iva
La mancata esposizione in dichiarazione non impedisce il rimborso IVA
La Cassazione ha chiarito che la dichiarazione non costituisce la fonte dell’obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione
La Corte di Cassazione, con sentenza 28 giugno 2012, n. 10808, chiarisce che il rimborso dell’IVA può essere richiesto dal contribuente, beneficiario del credito ceduto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, anche se il cedente non lo ha esposto in dichiarazione.
La questione origina dal rigetto della C.T. Reg. della Lombardia, all’appello presentato dall’Amministrazione finanziaria, che aveva ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso dell’imposta presentata dal cessionario di un credito poiché il cedente non aveva dichiarato (esposto) l’IVA.
I giudici passano attraverso due argomentazioni preliminari, tra loro concentriche: da un lato, la Corte contrasta l’assunto dell’Amministrazione finanziaria secondo cui il credito IVA sorge al momento della sua esposizione nella dichiarazione annuale e, dall’altro, per l’effetto, ne annulla il logico corollario per cui “una situazione di credito in capo al cessionario nei confronti del ceduto può costituirsi solo se e quando il credito venga ad esistenza”.
A giudizio della Corte, infatti, in tema di IVA (ma ragionamento estensibile a qualsiasi altra imposta), la dichiarazione non costituisce la fonte dell’obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione. Invero, per l’IVA, la “fonte” è costituita esclusivamente da quanto contenuto nell’articolo 1 del DPR 633/1972, sicché solo il coinvolgimento del contribuente nel perimetro della disposizione citata (“cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”, “importazioni da chiunque effettuate”) oblitera la maturazione del credito IVA.
Ne discende che “il contribuente, nonostante l’omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, ricorrendone i presupposti, può sempre esercitare il diritto al rimborso atteso che l’omissione detta esclude soltanto la possibilità di recuperare il credito maturato nel relativo periodo di imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 25 marzo 2009, n. 7172).
In tal senso, infatti, si è espressa sul tema la Corte di Cassazione (fra le altre, con le sentenze 22 maggio 2006, n. 12012 e 18 gennaio 2002, n. 523), la quale, in entrambi i casi citati, ha espresso un giudizio favorevole al contribuente che aveva omesso la presentazione della dichiarazione annuale IVA, pur avendo maturato nel corso dell’anno un’eccedenza d’imposta detraibile, ex art. 19 del DPR 633/1972, e riportata nella prima dichiarazione utile successiva (sul tema, si vedano C.T. Reg. Bologna, 3 marzo 2011, n. 22/6/2011; C.T. Reg. Roma, 21 novembre 2011, n. 284/29/11; C.T. Reg. Torino, 21 gennaio 2010, n. 16).
Tale assunto è confermato dalla lettura dell’art. 19 del DPR 633/1972, secondo cui “il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”.
Logica conseguenza di quanto osservato dai giudici, nel caso di specie, è che un credito d’imposta IVA non sorge “al momento della sua esposizione nella dichiarazione annuale” e, pertanto, la sussistenza di quel credito (del quale qui non è contestata l’effettività della “fonte”) in capo al contribuente non può essere negata per la sola ragione che il credito non sia stato indicato nella dichiarazione annuale perché ceduto a terzi prima del “momento” (erroneamente) individuato dall’amministrazione (giova ricordare il “parallelo” con l’ipotesi di credito IVA ceduto a terzi, ma non esposto in bilancio).
/ Vincenzo CRISTIANO
fonte: eutekne
La questione origina dal rigetto della C.T. Reg. della Lombardia, all’appello presentato dall’Amministrazione finanziaria, che aveva ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso dell’imposta presentata dal cessionario di un credito poiché il cedente non aveva dichiarato (esposto) l’IVA.
I giudici passano attraverso due argomentazioni preliminari, tra loro concentriche: da un lato, la Corte contrasta l’assunto dell’Amministrazione finanziaria secondo cui il credito IVA sorge al momento della sua esposizione nella dichiarazione annuale e, dall’altro, per l’effetto, ne annulla il logico corollario per cui “una situazione di credito in capo al cessionario nei confronti del ceduto può costituirsi solo se e quando il credito venga ad esistenza”.
A giudizio della Corte, infatti, in tema di IVA (ma ragionamento estensibile a qualsiasi altra imposta), la dichiarazione non costituisce la fonte dell’obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione. Invero, per l’IVA, la “fonte” è costituita esclusivamente da quanto contenuto nell’articolo 1 del DPR 633/1972, sicché solo il coinvolgimento del contribuente nel perimetro della disposizione citata (“cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”, “importazioni da chiunque effettuate”) oblitera la maturazione del credito IVA.
Ne discende che “il contribuente, nonostante l’omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, ricorrendone i presupposti, può sempre esercitare il diritto al rimborso atteso che l’omissione detta esclude soltanto la possibilità di recuperare il credito maturato nel relativo periodo di imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 25 marzo 2009, n. 7172).
In tal senso, infatti, si è espressa sul tema la Corte di Cassazione (fra le altre, con le sentenze 22 maggio 2006, n. 12012 e 18 gennaio 2002, n. 523), la quale, in entrambi i casi citati, ha espresso un giudizio favorevole al contribuente che aveva omesso la presentazione della dichiarazione annuale IVA, pur avendo maturato nel corso dell’anno un’eccedenza d’imposta detraibile, ex art. 19 del DPR 633/1972, e riportata nella prima dichiarazione utile successiva (sul tema, si vedano C.T. Reg. Bologna, 3 marzo 2011, n. 22/6/2011; C.T. Reg. Roma, 21 novembre 2011, n. 284/29/11; C.T. Reg. Torino, 21 gennaio 2010, n. 16).
Conta l’aspetto sostanziale di effettività del credito
Ciò che conta è l’aspetto sostanziale di effettività del credito e non quello formale di mancata indicazione dello stesso in dichiarazione o di dichiarazione omessa. Pertanto, se dai registri IVA, dalle liquidazioni periodiche e dai modelli F24 emerge la sussistenza del credito, a nulla rileva l’aspetto formale che, per l’anno di maturazione del credito stesso, la dichiarazione sia stata omessa.Tale assunto è confermato dalla lettura dell’art. 19 del DPR 633/1972, secondo cui “il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”.
Logica conseguenza di quanto osservato dai giudici, nel caso di specie, è che un credito d’imposta IVA non sorge “al momento della sua esposizione nella dichiarazione annuale” e, pertanto, la sussistenza di quel credito (del quale qui non è contestata l’effettività della “fonte”) in capo al contribuente non può essere negata per la sola ragione che il credito non sia stato indicato nella dichiarazione annuale perché ceduto a terzi prima del “momento” (erroneamente) individuato dall’amministrazione (giova ricordare il “parallelo” con l’ipotesi di credito IVA ceduto a terzi, ma non esposto in bilancio).
/ Vincenzo CRISTIANO
fonte: eutekne
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