Omesso versamento IVA fra sanzioni tributarie e penali: quadro aggiornato della giurisprudenza
Martedì, 28 Gennaio 2014
I reati di omesso versamento dell’Iva non si pongono in rapporti di specialità rispetto alle analoghe violazioni tributarie, con la conseguenza che, verificandosi il superamento della soglia di punibilità (50.000 euro), possono applicarsi entrambe le sanzioni, questo è quanto affermato dai supremi giudici della Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, nella sentenza n. 37424 del 2013.
Però,
prima di analizzare il reato sotto l’aspetto penale (che può portare a
condanna con la reclusione da sei mesi a due anni) e le relative
sentenze in merito, è opportuno trattare la questione tributaria per evincerne la sanzione.
QUESTIONE TRIBUTARIA
Ai sensi dell’art.13, c. 1,del D.Lgs n. 471 del 1997
“chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i
versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di
conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione,
detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in
acconto, ancorchè non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa
pari al 30% di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla
correzione degli errori materiali e di calcolo rilevati in sede di
controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o
una minore eccedenza detraibile”. La sanzione del 30% è dunque prevista a carico di chi non esegue i versamenti d’imposta risultanti dalla dichiarazione. Accade
però che taluni uffici applichino detta imposta anche quando non si
discute di omesso versamento di imposte dichiarate, ma di omessa
dichiarazione, omessa fatturazione ed omessa registrazione di operazioni
imponibili: ipotesi cioè che attengono alla fase di accertamento, non a
quella della riscossione del tributo. La sanzione per omesso versamento
viene pertanto irrogata nei confronti di contribuenti che, avendo
omesso di dichiarare fatture o registrare determinate operazioni, non
abbiano emesso nessuna imposta a riguardo: si pensi ,ad esempio,
all’imprenditore che non registri né fatturi operazioni imponibili, o al
sostituto che non effettui né dichiari ritenute d’ acconto.
In
questi casi deve recisamente escludersi l’applicazione dell’art.13 del
D.lgs n.471 del 1997. La norma è collocata nel titolo II del decreto,
che regola le sanzioni in materia di riscossione e ciò conferma, al di
là del suo inequivoco tenore letterale, che essa non è applicabile
quando venga in discussione il presupposto dell’obbligazione tributaria,
che riguarda, appunto, l’accertamento e non la riscossione del tributo.
All’accertamento
di una omessa fatturazione o di una omessa ritenuta d’acconto non può
seguire l’irrogazione per omesso versamento, che presuppone invece l’
esistenza di un’imposta dichiarata: dichiaro 100 e non verso, o verso in
ritardo, o soltanto in parte. Mentre, se dichiaro e verso 100, il
versamento che dichiaro risulta congruo, salvo verificare l’ eventuale
infedeltà della dichiarazione. Questi principi trovano conferma in
giurisprudenza o nella stessa prassi amministrativa.
In
una fattispecie di omesso versamento dell’Iva, la Corte di Cassazione,
sentenza del 17 gennaio 2002 n.450 (in Rivista Giuridica Tributaria del
2002 n.949) ha affermato infatti che la riscossione dell’imposta
presuppone necessariamente la (auto) liquidazione dell’Iva da parte del
soggetto passivo; in altri termini, il versamento dell’Iva imposto dalla
legge riguarda l’imposta già determinata e liquidata al soggetto
passivo.
Quindi,
la giurisprudenza, di merito ha dichiarato che l’omesso versamento va
riferito alle ipotesi di imposte dichiarate e non versate e non anche
all’ ipotesi di imposte non dichiarate, e quindi formalmente da non
versare.
