Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
Variazioni all 'Agenzia delle Entrate
Cessioni di quote di Società Srl
Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari

mercoledì 25 luglio 2012

Penale tributario

Il pagamento dell’IVA a rate non estingue il reato

Il sequestro per equivalente può essere ridotto in corrispondenza dei versamenti
/ Mercoledì 25 luglio 2012
L’accordo con l’Amministrazione finanziaria per il pagamento, con garanzie fideiussorie, dell’imposta dovuta in forma rateale non comporta l’estinzione del reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000), rispetto al quale, nonostante l’intesa, e l’eventuale pagamento di alcune rate, resta legittimo il sequestro per equivalente del profitto coincidente con l’IVA dovuta e non versata; la misura cautelare, peraltro, può essere parzialmente revocata in corrispondenza con le somme versate. A precisarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza 24 luglio 2012 n. 30140.
In seguito alla segnalazione della competente Agenzia delle Entrate, l’amministratore di una società veniva indagato per la fattispecie di omesso versamento IVA, non avendo versato l’imposta risultante dalla dichiarazione 2008 nei termini prescritti (27 dicembre 2009) per 112.255 euro. Veniva, quindi, disposto sequestro del profitto del reato per equivalente (su beni mobili ed immobili) fino alla concorrenza del suddetto importo. Nel frattempo, l’indagato richiedeva ed otteneva l’ammissione al pagamento rateale della somma dovuta, oltre interessi e sanzioni, a fronte di una fideiussione assicurativa del costo di circa 16.000 euro. Ciò induceva il GIP a revocare quasi integralmente il sequestro preventivo per equivalente, lasciandolo sussistere solo fino alla concorrenza di 1.000 euro, ovvero fino alla somma corrispondente al beneficio derivante dal tardivo pagamento, da parametrare agli interessi legali ricavabili dalla somma stessa nell’arco dei quattro mesi che erano intercorsi tra la scadenza del termine per il versamento dell’imposta ed il momento dell’accordo transattivo con l’Agenzia delle Entrate.
La decisione, appellata dal PM, veniva revocata dal Tribunale, che disponeva nuovamente il sequestro sull’intero importo. Contro tale provvedimento l’indagato ricorreva per Cassazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso. In linea generale, è evidenziato come il sequestro preventivo per equivalente non possa avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato; sicché il giudice deve valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come avviene in sede di confisca. Ne consegue che il sequestro per equivalente non può avere ad oggetto somme che abbiano già formato oggetto di restituzione. Sulla base di tali principi, d’altra parte, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 143 della L. 244/2007 e 322-ter c.p. nella parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari, contrasterebbero con gli artt. 23 e 25 Cost. nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria. La restituzione all’Erario del profitto, infatti, fa venire meno lo scopo principale perseguito dalla confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria (cfr. Cass. 11 marzo 2011 n. 10120).
A fronte di tutto ciò, la Corte di Cassazione sottolinea come, in relazione alla fattispecie di omesso versamento IVA, la “remissione in termini” da parte dell’Amministrazione finanziaria per il pagamento, con garanzie fideiussorie, dell’imposta dovuta in forma rateale non comporti l’estinzione del reato, integrato dal mancato versamento dell’imposta medesima nei termini prescritti per importi superiori a 50.000 euro.
Alla luce di quanto evidenziato in ordine al sequestro per equivalente del profitto del reato, in funzione della successiva confisca, inoltre, è precisato che le ragioni della misura cautelare possono venire meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato. Sino ad allora il sequestro rimane legittimo, ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati. Vale a dire che non può ritenersi sufficiente il mero accordo con l’Amministrazione finanziaria, seppure seguito dal pagamento di alcune rate, per escludere il sequestro. Fino a quando il versamento non sarà completo, infatti, il destinatario del provvedimento continua ad avere la disponibilità, seppure parziale, del profitto del reato. Sarà, però, possibile una revoca parziale del sequestro con riferimento alle somme versate.
La fideiussione contrasta con la ratio della confisca per equivalente
Rispetto a tali conclusioni, poi, nessun rilievo è possibile attribuire al fatto che l’accordo con l’Amministrazione finanziaria contempli il rilascio di garanzia fideiussoria per l’adempimento. La fideiussione, infatti, contrasta ontologicamente con la ratio stessa dell’istituto in questione che, a prescindere dalla natura sussidiaria dello strumento, rimane comunque quella di evitare che il responsabile del reato possa trarre beneficio dall’attività illecita perpetrata e pertanto impone una diminuzione patrimoniale corrispondente al profitto. Ciò sul presupposto che il profitto è stato il movente del reato e che, laddove l’interessato sia lasciato nella disponibilità di esso, si perpetuerebbero le conseguenze del reato. Ed è di tutta evidenza – conclude la Suprema Corte – che tale finalità non può in nessun caso essere raggiunta spostando l’obbligazione sul terzo.
Diritto societario

Anche i creditori impugnano i bilanci nulli

L’art. 2434-bis c.c. deroga la disciplina generale solo con riguardo ai soci, legittimati a impugnare se titolari di almeno il 5% del capitale sociale
/ Lunedì 23 luglio 2012
L’art. 2434-bis c.c., quale norma derogatoria rispetto alla disciplina generale di cui agli artt. 2377 ss. c.c., è applicabile alle sole delibere di approvazione del “bilancio” e consente l’impugnazione da parte dei creditori sociali.
Sono queste le principali indicazioni desumibili dalla sentenza 13 marzo 2012 n. 950 della Corte d’Appello di Milano.
La spa Alfa, in qualità di creditrice della società Beta, agiva in giudizio (con atto di citazione notificato il 18 giugno 2007) per ottenere la dichiarazione di nullità – per violazione dei principi di chiarezza, verità, precisione e trasparenza – della delibera di approvazione del bilancio di esercizio 2005 (approvato il 28 giugno 2006) e di quella di approvazione di una situazione patrimoniale straordinaria al 20 dicembre 2006 con contestuale riduzione del capitale per perdite da 1.239.500 a 280.000 euro, stante l’interesse ad apprezzare compiutamente l’effettività delle perdite dichiarate. Il Tribunale accoglieva il ricorso e dichiarava la nullità di entrambe le delibere. La società Beta ricorreva in appello evidenziando, tra l’altro, la mancata dichiarazione del difetto di legittimazione all’azione della società Alfa, dal momento che l’art. 2434-bis c.c. – ai sensi del quale la legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti ha emesso un giudizio privo di rilievi, spetta, prima dell’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo, a tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale – non attribuisce al semplice creditore la possibilità di impugnare le delibere di “bilancio”.
La Corte d’Appello sottolinea come la norma in questione vada letta ricordandone la finalità: nel tentativo di contemperare gli interessi della società alla certezza dell’attività sociale con quelli del singolo socio rispetto ad eventuali conseguenze dannose, si intende assicurare la stabilità delle deliberazioni di approvazione del bilancio sottraendole ad impugnazioni strumentali e comunque provenienti da una minima parte del capitale sociale. Di qui il suo carattere derogatorio rispetto alla disciplina generale delle impugnazioni delle delibere assembleari, contenuta negli artt. 2377 ss. c.c., che ne impone una “stretta” interpretazione con riguardo unicamente alle deliberazioni di approvazione del “bilancio” (soluzione che troverebbe conferma anche dalla collocazione sistematica della disposizione normativa, nella Sezione IX, “Del bilancio”, e dalla Rubrica della norma, “Invalidità delle deliberazioni di approvazione del bilancio”).
Tale disciplina, inoltre, si discosta da quella dettata per le deliberazioni che modificano l’assetto del capitale sociale o che decidono l’emissione di obbligazioni (art. 2379-ter c.c.), per le quali era altrettanto sentita l’esigenza di stabilità in ragione delle difficoltà di ripristino dello status quo dovuto all’irreversibilità degli effetti connessi alla relativa esecuzione. In relazione a tali ipotesi, peraltro, si pongono esclusivamente limiti temporali (180 giorni dall’iscrizione della delibera) alla proponibilità della domanda, senza alcun riferimento a limitazioni all’impugnazione di natura soggettiva, invece presenti in materia di bilanci.
La norma non si applica alle situazioni patrimoniali di periodo
Sulla base di tale ricostruzione, la Corte d’Appello di Milano reputa corretta la decisione del Tribunale circa la non pertinenza del rilievo avanzato nel ricorso rispetto alla delibera del 9 marzo 2007 di approvazione di una “situazione patrimoniale straordinaria” al 20 dicembre 2006 con contestuale riduzione del capitale per perdite. Rispetto ad essa, infatti, la società Alfa, in qualità di creditrice della società Beta, era legittimata ad agire ex art. 2379 c.c. (che riconosce il diritto di far valere la nullità delle deliberazioni a “chiunque vi abbia interesse”), e ciò aveva fatto nei termini prescritti.
Condivisibile, inoltre, è anche la conclusione sulla legittimazione della società Alfa all’impugnazione della deliberazione del 28 giugno 2006 di approvazione del bilancio 2005 della società Beta, valendo la limitazione soggettiva di cui all’art. 2343-bis c.c. solo con riguardo ai soggetti espressamente presi in considerazione ovvero i soci. In particolare, il secondo comma di tale disposizione, laddove introduce la “soglia di legittimazione” all’impugnazione con riguardo ai soci, non indica la legittimazione di questi ultimi come “esclusiva”. Alla luce delle ricordate esigenze di tutela dei soci, da un lato, e di stabilità e certezza dell’attività sociale, dall’altro, si comprende quindi come i limiti in questione non possano riguardare che la posizione dei soci, senza incidere sulla possibilità dei soggetti titolari di interessi diversi di agire per la loro tutela ai sensi dell’art. 2379 c.c. (nel medesimo senso, si veda Trib. Milano 17 agosto 2011 n. 10587).

