Penale tributario
Il pagamento dell’IVA a rate non estingue il reato
Il sequestro per equivalente può essere ridotto in corrispondenza dei versamenti
/ Mercoledì 25 luglio 2012
L’accordo con l’Amministrazione finanziaria per il pagamento, con garanzie fideiussorie, dell’imposta dovuta in forma rateale non comporta l’estinzione del reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000), rispetto al quale, nonostante l’intesa, e l’eventuale pagamento di alcune rate, resta legittimo il sequestro per equivalente del profitto coincidente con l’IVA dovuta e non versata; la misura cautelare, peraltro, può essere parzialmente revocata in corrispondenza con le somme versate. A precisarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza 24 luglio 2012 n. 30140.
In seguito alla segnalazione della competente Agenzia delle Entrate, l’amministratore di una società veniva indagato per la fattispecie di omesso versamento IVA, non avendo versato l’imposta risultante dalla dichiarazione 2008 nei termini prescritti (27 dicembre 2009) per 112.255 euro. Veniva, quindi, disposto sequestro del profitto del reato per equivalente (su beni mobili ed immobili) fino alla concorrenza del suddetto importo. Nel frattempo, l’indagato richiedeva ed otteneva l’ammissione al pagamento rateale della somma dovuta, oltre interessi e sanzioni, a fronte di una fideiussione assicurativa del costo di circa 16.000 euro. Ciò induceva il GIP a revocare quasi integralmente il sequestro preventivo per equivalente, lasciandolo sussistere solo fino alla concorrenza di 1.000 euro, ovvero fino alla somma corrispondente al beneficio derivante dal tardivo pagamento, da parametrare agli interessi legali ricavabili dalla somma stessa nell’arco dei quattro mesi che erano intercorsi tra la scadenza del termine per il versamento dell’imposta ed il momento dell’accordo transattivo con l’Agenzia delle Entrate.
La decisione, appellata dal PM, veniva revocata dal Tribunale, che disponeva nuovamente il sequestro sull’intero importo. Contro tale provvedimento l’indagato ricorreva per Cassazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso. In linea generale, è evidenziato come il sequestro preventivo per equivalente non possa avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato; sicché il giudice deve valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come avviene in sede di confisca. Ne consegue che il sequestro per equivalente non può avere ad oggetto somme che abbiano già formato oggetto di restituzione. Sulla base di tali principi, d’altra parte, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 143 della L. 244/2007 e 322-ter c.p. nella parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari, contrasterebbero con gli artt. 23 e 25 Cost. nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria. La restituzione all’Erario del profitto, infatti, fa venire meno lo scopo principale perseguito dalla confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria (cfr. Cass. 11 marzo 2011 n. 10120).
A fronte di tutto ciò, la Corte di Cassazione sottolinea come, in relazione alla fattispecie di omesso versamento IVA, la “remissione in termini” da parte dell’Amministrazione finanziaria per il pagamento, con garanzie fideiussorie, dell’imposta dovuta in forma rateale non comporti l’estinzione del reato, integrato dal mancato versamento dell’imposta medesima nei termini prescritti per importi superiori a 50.000 euro.
Alla luce di quanto evidenziato in ordine al sequestro per equivalente del profitto del reato, in funzione della successiva confisca, inoltre, è precisato che le ragioni della misura cautelare possono venire meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato. Sino ad allora il sequestro rimane legittimo, ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati. Vale a dire che non può ritenersi sufficiente il mero accordo con l’Amministrazione finanziaria, seppure seguito dal pagamento di alcune rate, per escludere il sequestro. Fino a quando il versamento non sarà completo, infatti, il destinatario del provvedimento continua ad avere la disponibilità, seppure parziale, del profitto del reato. Sarà, però, possibile una revoca parziale del sequestro con riferimento alle somme versate.
