immobili
Terreni agricoli inutilizzati soggetti all’ICI
Lo ha stabilito la Cassazione affermando che il presupposto impositivo è il possesso, anche se il terreno risulta incolto
/ Martedì 31 luglio 2012
I terreni agricoli devono essere
assoggettati all’ICI anche se non sono effettivamente e concretamente
utilizzati. Lo ha stabilito la sezione tributaria della Corte di
Cassazione che, con sentenza n. 7369 depositata l’11 maggio 2012, ha
accolto il ricorso di un Comune della provincia bolognese.
La decisione merita di essere segnalata anche per i riflessi nella disciplina dell’IMU che, com’è noto, a decorrere dal 1° gennaio di quest’anno ha sostituito l’ICI e l’IRPEF (e relative addizionali regionali e comunali), per le componenti immobiliari concernenti i beni non locati o non affittati (cfr. circ. n. 3/DF del Ministero dell’Economia del 18 maggio 2012, paragrafo 13).
I fatti di causa sono stati i seguenti. L’amministrazione comunale, per le annualità dal 2000 al 2003, aveva notificato a due contribuenti quattro avvisi di accertamento ICI, con i quali sono stati contestati l’infedeltà della dichiarazione e il conseguente insufficiente versamento dell’imposta dovuta, in relazione anche al possesso di un terreno agricolo. I contribuenti hanno impugnato gli avvisi, distintamente e separatamente, sostenendo fra l’altro l’esclusione del terreno dal campo di applicazione dell’imposta perché non coltivato. La Commissione adita, dopo avere riunito i ricorsi, li ha parzialmente accolti eliminando soltanto le sanzioni irrogate dall’ente locale. La decisione dei primi giudici è stata impugnata e l’adita Commissione tributaria regionale di Bologna, con sentenza n. 25/19/10, ha accolto le doglianze degli appellanti. In particolare i giudici regionali hanno ritenuto che è escluso dall’imposizione il terreno agricolo non “adibito” all’esercizio delle attività indicate nel vigente art. 2135 del codice civile. Secondo il Collegio regionale, la volontà del legislatore è chiara nel sottoporre a ICI esclusivamente i fabbricati, le aree fabbricabili e i “terreni agricoli coltivati” che, se posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli, rientrano nel regime agevolato di cui all’art. 9 del DLgs. n. 504/1992 (franchigia e riduzioni). Il terreno in questione, quindi, deve ritenersi escluso dall’applicazione dell’ICI, non potendo essere considerato “agricolo” secondo il dettato della lettera c) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992. In definitiva, sempre a parere della Commissione, il suddetto regime agevolato per i terreni potenzialmente adibibili all’esercizio delle attività agricole, ma di fatto non adibiti a tale esercizio, non è in contrasto con gli artt. 3, 44 e 53 della Costituzione, come invece sostenuto dall’ente impositore.
Il successivo art. 2, nel dettare le definizioni degli immobili (fabbricati e terreni), stabilisce alla lettera c) che per “terreno agricolo” deve intendersi il terreno “adibito” all’esercizio delle attività indicate nell’art. 2135 del codice civile. Tale definizione, a parere dei giudici del Palazzaccio, è conforme ai parametri degli artt. 3 e 53 della Costituzione e va intesa nel senso che il presupposto dell’ICI resta integrato con il possesso (per quel che ci riguarda) di terreni suscettibili di essere utilizzati per le attività indicate nell’art. 2135 del codice civile (coltivazione del fondo, allevamento di animali, selvicoltura). In buona sostanza, è sbagliata la distinzione contenuta nella sentenza impugnata tra terreno agricolo “coltivato” o “adibito” (assoggettato alla tassazione) e quello “non coltivato” o “non adibito” (escluso dalla tassazione), non essendo sorretta dalla previsione di legge.
Peraltro, concludono gli Ermellini, la pronuncia impugnata appare anche incongrua perché premia chi non pone a frutto la proprietà dell’immobile, in contrasto con le finalità di incentivazione dell’attività agricola e di razionale sfruttamento del suolo (conforme, Corte costituzionale, ordinanze n. 336 del 7 novembre 2003 e n. 87 del 2 marzo 2005). Ai fini dell’applicazione dell’IMU, invece, il Dipartimento delle Finanze avrebbe scongiurato l’insorgere del problema, nella parte in cui ha riaffermato che il presupposto impositivo è il possesso di qualunque immobile, compresi i terreni “incolti” o “non coltivati” (circ. n. 3/DF del Ministero dell’Economia del 18 maggio 2012, paragrafi 2 e 7.2).