ilcasodelgiorno Ravvedimento «salato» per il modulo RW

ilcasodelgiorno

Ravvedimento «salato» per il modulo RW

Se la dichiarazione dei redditi è stata presentata nei termini, la si può integrare entro il 30 settembre pagando le sanzioni dovute

/ Mercoledì 25 luglio 2012
Le significative sanzioni previste dalla disciplina sul monitoraggio fiscale (peraltro a rischio censura da parte della Commissione Ue) pongono gli operatori di fronte alla necessità di approfondire la corretta applicazione dell’istituto del ravvedimento in caso di omessa o errata compilazione del modulo RW della dichiarazione dei redditi.
Un caso comune potrebbe essere rappresentato da un contribuente che fino ad oggi ha omesso la compilazione del modulo RW in relazione ad un immobile posseduto all’estero e che si chiede come possa sanare la propria posizione.
La natura tributaria degli illeciti riguardanti il modulo RW è stata chiarita dalla circ. Agenzia delle Entrate 30 gennaio 2002 n. 9 (§ 1.14) e tale interpretazione consente di applicare alle predette violazioni l’istituto del “ravvedimento” di cui all’articolo 13 del DLgs. 472/97”, con cui si provvede a rimuovere un comportamento del contribuente sanzionabile da parte dell’Amministrazione finanziaria.
In merito, si osserva che le linee guida per l’applicazione del ravvedimento sono illustrate dalla circ. Agenzia delle Entrate 12 marzo 2010 n. 11, la quale descrive il regime sanzionatorio riferito al monitoraggio fiscale.
Preliminarmente, si osserva che, per i contribuenti soggetti all’obbligo del monitoraggio fiscale che intendono regolarizzare la propria posizione fiscale tramite il ravvedimento, occorre distinguere se tali soggetti abbiano o meno tempestivamente presentato la dichiarazione dei redditi relativamente all’anno in cui il modulo RW è stato omesso.
Se la dichiarazione per il 2010 (UNICO 2011) non è stata presentata nei termini, la violazione poteva essere sanata presentando la dichiarazione cosiddetta “tardiva” entro i novanta giorni successivi, comprensiva del modulo RW e – se necessario – dei relativi quadri reddituali.
Quindi, adottando l’impostazione della circolare, la violazione poteva essere sanata soltanto entro il 29 dicembre 2011, versando entro il medesimo termine le sanzioni ridotte ad un decimo del minimo (rispettivamente 25 euro e l’1% dell’importo non indicato nella sezione II del modulo RW).
Qualora, invece, il contribuente abbia omesso di compilare esclusivamente il modulo RW e gli altri dati contenuti nella dichiarazione originariamente presentata siano corretti, ai fini dell’integrazione è consentita la compilazione e l’invio del solo frontespizio e del modulo RW.
Se, a suo tempo, la dichiarazione dei redditi è stata presentata nei termini, è possibile procedere all’integrazione della dichiarazione ed al ravvedimento: pertanto, entro il 30 settembre 2012 dovranno essere corrisposte le sanzioni legate alla dichiarazione (32 euro, cioè un ottavo della sanzione minima prevista dall’art. 8, comma 1 del DLgs. 471/97), nonché le sanzioni correlate al quadro RW (un ottavo del 10% di quanto non evidenziato nel quadro in questione).
Sanzione pari all’1,25% dell’importo non indicato nel modulo
La sanzione dovuta relativa all’omessa compilazione della sezione II del modulo RW in UNICO 2011 per un’immobile posseduto all’estero è quindi pari all’1,25% dell’importo non indicato nel modulo.
Per ragioni logico-sistematiche, tale impostazione non dovrebbe risultare differente a seconda che il contribuente decida di presentare il modello 730 oppure il modello UNICO. Infatti, in entrambi i casi la dichiarazione dei redditi non sarebbe omessa e si dovrebbe poter beneficiare della possibilità di inviare il modulo RW “integrativo”, in quanto l’unica differenza tra le due fattispecie è rappresentata dal modello utilizzato ai fini dichiarativi.
Si segnala, inoltre, che, in dottrina, si è fatta spazio la tesi per la quale il codice tributo da utilizzare per il pagamento delle sanzioni sia il codice 8911 “Sanzioni pecuniarie per altre violazioni tributarie relative alle imposte sui redditi, alle imposte sostitutive, all’IRAP e all’IVA - ravvedimento operoso”, dal momento che non sono stati istituiti codici tributari ad hoc per le violazioni riguardanti il modulo RW.
Laddove siano state commesse delle violazioni afferenti al periodo d’imposta 2009 e per i precedenti, essendo ormai decorso il termine per l’effettuazione del ravvedimento operoso, la regolarizzazione della propria posizione può essere effettuata soltanto mediante l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2, comma 8 del DPR 322/98 (ossia, attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa a sfavore con il versamento delle relative sanzioni in misura piena). Ovviamente, ciò sempre che le dichiarazioni per il 2009 (UNICO 2010) e per i periodi d’imposta precedenti non siano state omesse.
Ad ogni modo, si ricorda come le sopracitate sanzioni applicabili per il 2009 ed i periodi d’imposta precedenti potranno essere definite in forma agevolata, usufruendo delle riduzioni previste in relazione alle modalità di contestazione della violazione.
 / Salvatore SANNA
fonte:eutekne
agevolazioni

Ai nastri di partenza il nuovo «riccometro»

Sarebbe quasi pronto lo schema di DPCM di revisione delle modalità di determinazione e del campo di applicazione dell’ISEE