Le norme che disciplinano l’applicazione delle sanzioni possono essere cosi riassunte:
-
le sanzioni hanno carattere personale e quindi non si trasmettono agli
eredi. Un’eccezione a questa regola è prevista dall’ art. 7 del decreto
legge n.269 del 2003, che ha introdotto il principio della riferibilità,
per cui se l’ autore della violazione ha agito nell’interesse di una
società o ente con personalità giuridica, è quest’ultimo soggetto che
deve assumere a suo carico il pagamento di una sanzione;
- la somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi;
-
nessuno può essere soggetto a sanzione se non in forza di una legge
entrata in vigore prima della violazione(principio della
irretroattività);
-i
n base al principio del favor rei le leggi intervenute dopo il fatto si
applicano se più favorevoli al contribuente, a condizione che il
provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo;
-
non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha
commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere e volere in base
ai criteri indicati dal codice penale( principio di imputabilità) né
coscienza e volontà della propria condotta(dolo o colpa);
-
le sanzioni non si applicano: nei casi di obiettiva incertezza sulla
portata delle disposizioni; quando la violazione deriva dalla equivocità
dei modelli o dalle richieste di informazioni dell’ amministrazione
finanziaria; quando le violazioni derivano da ignoranza della legge
tributaria non evitabile;
- non è punibile il fatto commesso per causa di forza maggiore;
-
in caso di concorso di più violazioni o di violazioni continuate, anche
in tempi diversi, si applica la sanzione più grave, aumentata da un
quarto al doppio;
-
le sanzioni sono ridotte anche in caso di ravvedimento spontaneo, di
accettazione della sanzione o di rinuncia a impugnazioni e ricorsi;
- le sanzioni devono sempre essere adeguate al danno subito dall’erario e all’entità soggettiva e oggettiva delle violazioni.
ASPETTO PENALE
Nell’attuale
contesto di crisi, molte imprese si trovano nell’impossibilità di
adempiere al pagamento delle imposte e nel nostro caso dell’Iva.
Infatti,
si sta mitigando sulle possibili conseguenze negative dei reati di
omesso versamento di quest’ultima, nelle ipotesi in cui questo non
dipenda dalla volontà del contribuente, ma dalla crisi economica.
Il reato di omesso versamento Iva (Art. 10 ter D.Lgs. n. 74/2000)
Nel
testo originario del decreto Legislativo numero 74 del 2000 non erano
previste fattispecie delittuose riguardanti l’ omesso versamento di
imposte. Uno dei principi cardine del nuovo diritto penale tributario,
infatti, era quello di punire penalmente solo i comportamenti aventi un
particolare grado di antigiuridicità e insidiosità in campo fiscale,
lasciando nel campo delle sanzioni amministrative le violazioni
tributarie di minore entità.
Nel
corso del 2004 e del 2006 il legislatore, tuttavia, ha introdotto i
reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis) e
dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter), pur prevedendo una
soglia di non punibilità di 50 mila Euro per periodo d’ imposta. I reati
citati rappresentano delle forme particolari di appropriazione indebita
ai danni dello Stato e costituiscono delitti. L’integrazione del reato
richiede, pertanto, la sussistenza dell’elemento soggettivo costituito
dal dolo.
Comunque,
per meglio comprendere la situazione, qui di seguito, in ordine
cronologico, menzionerò le principali sentenze della Corte di
Cassazione, che hanno fatto stato, più qualche pronuncia anche del Gip
presso il tribunale di Firenze, sino alla più recente sentenza della
Commissione Tributaria provinciale del 10 dicembre 2013.
Commette reato il contribuente che non versa l’ Iva dichiarata (più di 50 mila euro)entro
il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’
imposta successivo (vale a dire 27 dicembre). E’ quanto ricordato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 503 dell’ 8 gennaio 2012. La
terza sezione penale ha confermato la condanna inflitta ad un
imprenditore di Milano che, pur avendo dichiarato l’Iva, non l’aveva
versata entro il termine per il versamento dell’ acconto relativo al
periodo di imposta successivo.
Il
processo penale, a differenza di quello tributario, impone di valutare e
provare la volontarietà dell’omissione, nel senso richiesto della norma
violata, di tal che deve risultare che l’ agente si è rappresentato e
ha voluto l’ omissione del versamento nel termine richiesto: ne consegue
che deve escludersi detta volontarietà nell’ ipotesi in cui la
crisi finanziaria in cui si è venuto a trovare il contribuente, anche a
causa delle condotte di soggetti terzi inadempienti nei suoi confronti,
lo ha posto in condizione di illiquidità che non lo rende perseguibile
penalmente, pur se inadempiente al pagamento dell’Iva. E inoltre manca l’elemento psicologico del reato. E’ quanto si evince dalla sentenza del 10 agosto 2012 del Gip del tribunale di Firenze.