In seguito alla segnalazione della competente Agenzia delle Entrate, l’amministratore di una società veniva indagato per la fattispecie di omesso versamento IVA, non avendo versato l’imposta risultante dalla dichiarazione 2008 nei termini prescritti (27 dicembre 2009) per 112.255 euro. Veniva, quindi, disposto sequestro del profitto del reato per equivalente (su beni mobili ed immobili) fino alla concorrenza del suddetto importo. Nel frattempo, l’indagato richiedeva ed otteneva l’ammissione al pagamento rateale della somma dovuta, oltre interessi e sanzioni, a fronte di una fideiussione assicurativa del costo di circa 16.000 euro. Ciò induceva il GIP a revocare quasi integralmente il sequestro preventivo per equivalente, lasciandolo sussistere solo fino alla concorrenza di 1.000 euro, ovvero fino alla somma corrispondente al beneficio derivante dal tardivo pagamento, da parametrare agli interessi legali ricavabili dalla somma stessa nell’arco dei quattro mesi che erano intercorsi tra la scadenza del termine per il versamento dell’imposta ed il momento dell’accordo transattivo con l’Agenzia delle Entrate.
La decisione, appellata dal PM, veniva revocata dal Tribunale, che disponeva nuovamente il sequestro sull’intero importo. Contro tale provvedimento l’indagato ricorreva per Cassazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso. In linea generale, è evidenziato come il sequestro preventivo per equivalente non possa avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato; sicché il giudice deve valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come avviene in sede di confisca. Ne consegue che il sequestro per equivalente non può avere ad oggetto somme che abbiano già formato oggetto di restituzione. Sulla base di tali principi, d’altra parte, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 143 della L. 244/2007 e 322-ter c.p. nella parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari, contrasterebbero con gli artt. 23 e 25 Cost. nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria. La restituzione all’Erario del profitto, infatti, fa venire meno lo scopo principale perseguito dalla confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria (cfr. Cass. 11 marzo 2011 n. 10120).
A fronte di tutto ciò, la Corte di Cassazione sottolinea come, in relazione alla fattispecie di omesso versamento IVA, la “remissione in termini” da parte dell’Amministrazione finanziaria per il pagamento, con garanzie fideiussorie, dell’imposta dovuta in forma rateale non comporti l’estinzione del reato, integrato dal mancato versamento dell’imposta medesima nei termini prescritti per importi superiori a 50.000 euro.
Alla luce di quanto evidenziato in ordine al sequestro per equivalente del profitto del reato, in funzione della successiva confisca, inoltre, è precisato che le ragioni della misura cautelare possono venire meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato. Sino ad allora il sequestro rimane legittimo, ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati. Vale a dire che non può ritenersi sufficiente il mero accordo con l’Amministrazione finanziaria, seppure seguito dal pagamento di alcune rate, per escludere il sequestro. Fino a quando il versamento non sarà completo, infatti, il destinatario del provvedimento continua ad avere la disponibilità, seppure parziale, del profitto del reato. Sarà, però, possibile una revoca parziale del sequestro con riferimento alle somme versate.
La fideiussione contrasta con la ratio della confisca per equivalente
Rispetto a tali conclusioni, poi, nessun rilievo è possibile attribuire al fatto che l’accordo con l’Amministrazione finanziaria contempli il rilascio di garanzia fideiussoria per l’adempimento. La fideiussione, infatti, contrasta ontologicamente con la ratio stessa dell’istituto in questione che, a prescindere dalla natura sussidiaria dello strumento, rimane comunque quella di evitare che il responsabile del reato possa trarre beneficio dall’attività illecita perpetrata e pertanto impone una diminuzione patrimoniale corrispondente al profitto. Ciò sul presupposto che il profitto è stato il movente del reato e che, laddove l’interessato sia lasciato nella disponibilità di esso, si perpetuerebbero le conseguenze del reato. Ed è di tutta evidenza – conclude la Suprema Corte – che tale finalità non può in nessun caso essere raggiunta spostando l’obbligazione sul terzo.
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