/ Mercoledì 25 luglio 2012
Nuovo ISEE in dirittura d’arrivo. Dovrebbe essere pronto lo schema di DPCM di revisione delle modalità di determinazione e del campo di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (cosiddetto “riccometro”) di cui al DLgs. n. 109/98 e successive modifiche e integrazioni.
Al riguardo, si ricorda che tale revisione è stata disposta dall’art. 5 del DL 201/2011 convertito, per:
- adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, oltre che dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico;
- migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando maggiormente la componente patrimoniale, sia in Italia, sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle relative imposte;
- permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni.
Inoltre, il citato articolo 5 ha stabilito che tale revisione debba avvenire mediante apposito DPCM – che, in realtà, avrebbe  dovuto essere emanato entro il 31 maggio scorso – e che, a partire dal 1° gennaio 2013, l’ISEE rileverà per fruire di agevolazioni fiscali e tariffarie e delle provvidenze di natura assistenziale.
La “manovra Monti” ha anche previsto il rafforzamento del sistema dei controlli relativi all’ISEE, mediante la condivisione degli archivi cui accedono la P.A. e gli enti pubblici, la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate e l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, delle informazioni su beneficiari e prestazioni concesse.
Lo schema di DPCM, dunque, individuerebbe le modalità relative alla determinazione del “riccometro”, estendendone l’ambito di applicazione, individuando agevolazioni fiscali, agevolazioni tariffarie e provvidenze di natura assistenziale e fissando la soglia oltre la quale tali agevolazioni non potranno più essere riconosciute.
Come noto, l’ISEE è calcolato, con riferimento al nucleo familiare di appartenenza, come rapporto tra l’ISE (ovvero la somma tra indicatore della situazione reddituale e il 20% dell’indicatore della situazione patrimoniale) e il parametro della scala di equivalenza corrispondente alla specifica composizione del nucleo familiare. Lo schema di DPCM dovrebbe mantenere invariati i parametri della scala, modificando però le maggiorazioni relative ai nuclei familiari con figli minorenni.
La bozza di decreto introdurrebbe modifiche, inoltre, con riferimento all’indicatore della situazione patrimoniale, determinato sommando, per ogni componente del nucleo familiare, il valore di patrimonio immobiliare e mobiliare.
Per ciò che concerne il patrimonio immobiliare, per effetto delle modifiche esso diverrebbe pari al valore di fabbricati, aree fabbricabili e terreni, intestati a persone fisiche non esercenti attività d’impresa, quale definito ai fini IMU al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione sostitutiva unica (DSU), detratto, fino a concorrenza, l’ammontare dell’eventuale debito residuo.
Inoltre, il patrimonio immobiliare all’estero sarebbe pari a quello definito ai fini dell’imposta sul valore degli immobili situati all’estero di cui all’art. 19, comma 15 del DL 201/2011 (cosiddetta IVIE), dal quale andrebbe detratto, fino a concorrenza, l’ammontare dell’eventuale debito residuo al 31 dicembre dell’anno precedente la presentazione della DSU.
Invece, dal valore del patrimonio mobiliare, si detrarrebbe, sino a concorrenza, una franchigia pari a 6.000 euro, accresciuta di 2.000 euro per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di 10.000 euro.
Ancora, lo schema di provvedimento specificherebbe le regole per il calcolo dell’ISEE per le prestazioni agevolate: di natura socio-sanitaria; rivolte a minorenni; per il diritto allo studio universitario.
Tra le altre misure, infine, lo schema di DPCM attuerebbe una revisione delle soglie, in base alla quale l’assegno ai nuclei con almeno 3 figli minori, di cui all’art. 65 della L. 448/98, fermi restando i requisiti diversi da quelli relativi alla condizione economica, a decorrere dal 1° gennaio 2013, o, se successiva, alla decorrenza dei 30 giorni dell’entrata in vigore del provvedimento del Ministero del Lavoro di approvazione del modello tipo di DSU, sarebbe concesso ai nuclei con ISEE inferiore a 8.500 euro.
L’assegno di maternità di base, di cui all’art. 74 del DLgs. 151/2001, a partire dalle medesime date indicate per l’assegno ai nuclei familiari, sarebbe concesso alle donne con ISEE inferiore a 16.500 euro.
 / Michela DAMASCO
fonte:eutekne

iva La registrazione cumulativa delle fatture sotto i 300 euro determina il reddito

iva

La registrazione cumulativa delle fatture sotto i 300 euro determina il reddito

Lo precisa l’Agenzia delle Entrate, a condizione che le fatture emesse e/o ricevute siano state tutte saldate

/ Mercoledì 25 luglio 2012
In caso di opzione per la contabilità semplificata, il documento riepilogativo emesso per le fatture attive e/o passive di importo inferiore a 300 euro può essere utilizzato non solo per registrare le operazioni ai fini IVA, ma anche per annotare i relativi incassi e pagamenti ai fini della determinazione del reddito professionale.
Tale possibilità, ammessa dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 80 del 24 luglio 2012, presuppone però che le fatture emesse e/o ricevute, riepilogate nel predetto documento, siano state tutte saldate.
Ai sensi dell’art. 19, comma 1, del DPR n. 600/1973, gli esercenti arti e professioni devono annotare cronologicamente, in apposito registro, le somme percepite nell’esercizio dell’arte o professione. In base all’art. 3, comma 1, del DPR n. 695/1996, il suddetto registro cronologico può non essere tenuto se nei registri IVA vengono effettuate separate annotazioni delle operazioni non soggette a registrazione ai fini del tributo sul valore aggiunto; nel caso, poi, che l’effettivo incasso dei compensi o l’effettivo pagamento delle spese non avvenga nell’anno di annotazione, l’esigenza di rispettare il principio di cassa sancito dall’art. 54 del TUIR impone di riportare, nei registri in esame e in riferimento alle singole operazioni, l’importo complessivo dei mancati incassi o dei mancati pagamenti.
Dal descritto quadro normativo si desume che nei registri IVA è possibile annotare sia le operazioni rilevanti ai fini IVA, sia – in apposite sezioni – i componenti positivi e negativi rilevanti ai fini della determinazione del reddito professionale.
Fermi restando i termini di registrazione previsti dagli artt. 23 e 24 del DPR n. 633/1972, l’art. 6 del DPR n. 695/1995 dispone che le fatture attive e/o passive, se di importo inferiore a 300 euro, possono essere annotate attraverso un documento riepilogativo, nel quale vanno indicati i numeri delle fatture e, distinti secondo l’aliquota applicata, l’ammontare imponibile complessivo delle operazioni e quello dell’imposta.
Secondo la risoluzione in commento, è possibile avvalersi di tale semplificazione anche per la registrazione degli incassi e dei pagamenti ai fini della determinazione del reddito professionale, purché gli stessi siano annotati in una sezione separata del registro IVA.
La registrazione cumulativa risulta, pertanto, ammessa anche se l’art. 3 del DPR n. 695/1996, nel prevedere la condizione dell’annotazione separata all’interno dei registri IVA, rinvia espressamente all’art. 19 del DPR n. 600/1973, lasciando così presumere che sia necessario registrare distintamente, ancorché nell’unico registro IVA, ogni operazione rilevante ai fini sia dell’IVA che delle imposte dirette.
Data dell’ultimo incasso o pagamento per la registrazione del documento
Per motivi di omogeneità, l’Agenzia delle Entrate chiarisce, tuttavia, che il documento riepilogativo assume rilevanza anche sul piano reddituale a condizione che le fatture emesse e/o ricevute, riepilogate nel predetto documento, siano state tutte saldate; in tal caso, per la registrazione del documento cumulativo, deve essere utilizzata la data dell’ultimo incasso e/o pagamento.
L’annotazione separata è, invece, necessaria per le fatture attive e/o passive non ancora saldate al momento della formazione e registrazione del documento riepilogativo, anche se di importo inferiore a 300 euro.
Da ultimo, viene precisato che le singole fatture vanno conservate, unitamente al documento riepilogativo, anche al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di espletare la propria attività di controllo.

 / Marco PEIROLO
fonte:eutekne

immobili Non cambiano gli importi massimi per il bonus del 55%

immobili

Non cambiano gli importi massimi per il bonus del 55%

Anche venisse confermata la proroga di sei mesi inserita in sede di conversione del DL 83/2012, tali importi prescinderebbero dall’aliquota