La decisione merita di essere segnalata anche per i riflessi nella disciplina dell’IMU che, com’è noto, a decorrere dal 1° gennaio di quest’anno ha sostituito l’ICI e l’IRPEF (e relative addizionali regionali e comunali), per le componenti immobiliari concernenti i beni non locati o non affittati (cfr. circ. n. 3/DF del Ministero dell’Economia del 18 maggio 2012, paragrafo 13).
I fatti di causa sono stati i seguenti. L’amministrazione comunale, per le annualità dal 2000 al 2003, aveva notificato a due contribuenti quattro avvisi di accertamento ICI, con i quali sono stati contestati l’infedeltà della dichiarazione e il conseguente insufficiente versamento dell’imposta dovuta, in relazione anche al possesso di un terreno agricolo. I contribuenti hanno impugnato gli avvisi, distintamente e separatamente, sostenendo fra l’altro l’esclusione del terreno dal campo di applicazione dell’imposta perché non coltivato. La Commissione adita, dopo avere riunito i ricorsi, li ha parzialmente accolti eliminando soltanto le sanzioni irrogate dall’ente locale. La decisione dei primi giudici è stata impugnata e l’adita Commissione tributaria regionale di Bologna, con sentenza n. 25/19/10, ha accolto le doglianze degli appellanti. In particolare i giudici regionali hanno ritenuto che è escluso dall’imposizione il terreno agricolo non “adibito” all’esercizio delle attività indicate nel vigente art. 2135 del codice civile. Secondo il Collegio regionale, la volontà del legislatore è chiara nel sottoporre a ICI esclusivamente i fabbricati, le aree fabbricabili e i “terreni agricoli coltivati” che, se posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli, rientrano nel regime agevolato di cui all’art. 9 del DLgs. n. 504/1992 (franchigia e riduzioni). Il terreno in questione, quindi, deve ritenersi escluso dall’applicazione dell’ICI, non potendo essere considerato “agricolo” secondo il dettato della lettera c) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992. In definitiva, sempre a parere della Commissione, il suddetto regime agevolato per i terreni potenzialmente adibibili all’esercizio delle attività agricole, ma di fatto non adibiti a tale esercizio, non è in contrasto con gli artt. 3, 44 e 53 della Costituzione, come invece sostenuto dall’ente impositore.
L’ICI si applica sul possesso
La
sentenza è stata impugnata e la Corte di Cassazione ha accolto il
ricorso dell’ente locale. Per gli Ermellini, l’ICI costituisce
un’imposta diretta e reale perché colpisce un’immediata manifestazione
di capacità contributiva e si applica sul valore dell’immobile (base
imponibile) a prescindere dalla condizione personale del soggetto
passivo. Il comma 2 dell’art. 1 del DLgs. n. 504/1992 individua il
presupposto dell’ICI nel possesso di
fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, ubicati nel
territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, compresi quindi
quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività
dell’impresa.Il successivo art. 2, nel dettare le definizioni degli immobili (fabbricati e terreni), stabilisce alla lettera c) che per “terreno agricolo” deve intendersi il terreno “adibito” all’esercizio delle attività indicate nell’art. 2135 del codice civile. Tale definizione, a parere dei giudici del Palazzaccio, è conforme ai parametri degli artt. 3 e 53 della Costituzione e va intesa nel senso che il presupposto dell’ICI resta integrato con il possesso (per quel che ci riguarda) di terreni suscettibili di essere utilizzati per le attività indicate nell’art. 2135 del codice civile (coltivazione del fondo, allevamento di animali, selvicoltura). In buona sostanza, è sbagliata la distinzione contenuta nella sentenza impugnata tra terreno agricolo “coltivato” o “adibito” (assoggettato alla tassazione) e quello “non coltivato” o “non adibito” (escluso dalla tassazione), non essendo sorretta dalla previsione di legge.
Peraltro, concludono gli Ermellini, la pronuncia impugnata appare anche incongrua perché premia chi non pone a frutto la proprietà dell’immobile, in contrasto con le finalità di incentivazione dell’attività agricola e di razionale sfruttamento del suolo (conforme, Corte costituzionale, ordinanze n. 336 del 7 novembre 2003 e n. 87 del 2 marzo 2005). Ai fini dell’applicazione dell’IMU, invece, il Dipartimento delle Finanze avrebbe scongiurato l’insorgere del problema, nella parte in cui ha riaffermato che il presupposto impositivo è il possesso di qualunque immobile, compresi i terreni “incolti” o “non coltivati” (circ. n. 3/DF del Ministero dell’Economia del 18 maggio 2012, paragrafi 2 e 7.2).
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