reddito d'impresa
Dalla delega fiscale, criteri più chiari per la deducibilità delle perdite su crediti
Il Ddl. in materia propone d’introdurre criteri coerenti con la redazione del bilancio per determinare il momento di realizzo della perdita
Il tema della deducibilità delle perdite su crediti derivanti da cessioni pro soluto ad un corrispettivo inferiore al valore nominale potrebbe trovare definitiva soluzione in sede di attuazione del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale (AC 5291) e, comunque, già oggi sarebbe possibile pervenire in via interpretativa a una scelta “equilibrata” che contemperi le diverse esigenze di Fisco e imprese.
Il tema è noto: il differenziale negativo scaturente dalla cessione del credito è qualificato, dalla prevalente giurisprudenza e dall’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 70/2008), come perdita su crediti di cui all’art. 101, comma 5, del TUIR; ne deriva che il contribuente deve farsi carico di dimostrare, sulla base di elementi certi e precisi, una riduzione della garanzia patrimoniale idonea a impedire o ridurre la ricuperabilità coattiva del credito (si veda, per tutte, Cass. n. 20450 del 6 ottobre 2011), non potendosi applicare il meccanismo automatico di deduzione della perdita previsto esclusivamente per le procedure concorsuali.
In sostanza, ancorché la cessione pro soluto determini un distacco giuridico ed economico dal patrimonio del cedente e l’iscrizione presso il cessionario, la stessa non determina ex se quei requisiti di certezza e determinabilità che devono connotare la perdita al fine di ottenerne il riconoscimento fiscale. Più in generale, gli elementi certi e precisi costituirebbero presupposti necessari anche per le perdite derivanti da atti dispositivi del credito.
È evidente che siffatta impostazione è opinabile, in quanto la cessione realizza una traslazione a titolo definitivo del diritto e le successive vicende non incidono sulla sfera patrimoniale del cedente; sarebbe, quindi, più logico affermare che in tal caso la perdita su crediti è una perdita (minus) da realizzo e non da valutazione e, in quanto tale, deducibile ai sensi del comma 1 dell’art. 101 e non del comma 5 della medesima norma, che ne condiziona la deducibilità agli elementi certi e precisi.
Poiché così non è – in quanto la giurisprudenza e la prassi amministrativa la “pensano” diversamente – si potrebbe, in via interpretativa, almeno addivenire alla conclusione che i suddetti elementi certi e precisi posso dirsi, comunque, verificati quando la cessione del credito pro soluto avviene nei confronti di soggetti vigilati (banche o altri istituti finanziari) che non appartengono al gruppo e che siano residenti in paesi con i quali è consentito un effettivo scambio di informazioni. In questi casi, l’indipendenza del soggetto terzo cessionario è sufficiente garanzia che la valutazione del credito ceduto sia attendibile e rispondente all’effettiva esigibilità del credito; peraltro, poiché il cessionario iscrive il credito al corrispettivo pagato e tale valore si identifica con quello fiscale, laddove l’incasso del credito avvenga per un importo superiore, l’eccedenza darà luogo a una sopravvenienza attiva imponibile e, quindi, non sussistono possibilità di salti d’imposta.
Resta fermo che, invece, operazioni potenzialmente elusive possono essere “aggredite” mediante l’art. 37-bis del DPR n. 600/1973, a condizione che siano integrati i presupposti di tale normativa. In particolare, nell’ambito dei gruppi di imprese, la cessione del credito potrebbe più frequentemente rappresentare uno strumento per vantaggi indebiti, in assenza di valide ragioni economiche; è anche possibile che la perdita su crediti subita dal cedente dissimuli una liberalità in favore del cessionario e, in tal caso, il componente negativo potrebbe essere contestato sotto il profilo della mancanza di inerenza.
La problematica potrebbe trovare definitiva soluzione se venisse attuata la parte della delega fiscale in cui si dice di introdurre “criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento di realizzo delle perdite su crediti” (art. 12 dell’AC 5291).
Analogamente, anche per i soggetti IAS, si perverrebbe alla conclusione che in tutte le ipotesi di cancellazioni di crediti (derecognition) in cui l’impresa cedente trasferisce ad altro soggetto la titolarità dei rischi e dei benefici la perdita su crediti per il cedente sarebbe immediatamente deducibile.