/ Martedì 24 luglio 2012
Perché le novità contenute nel “Decreto crescita e sviluppo” (DL n. 83/2012, in vigore dal 26 giugno 2012) siano definitive, si dovrà attendere la conversione definitiva in legge, che dovrà avvenire entro il 25 agosto 2012.
Nel frattempo, lo scorso venerdì 20 luglio è già stato approvato un emendamento dalle Commissioni Finanze e Attività produttive della Camera, che modifica la disciplina della detrazione IRPEF/IRES del 55% per gli interventi volti alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti, contenuta nell’art. 1, commi da 344 a 347 della L. n. 296/2006.
Sul fronte delle spese di riqualificazione energetica, l’art. 11 commi 2 e 3 del testo originario del DL n. 83/2012 ha stabilito:
- la proroga delle detrazioni di cui all’art. 1, commi 344-347 della L. n. 296/2006 per il periodo dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2013, attuata mantenendo stabili i valori massimi della detrazione ma riducendo dal 55% al 50% la misura della stessa;
- l’applicabilità immediata (dal 2012) della detrazione IRPEF sui recuperi edilizi agli interventi di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. h) del TUIR, vale a dire alle opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici, effettuate anche in assenza di lavori edilizi). Originariamente, la detrazione IRPEF del 36% avrebbe dovuto applicarsi a tale nuova tipologia di interventi solo dal 1° gennaio 2013, data dalla quale avrebbe dovuto cessare l’applicazione delle detrazioni IRPEF/IRES del 55%.
Con l’emendamento approvato la scorsa settimana, invece, è stata disposta la proroga al 30 giugno 2013 dell’agevolazione in commento mantenendola al 55%.
In considerazione del fatto che, a differenza della detrazione per i lavori di recupero edilizio, per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici il limite massimo rilevante ai fini fiscali non è riferito all’importo delle spese sostenute, ma all’importo della detrazione spettante sulle stesse, nel caso in cui l’emendamento non dovesse essere approvato, la riduzione al 50% della percentuale di detrazione comporterebbe un risparmio d’imposta massimo invariato rispetto a quel che si otterrebbe con l’aliquota del 55% ed un aumento dell’ammontare massimo delle spese detraibili.
Riducendo l’aliquota, aumenterebbe il massimo di spesa detraibile
Comunque sia, a prescindere dall’aliquota che sarà prevista per il bonus fiscale (55% o 50%) per le spese sostenute nei primi sei mesi del 2013, l’importo massimo della detrazione sarà pari a:
- 100.000 euro per gli interventi di cui al comma 344 di abbattimento dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale di almeno il 20% rispetto ai valori tabellari;
- 60.000 euro per gli interventi di cui al comma 345 di riduzione della trasmittanza termica delle pareti opache orizzontali o verticali, compresa la sostituzione di vetri e/o infissi;
- 60.000 euro per gli interventi di cui al comma 346 di installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda;
- 30.000 euro per gli interventi di cui al comma 347 di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaia a condensazione o pompa di calore ad alta efficienza energetica (si veda la tabella in calce all’articolo).
A tal proposito, si ricorda che il limite massimo di detrazione, a seconda dell’intervento effettuato, deve essere riferito all’unità immobiliare oggetto dell’intervento e, pertanto, deve essere suddiviso tra i soggetti detentori o possessori dell’immobile che partecipano alla spesa, in ragione dell’onere da ciascuno effettivamente sostenuto (in tal senso la circ. Agenzia delle Entrate 31 maggio 2007 n. 36, § 6).
Detrazione IRPEF/IRES per la riqualificazione energetica degli edfici
Norma istitutiva
art. 1 L. 296/2006
Tipologia
intervento
Importo massimo
della detrazione
Limite di rilevanza
delle spese con aliquota del 50%
Limite di rilevanza
delle spese con aliquota del 55%
comma 344Abbattimento dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale di almeno il 20% rispetto ai valori tabellari100.000200.000181.818,18
comma 345Riduzione della trasmittanza termica delle pareti opache orizzontali o verticali, compresa la sostituzione di vetri e/o infissi60.000120.000109.090,91
comma 346Installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda60.000120.000109.090,91
comma 347Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaia a condensazione o pompa di calore ad alta efficienza energetica30.00060.00054.545,45

imposte sostitutive Principio di cassa per le plusvalenze dei minimi «cessati»

imposte sostitutive

Principio di cassa per le plusvalenze dei minimi «cessati»

La plusvalenza relativa alla cessione del bene strumentale che avviene dopo la fuoriuscita dal regime è pari all’importo dell’intero corrispettivo

/ Martedì 24 luglio 2012
Il periodo d’imposta 2011, per molti contribuenti persone fisiche, è stato l’ultimo anno di applicazione del regime dei minimi. Le modifiche normative, intervenute con il DL n. 98/2011, convertito dalla L. n. 111/2011, hanno stabilito rigide condizioni di accesso e di permanenza al nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovo regime dei minimi), ponendo, quindi, molti contribuenti nella posizione di decadere dal vecchio regime dei minimi per mancanza dei requisiti. Va ricordato che possono usufruire del regime fiscale di vantaggio le persone fisiche che, oltre a possedere i requisiti previsti dall’articolo 1, commi da 96 a 99, della L. n. 244/2007, intraprendono un’attività di impresa o di lavoro autonomo dal 1° gennaio 2012 ovvero l’hanno intrapresa successivamente al 31 dicembre 2007.
Dal 1° gennaio 2012, dunque, coloro che non posseggono i requisiti richiesti dall’articolo 27, commi 1 e 2, del citato DL n. 98/2011, possono:
- applicare il regime contabile agevolato, di cui all’articolo 27, comma 3, del predetto DL n. 98/2011, con delle semplificazioni contabili;
- optare per l’applicazione del regime contabile ordinario di cui agli articoli 14 (contabilità ordinaria), 18 (contabilità semplificata) e 19 (contabilità per gli esercenti arti e professioni) del DPR n. 600/1973.
La fuoriuscita dal regime dei minimi impone al contribuente di prestare attenzione al trattamento e alla determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni strumentali. In proposito deve essere segnalato che, in vigenza del regime dei minimi, il costo sostenuto per l’acquisto di beni strumentali concorre alla formazione del reddito nel periodo d’imposta in cui avviene il pagamento, applicandosi il principio di cassa. Non vi è, quindi, una ripartizione del costo stesso secondo la procedura dell’ammortamento. Ne consegue che la plusvalenza realizzata per la cessione del bene strumentale che avviene dopo la fuoriuscita dal regime dei minimi sarà pari all’importo dell’intero corrispettivo di cessione. Detta plusvalenza concorrerà integralmente alla formazione del reddito del periodo d’imposta in cui è percepito il corrispettivo (cfr. circ. n. 73 del 21 dicembre 2007). A titolo di esempio, qualora un contribuente, con applicazione del regime dei minimi dal 2009 al 2011 e acquisto di un bene strumentale nel 2009 per un importo di 5.000 euro, nel 2012 fuoriesca dal menzionato regime e in tale anno ceda il bene per 3.000 euro, questo importo si considera plusvalenza realizzata e concorre per intero alla formazione del reddito nel periodo d’imposta 2012.
Ancora, se il bene strumentale è stato acquistato in periodi precedenti rispetto a quello dal quale decorre il regime dei minimi, l’eventuale plusvalenza realizzata in un periodo non interessato dal regime stesso è determinata sulla differenza tra il corrispettivo conseguito e il costo non ammortizzato, intendendosi per “costo non ammortizzato” il valore risultante alla fine dell’esercizio precedente a quello dal quale decorre il regime (cfr. circ. n. 13 del 26 febbraio 2008, risposta 3.3).
Occorre, a questo punto, fare due riflessioni. Si ritiene, innanzitutto, che la plusvalenza derivante dalla cessione dell’autoveicolo acquistato in costanza del regime di minimi concorra alla formazione del reddito nella misura del 50% del corrispettivo conseguito. In proposito, si ricorda che la circolare n. 7 del 28 gennaio 2008, risposta 5.1, ha chiarito che le spese concernenti l’acquisto di autovetture a deducibilità parziale rilevano nella misura del 50% del costo sostenuto, a prescindere dalle disposizioni contenute nell’articolo 164 del TUIR, in merito al trattamento fiscale degli autoveicoli. È presumibile, quindi, che anche la plusvalenza sia tassata nella stessa misura in cui ha concorso la spesa di acquisto dell’autovettura, trascurando se sia realizzata durante la permanenza del regime speciale ovvero successivamente all’uscita dal regime.
Lo stesso vale anche per gli esercenti arti e professioni
Da ultimo, quanto precede è valido anche per gli esercenti arti e professioni. Anche per questi contribuenti, infatti, le plusvalenze da cessione di beni strumentali rilevano per i cespiti acquistati a partire dal 4 luglio 2006. Ne consegue che, nel caso di un bene strumentale acquistato nel 2009, anno di applicazione del regime dei minimi, ma ceduto nel 2012, periodo di cessazione del menzionato regime, la plusvalenza derivante dal bene ceduto rileva fiscalmente per il totale dell’importo conseguito in tale ultimo anno.
 / Francesco BARONE
fonte:eutekne

redditi diversi : Rinuncia al diritto d’opzione

redditi diversi

Rinuncia al diritto d’opzione senza rischi se non vengono cedute le quote

Ancora valida la presa di posizione del 2000 del Ministero delle Finanze, secondo cui l’operazione non configura capital gain