In
caso di omesso versamento dell’Iva la confisca per equivalente dei beni
che un azienda affitta è sempre possibile se l’ operazione è solo
simulata. In questo caso il titolare mantiene, in realtà, la piena disponibilità dei beni. A sancirlo è la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.43508 del 9 novembre 2012.
Il reato di omesso versamento Iva non sussiste se la società è in liquidazione prima della scadenza del pagamento, lo ha stabilito il Gip di Milano che con la sentenza n. 2818/2012
ha assolto dal reato l'imprenditore in quanto non sussisteva l’
elemento psicologico e dove la sua azienda versava in una situazione di
crisi economica.
-Ancora, in un'altra sentenza del 8 ottobre 2012 n.39449 della Cassazione si evince come l’omesso versamento Iva è reato se si protrae al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta; intervenendo sulla novella introdotta dall’art. 35, c. 7, del dl 203/06.
La
novella sanziona chiunque non versa l’Iva dovuta in base alla
dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo d’ imposta successivo: la condotta antidoverosa
risulta assimilata sotto il profilo sanzionatorio a quella del sostituto
d’ imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituti. E’ peraltro l’articolo 6, comma 2, della legge
405/90 che fissa alla data del 27 dicembre il termine previsto per il
versamento dell’acconto relativo al periodo d’ imposta successivo.
Il reato di omesso versamento Iva si consuma anche senza notifica dell’accertamento fiscale;
è infatti sufficiente che il contribuente abbia lasciato spirare il
termine ultimo per saldare il debito con l’erario e cioè quello per il
versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. E’
quanto ha affermato la Corte di Cassazione, che con la sentenza dell’ 8 luglio 2013,
ha confermato un sequestro finalizzato alla confisca a carico di un
evasore ancor prima che il contribuente avesse ricevuto l’ atto
impositivo. La difesa aveva contestato che l’ imprenditore non aveva mai
ricevuto avviso di accertamento da parte dell’ufficio Iva di Salerno.
In proposito, i supremi giudici hanno espressamente chiarito che, ai
fini del perfezionamento del modello legale del reato di cui
all’art.10-ter d.lgs. 74/00, non è affatto richiesta la notifica
dell’avviso di accertamento dell’infrazione, in quanto il reato di
omesso versamento dell’Iva si consuma nel momento in cui scade il
termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al
periodo di imposta successivo.
Le difficoltà finanziarie dell’azienda non esonerano dalla responsabilità penale l’ imprenditore che non versa l’Iva; questo lo sancisce la Corte di cassazione con la sentenza n.29751 dell’11 luglio 2013.
E’ il caso di un imprenditore che aveva proposto ricorso in Cassazione,
dopo la sentenza della Corte d’appello di Torino che aveva confermato
la decisione del giudice di primo grado. Colpevole del reato di omesso
versamento Iva, veniva condannato a scontare la pena dei due mesi e
venti giorni di reclusione, oltre alle pene accessorie. A sua difesa, l’
imputato dichiara che le difficoltà finanziarie lo avevano costretto a
saldare fornitori e dipendenti, nel tentativo di evitare il fallimento,
sperando, successivamente, di rimediare al versamento dell’imposta.
Nessuno sconto da parte dei giudici, l’ imposta andava versata. Il
ricorso pertanto è inammissibile.
Con la sentenza n.37424 del 2013 le Sezioni Unite dellaCassazione, partendo
dal presupposto che l’Iva viene riscossa una volta emessa la fattura e
sussiste quindi l’obbligo di accantonamento da parte del contribuente
per eseguire il successivo versamento, hanno ritenuto integrato il reato anche in presenza di crisi di liquidità. Sul punto la medesima sentenza però sembra offrire un minimo di apertura ove i contribuente dimostri, circostanza non particolarmente semplice, oltre alla crisi di liquidità in cui verte l'azienda, anche che l’omesso versamento non sia dipeso da una scelta dell’imprenditore.