/ Luca MIELE
FONTE:EUTEKNE
Il tema è noto: il differenziale negativo scaturente dalla cessione del credito è qualificato, dalla prevalente giurisprudenza e dall’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 70/2008), come perdita su crediti di cui all’art. 101, comma 5, del TUIR; ne deriva che il contribuente deve farsi carico di dimostrare, sulla base di elementi certi e precisi, una riduzione della garanzia patrimoniale idonea a impedire o ridurre la ricuperabilità coattiva del credito (si veda, per tutte, Cass. n. 20450 del 6 ottobre 2011), non potendosi applicare il meccanismo automatico di deduzione della perdita previsto esclusivamente per le procedure concorsuali.
In sostanza, ancorché la cessione pro soluto determini un distacco giuridico ed economico dal patrimonio del cedente e l’iscrizione presso il cessionario, la stessa non determina ex se quei requisiti di certezza e determinabilità che devono connotare la perdita al fine di ottenerne il riconoscimento fiscale. Più in generale, gli elementi certi e precisi costituirebbero presupposti necessari anche per le perdite derivanti da atti dispositivi del credito.
È evidente che siffatta impostazione è opinabile, in quanto la cessione realizza una traslazione a titolo definitivo del diritto e le successive vicende non incidono sulla sfera patrimoniale del cedente; sarebbe, quindi, più logico affermare che in tal caso la perdita su crediti è una perdita (minus) da realizzo e non da valutazione e, in quanto tale, deducibile ai sensi del comma 1 dell’art. 101 e non del comma 5 della medesima norma, che ne condiziona la deducibilità agli elementi certi e precisi.
Poiché così non è – in quanto la giurisprudenza e la prassi amministrativa la “pensano” diversamente – si potrebbe, in via interpretativa, almeno addivenire alla conclusione che i suddetti elementi certi e precisi posso dirsi, comunque, verificati quando la cessione del credito pro soluto avviene nei confronti di soggetti vigilati (banche o altri istituti finanziari) che non appartengono al gruppo e che siano residenti in paesi con i quali è consentito un effettivo scambio di informazioni. In questi casi, l’indipendenza del soggetto terzo cessionario è sufficiente garanzia che la valutazione del credito ceduto sia attendibile e rispondente all’effettiva esigibilità del credito; peraltro, poiché il cessionario iscrive il credito al corrispettivo pagato e tale valore si identifica con quello fiscale, laddove l’incasso del credito avvenga per un importo superiore, l’eccedenza darà luogo a una sopravvenienza attiva imponibile e, quindi, non sussistono possibilità di salti d’imposta.
Resta fermo che, invece, operazioni potenzialmente elusive possono essere “aggredite” mediante l’art. 37-bis del DPR n. 600/1973, a condizione che siano integrati i presupposti di tale normativa. In particolare, nell’ambito dei gruppi di imprese, la cessione del credito potrebbe più frequentemente rappresentare uno strumento per vantaggi indebiti, in assenza di valide ragioni economiche; è anche possibile che la perdita su crediti subita dal cedente dissimuli una liberalità in favore del cessionario e, in tal caso, il componente negativo potrebbe essere contestato sotto il profilo della mancanza di inerenza.
La problematica potrebbe trovare definitiva soluzione se venisse attuata la parte della delega fiscale in cui si dice di introdurre “criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento di realizzo delle perdite su crediti” (art. 12 dell’AC 5291).
Si potrebbe attribuire rilevanza fiscale alla perdita rilevata in bilancio
A quel punto, gli atti dispositivi (di realizzo) del credito dovrebbero essere sufficienti per attribuire rilevanza fiscale alla perdita subita e rilevata in bilancio.Analogamente, anche per i soggetti IAS, si perverrebbe alla conclusione che in tutte le ipotesi di cancellazioni di crediti (derecognition) in cui l’impresa cedente trasferisce ad altro soggetto la titolarità dei rischi e dei benefici la perdita su crediti per il cedente sarebbe immediatamente deducibile.
/ Luca MIELE
FONTE:EUTEKNE
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