/ Martedì 24 luglio 2012
Si assiste con una certa frequenza, specialmente nei contesti societari a base partecipativa più ristretta, ad operazioni nelle quali l’ingresso di nuovi soci non avviene a seguito della cessione di azioni o quote da parte dei vecchi soci, bensì attraverso un apposito aumento del capitale sociale caratterizzato dalla rinuncia da parte di questi ultimi al diritto d’opzione. Si tratta di operazioni che, chiaramente, modificano i rapporti partecipativi, ponendo le condizioni affinché la successiva cessione delle quote possa determinare un livello di tassazione differente tra i soci coinvolti (ad esempio, soci in precedenza “qualificati” divengono “non qualificati”).
Non per questo, altrettanto chiaramente, esse hanno natura elusiva, “status” che dovrebbe invece essere circoscritto ai casi in cui all’aumento di capitale con rinuncia all’opzione facciano seguito ulteriori fatti che si inquadrino in un disegno finalizzato all’indebito risparmio di imposta.
La questione è stata affrontata dal Ministero delle Finanze nella C.M. n. 98 del 17 maggio 2000 (§ 7.2.1). Secondo il Ministero:
- la rinuncia gratuita all’esercizio del diritto d’opzione “non costituisce fattispecie imponibile, atteso che l’articolo 81 [ora 67], comma 1, lettere c), c-bis) e c-ter), del TUIR fanno riferimento ai trasferimenti a titolo oneroso”;
- il contribuente deve provare che si tratta di una rinuncia gratuita al diritto d’opzione, “e non di cessione a titolo oneroso del diritto di opzione, né di esercizio di opzione e successiva cessione a titolo oneroso”.
La risposta della circolare fa seguito alla nota 44933/96 della DRE Lombardia, nella quale la rinuncia al diritto di opzione da parte del socio di maggioranza relativa aveva determinato la sua relega ad una partecipazione del tutto minoritaria. Ad avviso della Direzione Regionale, “la rinuncia al diritto di opzione non esplica effetti di natura tributaria nella fattispecie sopra descritta, configurandosi invece i presupposti di tassazione in base alla disciplina dei redditi diversi (...) nel momento in cui avviene la cessione delle partecipazioni o dei diritti attraverso i quali possono essere acquisite le partecipazioni”.
Una consolidata corrente dottrinale considera, del resto, la rinuncia al diritto di opzione quale atto che non comporta automaticamente la disposizione del diritto a favore degli altri soci, ma più semplicemente la mancata accettazione dell’offerta, a seguito della quale le azioni tornano nella disponibilità degli amministratori, i quali potrebbero offrirle ai terzi nel caso in cui i rimanenti soci rinuncino ad esercitare la prelazione sulle azioni inoptate. Se si accetta questa impostazione, ne consegue che la rinuncia non determina alcun effetto fiscale.
Manca un orientamento giurisprudenziale consolidato sulla materia
Sul punto si registra una giurisprudenza datata. Secondo la decisione della Commissione Tributaria Centrale n. 3638 del 19 maggio 1981, è fondata la presunzione secondo la quale il socio che rinuncia al diritto di opzione non lo fa a titolo gratuito, ma a fronte di un presunto corrispettivo, che andrebbe perciò tassato. A diverse conclusioni è, invece, giunta la Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 3306 del 13 maggio 1983, ha precisato che la rinuncia al diritto d’opzione è un mero indizio, non sufficiente da solo a giustificare l’esistenza di un contratto sottostante di cessione di quote.
Certamente, le conclusioni alla quale è pervenuta la prassi ministeriale possono essere confermate se l’ingresso dei nuovi soci non è propedeutico alla cessione delle partecipazioni sociali; in caso contrario, sono maggiori i rischi che la rinuncia al diritto di opzione possa essere riqualificata in cessione di parte delle azioni detenute dai vecchi soci.
Quest’ultima circostanza è stata valorizzata dall’Amministrazione finanziaria anche per quanto riguarda il rapporto con la disciplina antielusiva. In particolare, l’assenza di intendimenti di cedere le quote è stata considerata circostanza a favore del contribuente in svariati Pareri del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive (Parere n. 11 del 12 aprile 2006; Parere n. 18 del 16 maggio 2006; Parere n. 31 del 4 ottobre 2006; Parere n. 8 del 22 marzo 2007; Parere n. 13 del 22 marzo 2007) e dovrebbe, quindi, sgomberare il campo da eventuali dubbi sulla piena liceità dell’operazione sotto il profilo fiscale.
 / Gianluca ODETTO
fonte: eutekne

Riscossione : i codici tributo F24 per gli accertamenti «esecutivi»

riscossione

Si completa il quadro dei codici tributo per gli accertamenti «esecutivi»

Con la risoluzione 78, l’Agenzia ha istituito anche i codici per versare le sanzioni a seguito di pronuncia giurisdizionale sfavorevole

/ Martedì 24 luglio 2012
Con la risoluzione n. 78, datata 20 luglio 2012 e pubblicata ieri, l’Agenzia ha istituito i codici tributo “mancanti” per i versamenti, mediante modello F24, relativi agli importi dovuti per adempimenti da accertamenti esecutivi”.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 29 del DL n. 78/2010 convertito, così come modificato dal DL n. 98/2011, ha disposto che gli avvisi di accertamento emessi dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2007, ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP, devono contenere l’intimazione a pagare le somme previste entro il termine per la presentazione del ricorso, quindi, nella maggior parte dei casi, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. Viene meno, pertanto, la necessità della notifica della cartella di pagamento ai fini del versamento delle somme contestate nell’accertamento stesso.
In linea generale, quindi: gli importi vanno versati entro il termine di proposizione del ricorso, per la totalità o per un terzo, a seconda del fatto che il contribuente abbia o meno proposto ricorso; in caso di inadempienza, decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il versamento (quindi, nella maggior parte delle ipotesi, decorsi 90 giorni dalla notifica dell’accertamento), le somme vengono affidate “in carico” a Equitalia, che potrà procedere con le misure esecutive/cautelari.
Con la risoluzione n. 95/2011, l’Agenzia ha istituito i codici tributo il versamento, tramite modello F24, degli importi dovuti nella fase di contenzioso e per adempimenti diversi da quelli connessi agli istituti definitori sulla base degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia, ai sensi del citato art. 29, informando che, con successiva risoluzione, sarebbero stati individuati gli ulteriori codici tributo necessari per pagare le relative sanzioni (si veda “Accertamenti «esecutivi», ecco i codici tributo” del 28 settembre 2011).
La ris. n. 78 completa dunque il quadro, indicando i seguenti codici tributo per versare le sanzioni dovute in caso di pronuncia giurisdizionale sfavorevole:
- “9970”, denominato “Sanzioni relative a tributi erariali - contenzioso e adempimenti da accertamento art. 29, DL 78/2010”;
- “9971”, denominato “Sanzioni relative all’Irap - contenzioso e adempimenti da accertamento art. 29, DL 78/2010”;
- “9972”, denominato “Sanzioni relative all’addizionale comunale all’Irpef - contenzioso e adempimenti da accertamento art. 29, DL 78/2010”;
- “9973”, denominato “Sanzioni relative all’addizionale regionale all’Irpef - contenzioso e adempimenti da accertamento art. 29, DL 78/2010”.
In sede di compilazione del modello F24, tali codici vanno esposti nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”. L’Agenzia precisa che i campi “codice ufficio”, “codice atto”, “codice tributo” e “anno di riferimento” sono valorizzati con le informazioni riportate negli atti di accertamento. Per i codici 9971, 9972 e 9973, infine, per i quali è richiesta anche l’informazione del codice Regione o del codice ente, da indicare nel campo “rateazione/regione/prov./mese di rif.”, il codice delle singole Regioni/Province autonome e il codice territoriale dell’ente sono rispettivamente reperibili nelle tabelle “T0 codici delle regioni e delle province autonome” e “T1 codici degli enti locali”, pubblicate sul sito dell’Agenzia (www.agenziaentrate.gov.it).
Con la ris. 77, codici tributo per versare le somme dovute all’AAMS
Ieri l’Agenzia ha anche pubblicato la ris. 77, sempre datata 20 luglio 2012, contenente 26 nuovi codici tributo (da “5274” a “5300”), per il versamento, mediante F24 Accise, delle somme dovute all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) a titolo d’imposta, interessi e sanzioni ai sensi dell’art. 5, comma 1 del DLgs. n. 504/98, come modificato dall’art. 1, comma 65 della L. n. 220/2010, oltre che di interessi per la rateizzazione delle somme di cui all’art. 24, comma 11 del DL n. 98/2011.
In base al citato art. 5 del DLgs., infatti, il soggetto passivo che sottrae, in qualsiasi modo, base imponibile all’imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse è punito con la sanzione amministrativa dal 120 al 240% della maggiore imposta e, se la base imponibile sottratta è superiore a 50.000 euro, anche con la chiusura dell’esercizio da uno a sei mesi. L’art. 24 del DL 98/2011, invece, permette al contribuente che abbia ricevuto un avviso di accertamento o di rettifica in materia di giochi pubblici con vincita in denaro di formulare istanza in carta libera di accertamento con adesione: in tal caso, è possibile rateizzare gli importi dovuti.
I 26 codici istituiti, che si suddividono secondo il tipo di gioco e comprendono anche quelli riservati ai versamenti diretti alla Regione Sicilia, permettono di pagare imposta unica accertata, interessi e relative sanzioni, nonché gli interessi sugli importi rateizzati.
 / REDAZIONE
fonte:eutekne
tributi locali

