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mercoledì 8 agosto 2012

La cessione «totalitaria» delle quote non è una cessione d’azienda

imposta di registro

La cessione «totalitaria» delle quote non è una cessione d’azienda

Lo Studio n. 170-2011/T del Consiglio Nazionale Notariato ribadisce che l’atto non può essere riqualificato in sede di accertamento

/ Martedì 07 agosto 2012
Durante la scorsa settimana, il Consiglio Nazionale del Notariato ha reso pubblico lo Studio n. 170-2011/T http://www.notariato.it/it/primo-piano/studi-materiali/studi-materiali/diritto-tributario-in-genere/170-11-t.pdf ) , approvato il 1° marzo 2012 e avente ad oggetto la riqualificazione in cessione d’azienda della cessione dell’intero capitale di una società.
Obiettivo dello Studio è verificare entro che limiti l’Amministrazione finanziaria possa tassare, secondo la normativa prevista per la cessione di azienda, il trasferimento della totalità delle quote di una srl effettuato nei confronti di una persona fisica che assumerebbe, quindi, la veste di socio unico della suddetta società. Il momento in cui è stato diramato il documento non è certo casuale, risultando molti i casi nei quali gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate riqualificano atti negoziali sulla base dell’art. 20 del Testo Unico dell’imposta di registro o dei principi generali in materia di abuso di diritto, non di rado con forzature, accertando maggiori imposte indirette rispetto a quelle effettivamente liquidate da parte dei contribuenti o dei notai che intervengono in atto.
Nel caso preso in esame dallo Studio n. 170-2011/T (che aggiorna le conclusioni a cui lo stesso Notariato era pervenuto con lo Studio n. 95/2003/T), la differenza di imposta è sensibile: mentre, infatti, la cessione delle quote di srl sconta l’imposta di registro in misura fissa (168 euro, indipendentemente dal corrispettivo di vendita), la cessione d’azienda viene tassata in misura proporzionale, con aliquote che dipendono dalla natura dei beni che la compongono, ma generalmente previste nella misura del 3% se non sono presenti immobili tra i beni trasferiti.
La tesi sostenuta dallo Studio è quella per cui non è possibile effettuare la suddetta riqualificazione, né basandosi sull’art. 20 del DPR 131/86 né sui principi giurisprudenziali in materia di abuso del diritto, in quanto le due operazioni perseguono finalità del tutto differenti e le relative conseguenze giuridiche sono anch’esse incompatibili.
Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato sia la cessione delle partecipazioni sia la cessione di azienda sono espressione di capacità contributiva del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta di registro. Senonché, mentre per la cessione d’azienda la tassazione segue i normali canoni dell’imposta, per la cessione delle quote sociali il legislatore ha scelto la strada “agevolativa” dell’imposta fissa, prevista in termini generali o quando l’atto non sia suscettibile di valutazione economica o – ed è questo il caso – quando ciò discende da una valutazione di favore del legislatore stesso. Riqualificare la cessione dell’intero capitale sociale in cessione d’azienda porterebbe, quindi, allo svuotamento di significato di questo regime di favore che la normativa pone a disposizione del contribuente.
Atti similari sotto il profilo economico ma distinti sotto quello giuridico
In definitiva, pur essendo le operazioni di fatto analoghe dal punto di vista economico (è realistico che il corrispettivo per l’acquisizione dell’azienda e quello per la partecipazione totalitaria siano, se non gli stessi, quantomeno di importo paragonabile), dal punto di vista giuridico le situazioni sono completamente diverse. In primo luogo, se l’acquirente è un imprenditore, diverse sono la rappresentazione contabile dell’operazione e i suoi riflessi fiscali (ad esempio, successive plusvalenze e minusvalenze che emergono dalla cessione delle partecipazioni o dell’azienda).
Diverse sono, poi, le conseguenze giuridiche della scelta negoziale operata, dal regime in materia di divieto di concorrenza (art. 2557 del codice civile) alla complessa disciplina che regola la responsabilità del subentrante nelle passività relative all’azienda ceduta (art. 2560 del codice civile), sino alla responsabilità per i debiti tributari disciplinata dall’art. 14 del DLgs. 472/97.
Per questi motivi, lo Studio n. 170-2011/T conclude nel senso che la scelta dello schema negoziale della cessione della partecipazione totalitaria non può essere sindacata ai sensi dell’art. 20 del DPR 131/86 e non può essere qualificata come distorsiva o diretta all’aggiramento di norme impositive; più semplicemente, si tratta di una libera scelta delle parti che, consapevolmente, optano per una fattispecie ritenuta meritevole di un trattamento preferenziale da parte del legislatore, addossandosi tutte le conseguenze della scelta sotto il profilo dei rapporti giuridici con i terzi.
 / Gianluca ODETTO
FONTE:EUTEKNE

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