicazione, nelle fatture di acquisto, della quantità di beni oggetto di cessione non consente di escludere, di per sé, l’esistenza parziale o totale dell’operazione sottostante e, quindi, del diritto alla detrazione, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, tale omissione sia indipendente dalla volontà del contribuente e sia legata alla particolare natura della transazione. Ciò vale ancor di più qualora, come verificatosi nel caso in oggetto, l’Amministrazione finanziaria non abbia eccepito che gli altri elementi indicati nelle fatture contestate o la documentazione ad esse allegata non siano stati sufficienti a verificare l’esistenza delle operazioni stesse.

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