Agli alberghi tariffe TARSU superiori rispetto alle abitazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito che, per gli esercizi alberghieri, è legittima la maggiore tariffa a prescindere dall’attività stagionale

/ Martedì 24 luglio 2012
In materia di TARSU, la tariffa applicabile agli esercizi alberghieri è notevolmente superiore a quella applicabile alle civili abitazioni. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12859, depositata ieri.
Sulla scorta di un proprio orientamento, infatti, la Suprema Corte ha avvalorato la decisione contenuta nella sentenza n. 5722 del 2007.
In particolare, la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe TARSU è legittima quando sono previste aliquote differenziate per abitazioni e alberghi e quando, per questi ultimi, le tariffe sono notevolmente superiori.
A nulla rileva il carattere stagionale dell’attività alberghiera esercitata. A discrezione del Comune impositore, tale aspetto può dar luogo, eventualmente, all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta.
Secondo la Suprema Corte, “la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.
Tariffe sulla base della classificazione economica
In altri termini, i rapporti tra le tariffe, indicati dall’art. 69, comma 2 del DLgs. n. 507/93, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe e i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica.
Con la sentenza in oggetto viene, pertanto, accolto il ricorso presentato dal Comune di Augusta, che si era visto annullare dalla Commissione Tributaria Regionale l’atto di accertamento emesso nei confronti di un esercizio alberghiero ritenendo che lo stesso fosse fondato su un illegittimo regolamento comunale, in quanto prevedeva una diversificazione tariffaria tra i locali ad uso abitativo e quelli alberghieri.
 / Arianna ZENI
fonte:eutekene

agevolazioni Proroga di sei mesi per il bonus del 55%

agevolazioni

Proroga di sei mesi per il bonus del 55%

Approvato un emendamento al Ddl. di conversione del Decreto «crescita e sviluppo», per cui si potrà usufruire della detrazione fino al 30 giugno 2013
/ Lunedì 23 luglio 2012
Sarà possibile usufruire della detrazione IRES/IRPEF del 55%, in relazione a talune tipologie di interventi volti alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti, fino al 30 giugno 2013.
A disporre la proroga è un emendamento, approvato venerdì scorso dalle Commissioni Finanze e Attività produttive, al Ddl. C. 5312, di conversione del DL 83/2012 (Decreto “crescita e sviluppo”), che approda oggi all’esame dell’Aula di Montecitorio.
L’emendamento che ha passato il vaglio delle Commissioni è stato presentato da Alessandro Bratti (Pd), secondo il quale, “con l’approvazione all’unanimità”, si è raggiunto un “ottimo risultato”, che rappresenta “un tassello fondamentale per rilanciare l’edilizia sostenibile sulla via della green economy. Il nostro auspicio è che queste defiscalizzazioni rimangano anche oltre l’attuale termine; a tal fine, ci aspettiamo un maggiore impegno da parte dei Ministri competenti”. Al riguardo, ha espresso soddisfazione anche Stefano Saglia, capogruppo Pdl in Commissione Attività produttive: “Si tratta di un ulteriore riconoscimento del fatto che la misura è utile alla crescita e per far emergere il sommerso. Ci auguriamo che il Governo trovi ora il modo per renderlo strutturale”.
Nel dettaglio, si ricorda che l’art. 4, comma 4 del DL n. 201/2011 convertito, modificando l’art. 1, comma 48 della L. n. 220/2010, ha disposto la proroga del bonus del 55% su alcune tipologie di interventi al 31 dicembre 2012, stabilendo anche che, a partire dal 1° gennaio 2013, per gli interventi di efficientamento energetico, competerà la detrazione IRPEF del 36% di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. h) del TUIR.
L’art. 11, comma 2 del DL n. 83/2012, a sua volta, è intervenuto sulla disposizione appena citata, prevedendo che, per le spese sostenute dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2013, la detrazione IRES/IRPEF del 55% competerà per una quota pari al 50% delle spese sostenute, fermi restando i limiti massimi di spesa stabiliti dai commi 344, 345, 346 e 347 dell’art. 1 della L. 296/2006 a seconda della tipologia dell’intervento (si veda “Bonus da 36% a 50% dall’entrata in vigore del Decreto Sviluppo” del 23 giugno 2012).
In base al DL 83/2012, bonus al 50% dal 1° gennaio 2013
Ora, per effetto dell’emendamento al Ddl. di conversione, il comma 2 dell’art. 11 del Decreto “crescita e sviluppo”, approvato dalle Commissioni, cambia ancora, poiché viene inserita una nuova proroga di sei mesi, in virtù della quale si potrà beneficiare di una detrazione pari al 55% fino al 30 giugno 2013.
Inoltre, l’emendamento, aggiungendo il 2-bis all’art. 11 del DL, stabilisce che all’onere derivante dall’attuazione del comma 2, pari a 1,7 milioni di euro per l’anno 2013, a 18 milioni di euro per l’anno 2014 e a 11,3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015 fino all’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 52, comma 18 della L. n. 448/2001 (legge finanziaria 2002).

accertamento

accertamento

Rottamazione dei ruoli «obbligata» se il contribuente aderisce alla comunicazione

L’Agenzia non può rifiutare la rottamazione dei ruoli qualora il contribuente abbia aderito alla comunicazione del Concessionario della riscossione

/ Lunedì 23 luglio 2012
L’Agenzia delle Entrate non può rifiutare la “rottamazione” dei ruoli, di cui all’art. 12 della L. n. 289/2002 (Finanziaria 2003), se il contribuente ha aderito alla comunicazione del Concessionario della riscossione. Lo ha riaffermato la C.T. Reg. di Milano che, con la sentenza n. 5/30/12, ha respinto l’appello del Fisco. La vicenda processuale trae origine da un ricorso contro il diniego della definizione dei carichi di ruolo pregressi, effettuata da una contribuente che aveva aderito nel corso del 2003 alla comunicazione del Concessionario della riscossione Esatri SpA. Come si ricorderà, il novellato art. 12 della Legge finanziaria 2003 (cfr. Agenzia delle Entrate, fra le ultime, risoluzioni n. 150/2005 e n. 125/2005) aveva stabilito fra l’altro che i debitori, con riferimento ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai Concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000, possono estinguere il debito senza corrispondere gli interessi di mora e con il pagamento:
- di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo;
- delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso per le spese sostenute per le procedure esecutive eventualmente effettuate dallo stesso.
In seguito, relativamente ai ruoli affidati tra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 2000, i Concessionari avevano l’obbligo di informare i citati debitori della circostanza di poter, entro il 16 aprile 2004, sottoscrivere apposito atto con il quale dichiarare di avvalersi della definizione agevolata in questione, versando contestualmente almeno l’80% delle somme dovute. Il residuo importo andava versato entro il 18 aprile 2005, mentre sulle somme riscosse spettava ai Concessionari un aggio pari al 4%. In ogni caso, restavano dovute per intero le somme relative ai dazi costituenti risorse proprie dell’Unione europea.
Con riferimento ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai Concessionari dal 1° gennaio 2001 al 30 giugno 2001, invece, i debitori potevano estinguere il debito sottoscrivendo, entro il 18 aprile 2005, l’atto di definizione, versando contestualmente almeno l’80% delle somme dovute, sulla base di apposita comunicazione che i Concessionari stessi avevano l’obbligo di inviare ai debitori entro la medesima data (18 aprile 2005).
L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Varese, ha impugnato la sentenza n. 115/03/10, con la quale la C.T. Prov. di Varese aveva accolto il ricorso della ricorrente contro il diniego della definizione dei carichi di ruolo pregressi (cartelle esattoriali). La contribuente aveva provato di aver aderito alla comunicazione inviata dal Concessionario e di avere eseguito tempestivamente il relativo versamento. Peraltro, i primi giudici avevano rilevato che il provvedimento di diniego fosse stato notificato alla contribuente soltanto nell’anno 2009, cioè oltre il termine (perentorio) di 5 anni. L’Ufficio appellante, nel chiedere ai giudici tributari di merito la riforma della sentenza impugnata, ha fatto notare altresì che una delle cartelle di pagamento reca l’iscrizione a ruolo di pene pecuniarie “relative a contesto valutario”, per le quali, considerata la loro indubbia natura risarcitoria, non si applica l’art. 12 della L. n. 289/2002 (conforme, Corte Costituzionale, ordinanza n. 433 del 29 dicembre 2004). Il Collegio regionale ha rigettato l’appello dell’Ufficio ritenendo, in via preliminare, che il provvedimento di diniego fosse stato notificato oltre il termine quinquennale (art. 2948, primo comma, n. 4), c.c.), non potendo trovare ingresso per il caso di specie l’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c. (conforme, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 4283 del 23 febbraio 2010).
È stata poi evidenziata l’illegittimità del provvedimento stesso per palese violazione dei principi dell’affidamento e della buona fede della contribuente (conforme, C.T. Prov. di Milano, sentenza n. 105/44/11). Secondo il Collegio, infatti, il pagamento in adesione al “condono” è stato tempestivamente e integralmente effettuato dalla contribuente, secondo le modalità indicate dal Concessionario e nell’ambito delle sue facoltà attribuite dalla legge. Inoltre, puntualizzano i giudici regionali meneghini, in base al consolidato orientamento della Corte di Cassazione (sezione tributaria, fra tante, sentenze n. 10982 del 13 maggio 2009 e n. 21513 del 6 ottobre 2006), il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dal comma 1 dell’art. 10 della L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce un pilastro dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa. Del resto, conclude il Collegio, anche al lume dell’art. 1 della vigente L. n. 241/1990, il nostro ordinamento tributario non può che rimanere vincolato, o quantomeno ispirato, al principio che su tutta l’Amministrazione incomba l’obbligo di salvaguardare le situazioni soggettive che si sono cristallizzate per effetto di atti o comportamenti dell’Amministrazione stessa, idonei a ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario dell’atto.
 / Antonio PICCOLO fonte eutekne

Detrazione immediata nel nuovo regime dell’IVA per cassa

Con un emendamento al DL n. 83/2012 (Decreto “crescita e sviluppo”), viene ridefinita la disciplina dell’IVA per cassa, di cui all’art. 7 del DL n. 185/2008, vale a dire della possibilità di differire, al momento dell’incasso del corrispettivo, il versamento dell’IVA dovuta sulle operazioni poste in essere nei confronti di cessionari/committenti che agiscono nell’esercizio d’impresa o di arte e professione.

Tale facoltà, attualmente limitata ai cedenti/prestatori con volume d’affari non superiore a 200.000 euro, viene estesa agli operatori con fatturato fino a 2 milioni di euro. Resta confermata la limitazione temporale del differimento, siccome l’imposta diventa comunque esigibile, anche se il corrispettivo non è stato incassato, decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, salvo che – anteriormente – il cessionario/committente sia assoggettato a procedure concorsuali.

Rispetto all’attuale disciplina, non è più contemplato il riferimento alle procedure esecutive (ad esempio, pignoramento), quale evento che determina la sospensione d’imposta a tempo indeterminato.

Dal lato del cessionario/committente, diversamente dall’art. 3, comma 1, del DM 26 giugno 2009, di attuazione del citato art. 7 del DL n. 185/2008, la detrazione non è più “agganciata” al pagamento del corrispettivo, ma sorge quando l’operazione si considera effettuata secondo i criteri stabiliti dall’art. 6 del DPR n. 633/1972 (ad esempio, consegna o spedizione per le cessioni di beni mobili).

Come si evince dalla giurisprudenza della Corte UE (causa C-472/10, Commissione/Ungheria), la disposizione non appare, tuttavia, allineata alla normativa comunitaria, in quanto vìola il principio di simmetria sancito dall’art. 167 della Direttiva n. 2006/112/CE (recepito dall’art. 19, comma 1, ult. periodo, del DPR n. 633/1972, secondo cui “il diritto di detrazione dell’imposta […] sorge nel momento in cui l’imposta diventa esigibile”); la norma comunitaria, in particolare, fa riferimento al momento di esigibilità dell’imposta e non al fatto generatore della medesima, che identifica l’effettuazione dell’operazione, definito dall’art. 62 della Direttiva n. 2006/112/CE come “il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta”.

Desta, inoltre, perplessità la previsione, introdotta dall’emendamento, riguardante la sospensione del diritto di detrazione per il cedente/prestatore che si avvale del differimento dell’esigibilità. A livello comunitario, infatti, il nuovo art. 167-bis della Direttiva n. 2006/112/CE, inserito dalla Direttiva n. 2010/45/UE, consente agli Stati membri dell’Unione europea di posticipare la detrazione in riferimento al solo cessionario/committente, peraltro nei limiti di 500.000 euro, elevabile a 2 milioni di euro previa consultazione del Comitato IVA.

L’esigibilità differita comporta che la fattura sia emessa e annotata nei termini ordinari, in funzione del momento di effettuazione dell’operazione e che l’imposta sia contabilizzata, da parte del cedente/prestatore, solo al momento dell’incasso.

È stato confermato che:
- l’opzione per l’esigibilità differita dell’imposta deve risultare da apposita annotazione nella fattura di vendita, riportante (è il caso di ritenere) anche la norma di riferimento;
- l’agevolazione non si applica né alle operazioni soggette a reverse charge, né a quelle effettuate avvalendosi di un regime speciale di applicazione dell’imposta (ad esempio, regimi monofase e del margine); l’esclusione non vale quindi per i soggetti che si avvalgono di un regime speciale di detrazione dell’imposta, come quello agricolo o quello degli intrattenimenti.

Con decreto ministeriale di successiva emanazione saranno definite le modalità di applicazione dell’opzione e, dalla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’attuale regime dell’IVA per cassa sarà abrogato.
21.07.2012
fonte: eutekne / 

IVA detraibile sull’immobile utilizzato per fini privati solo in via temporanea

Venerdì 20 luglio 2012
 / Marco PEIROLO, fonte Eutekne

Esenzione IVA sul trasporto internazionale a pagamento

Esenzione IVA «a maglie larghe» sul trasporto internazionale a pagamento

Venerdì 20 luglio 2012
 
 
 

Somme iscritte a ruolo pagate in ritardo, dal 1° ottobre calano gli interessi di mora

, Giovedì 19 luglio 2012

Sospensione feriale per gli accertamenti esecutivi, ma non per le cartelle

Giovedì 19 luglio 2012

Perdite su crediti deducibili nell’esercizio di revoca degli affidamenti al debitore

 Giovedì 19 luglio 2012

mercoledì 18 luglio 2012

ilcasodelgiorno

Regime del margine precluso per i beni con IVA parzialmente detratta

L’esigenza di evitare salti d’imposta impedisce che la rivendita sia tassata sul solo margine
/ Mercoledì 18 luglio 2012
Il DL n. 41/1995, in attuazione della Direttiva n. 94/5/CE, disciplina il trattamento applicabile, ai fini IVA, al commercio di beni mobili usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione.
La specifica regolamentazione della materia è dettata dall’esigenza di evitare fenomeni di plurima tassazione dei beni che, una volta usciti dal circuito commerciale, vengono ceduti ad un soggetto passivo per essere successivamente rivenduti. A tal fine, l’imposta si applica sull’utile lordo realizzato dal rivenditore, vale a dire sulla differenza (“margine”) fra il prezzo di vendita e quello di acquisto, quest’ultimo maggiorato delle spese di riparazione e di quelle accessorie.
Dal punto di vista soggettivo, il regime speciale è rivolto ai soggetti passivi che, anche occasionalmente, effettuano cessioni di beni mobili usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione per i quali non sia stata operata la rivalsa dell’IVA all’atto dell’acquisto. L’art. 36, comma 1, del DL n. 41/1995, in particolare, dispone che i suddetti beni devono essere “acquistati presso privati nel territorio dello Stato o in quello di altro Stato membro dell’Unione europea”, fermo restando che, su opzione del rivenditore, gli oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione importati da Paesi extra-Ue rientrano nel regime in esame evitando così che l’IVA sia pagata in dogana (art. 36, comma 2, del DL n. 41/1995).
Si considerano peraltro acquistati presso privati anche i beni ceduti da soggetti passivi che non hanno potuto detrarre l’IVA relativa all’acquisto/importazione o che operano anch’essi nel medesimo regime speciale.
Riguardo alla prima categoria di soggetti equiparati ai privati, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che l’assimilazione ha carattere oggettivo, siccome l’indetraibilità che legittima la disciplina di favore è quella “generale”, cioè collegata alla destinazione dei beni ex art. 19, comma 2, del DPR n. 633/1972; di conseguenza, il regime agevolato è precluso nelle ipotesi in cui l’indetraibilità derivi dal pro rata o dall’opzione per la dispensa dagli adempimenti per le operazioni esenti (C.M. n. 177/1995, § 2).
Laddove, invece, il divieto di detrazione sia giustificato dal principio di inerenza, resta da stabilire se il regime del margine sia applicabile ai beni acquistati presso soggetti passivi che hanno detratto parzialmente l’imposta.
Sul piano comunitario, la disciplina in materia è allineata a quella interna, posto il riferimento ai privati e ai soggetti passivi che operano nel regime del margine o le cui cessioni sono esenti ai sensi dell’art. 136 della Direttiva n. 2006/112/CE. La detassazione, in particolare, si riferisce alle “cessioni di beni il cui acquisto o la cui destinazione siano stati esclusi dal diritto alla detrazione dell’IVA”.
La Corte di Giustizia (causa C-280/04, Jyske Finans), in merito alla vendita di autoveicoli d’occasione nel mercato dell’usato, ha affermato che i termini con i quali è stata definita l’esenzione di cui all’art. 13, parte B, lett. c), della VI Direttiva (ora art. 136 della Direttiva n. 2006/112/CE) devono essere interpretati restrittivamente in quanto la stessa costituisce una deroga al principio generale che prevede la riscossione dell’IVA per ogni cessione/prestazione posta in essere, a titolo oneroso, da un soggetto passivo.
Per questa ragione, è possibile ritenere – in linea con le conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia relative alla causa C-160/11, presentate il 24 maggio 2012 – che l’esenzione in parola si riferisce alle sole cessioni di beni completamente escluse, in base alla normativa nazionale, dal diritto di detrazione. Pertanto, i beni con imposta parzialmente detraibile, in sede di rivendita, sono esclusi dal regime speciale, in perfetta coerenza con l’obiettivo perseguito dalla Direttiva n. 94/5/CE. Del resto se, da un lato, s’intende impedire che i beni usati, nel momento in cui vengono re-immessi in commercio, siano tassati una seconda volta, dall’altra si deve evitare un salto d’imposta, ossia la mancata tassazione della quota-parte del prezzo di vendita corrispondente al costo di acquisto la cui imposta è stata detratta.
A ben vedere, le considerazioni esposte si riferiscono non solo ai beni acquistati presso un soggetto passivo che ha detratto parzialmente l’imposta, ma anche alla rivendita operata dal soggetto passivo che abbia esercitato la detrazione in misura ridotta. Per questa seconda ipotesi, l’art. 13, comma 5, del DPR n. 633/1972, introdotto in recepimento della posizione espressa dalla Corte di Giustizia nella causa C-291/92 (Armbrecht), dispone che la base imponibile si determina secondo un criterio di proporzionalità, ossia applicando al prezzo di vendita la percentuale utilizzata per recuperare l’imposta assolta a monte (si veda “L’IVA sulla rivendita di beni con detrazione limitata o esclusa” del 25 maggio 2012).

Accertamento Lecito l’accertamento «anticipato» a ridosso del termine di decadenza

Accertamento

Lecito l’accertamento «anticipato» a ridosso del termine di decadenza

La Cassazione afferma che l’urgenza sussiste di per sé ove stiano per scadere i termini per l’accertamento
/ Mercoledì 18 luglio 2012
La Corte di Cassazione, sentenza 11944 del 13 luglio scorso, è tornata ad occuparsi in merito alle “sorti” dell’avviso di accertamento emesso senza il rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni dalla consegna del verbale di constatazione.
Prima di esaminare il principio enunciato, vale la pena di evidenziare che Cass. 11 maggio 2012 n. 7318 ha rimesso al Primo Presidente la valutazione circa la rimessione alle Sezioni Unite in merito agli effetti dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni (si veda “Validità dell’accertamento «anticipato» alle Sezioni Unite” del 12 maggio 2012).
Tanto detto, la questione concerne la corretta interpretazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000: la menzionata norma sancisce che l’avviso di accertamento, salvo casi di “particolare e motivata” urgenza, non può essere emanato prima del decorso di sessanta giorni dalla consegna del PVC. Il motivo di ciò è chiaro, e consiste nell’evitare l’emissione del provvedimento ove il contribuente, mediante memorie agli uffici, abbia dimostrato l’infondatezza dei rilievi mossi dai verificatori.
Del problema era stata investita la Corte Costituzionale, che, con la pronuncia 244 del 2009, aveva invitato il giudice a quo all’adozione di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12 citato, in quanto tale norma consente, invero, di ritenere nullo l’atto emesso in via anticipata laddove l’Ufficio, nella motivazione, non avesse specificato le ragioni di urgenza (secondo il Giudice delle Leggi, l’obbligo di indicare l’urgenza sarebbe rientrato così nel più generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi).
I giudici di Cassazione, invece, adottano un’interpretazione alquanto diversa, sostenendo che la necessità di indicare l’urgenza, contemplata dall’art. 12, non riguarda l’assetto motivazionale del provvedimento, posto che esso concerne solo i presupposti di diritto e di fatto della pretesa. Quindi, la mancata menzione dell’urgenza, da un lato, non cagiona nessuna nullità se non viene evidenziata, dall’altro, può essere censurata sia in sede di autotutela che di ricorso giurisdizionale.
Principio criticabile sotto diversi profili
Ora, il suddetto percorso ermeneutico priva di contenuto la disposizione dello Statuto del contribuente, che rimane in questo modo quasi lettera morta: il contribuente, a fronte di un accertamento anticipato privo di motivazioni sull’urgenza, può solo contestare ciò nel ricorso.
Ma su tale aspetto è bene attendere l’eventuale presa di posizione delle Sezioni Unite.
L’aspetto più importante della pronuncia riguarda i nessi tra urgenza e imminenza del decorso dei termini di decadenza dal potere di accertamento: per la Cassazione, il requisito dell’urgenza è in re ipsa quando stanno per decadere i termini, quindi, nel momento in cui si è a ridosso del termine, l’accertamento potrebbe sempre essere anticipato.
La suddetta tesi non può essere accettata, semplicemente perché l’urgenza non può dipendere dall’errata pianificazione del controllo, che spesso cagiona la necessità di notificare gli atti nel mese di dicembre.
È interessante osservare come ciò, in un certo senso, sia stato “ventilato” dalla stessa Agenzia delle Entrate nella nota 14 ottobre 2009 n. 142734, ove è stato evidenziato che la necessità di notifica dell’atto a ridosso del termine non deve dipendere da una pianificazione mal gestita del controllo.
Del resto, la giurisprudenza di merito ha più volte sancito che la “particolare e motivata” urgenza non sussiste in caso di imminenza del decorso dei termini di decadenza (C.T. Prov. Genova 23 febbraio 2006 n. 15, C.T. Prov. Brescia 7 marzo 2002 n. 12 e C.T. Prov. Milano 10 maggio 2010 n. 126).
 Alfio CISSELLO
fonte : eutekne