In
molte ipotesi di omesso versamento Iva, una volta ricevuto l’avviso
bonario dall’agenzia delle Entrate, o la cartella di pagamento da
Equitalia, il contribuente provvede a pagare quanto dovuto, anche se a
rate (e quindi a reato già consumato, successivamente cioè al 27
dicembre). Va tenuto presente che il pagamento eseguito dopo tale data non fa venir meno la violazione penale ma riduce di un terzo la pena.
E’ necessario, a tal fine, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità, che l’estinzione integrale del debito
avvenga prima del dibattimento. In concreto, quindi, per beneficiare dell’attenuante il contribuente dovrà estinguere le rate prima di tale udienza.
Sotto il profilo procedurale, può tornare utile ricordare che la
maggior parte dei reati di omesso versamento si concludono con il
decreto di condanna, ossia un procedimento speciale che prevede l’
instaurazione di un giudizio sulla sola base degli atti delle indagini
preliminari presenti nel fascicolo del pubblico ministero, in assenza
dunque sia dell’udienza preliminare sia del dibattimento. Il Pm può cosi
chiedere al Gip di emettere un decreto penale contenente la
contestazione del reato e l’applicazione della pena solo pecuniaria. Sia
in ipotesi di decreto penale sia di condanna a seguito di altro
procedimento (patteggiamento incluso), è prevista la confisca per
equivalente se il contribuente, debitore dell’erario, non abbia estinto
il suo debito Iva con il Fisco.
Ove, invece, abbia pagato (per intero) l’ imposta anche se, di norma, successivamente alla scadenza penalmente rilevante, pur risultando comunque integrato il reato, la confisca equivalente non si può più eseguire. Si tratterrebbe di un’ingiustificata doppia sanzione, sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 45189 del 2013.
La Corte di Cassazione sezione penale con la sentenza n. 22980 del 28 maggio del 2013 ha affermato che è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, del patrimonio della società che ha tratto vantaggio dai reati tributari posti in essere dal legale rappresentante,
salvo che non si dimostri che la persona giuridica è un mero apparato
fittizio, utilizzato per la commissione degli illeciti fiscali.
La Corte di Cassazione sezione penale con la sentenza n. 42350 del 15 ottobre 2013 intervenendo in materia di reati fiscali e provvedimenti di sequestro preventivi ha ribadito che non
è ammesso il provvedimento di sequestro per equivalente dei beni della
società per i reati fiscali commessi dall’amministratore.
Neppure se si considera la misura cautelare stessa come istituto non
sanzionatorio per applicarla anche a chi non ha commesso il reato.
La vicenda ha visto protagonista il rappresentante legale di una cooperativa cui veniva contestato il reato di cui all’articolo 10-ter d.lgs. 74/2000 per non aver pagato l’IVA per oltre i 50.000,00 euro della stessa cooperativa.
Pertanto il Gip disponeva, su richiesta del PM, il sequestro preventivo
nei confronti dell’imputato mentre non accoglieva la richiesta di
sequestro preventivo nei confronti della cooperativa, avendo il Gip
ritenuto che il d.lgs. 231/2000 prevede la responsabilità dell’ente per i
reati commessi a suo vantaggio solo nelle fattispecie di cui agli
articoli 24 e seguenti dello stesso decreto legislativo, non includenti i
reati fiscali. Il Tribunale, cui aveva presentato appello il PM, ha
confermato tale decisione del Gip, richiamando giurisprudenza di
legittimità in senso conforme. Avverso tale decisione il PM ricorre alla
Corte Suprema.
Gli
Ermellini, con la sentenza in commento, respingono il ricorso del
Procuratore della Repubblica consolidando l’orientamento della
Cassazione, allargandolo però alla presa in considerazione di nuovi
elementi portati dalla pubblica accusa. Superata una iniziale incerta
giurisprudenziale della Cassazione, poiché in alcune pronunce aveva
ammesso la possibilità di procedere alla misura cautelare anche a carico
della società, facendo leva sul rapporto organico tra l’indagato di
reati fiscali e la persona giuridica che dalla commissione (presunta)
dell’illecito ha tratto vantaggio, nelle sentenze più recenti è andato
via via consolidandosi un orientamento diverso che non ha più
considerato sufficiente il rapporto organico. A essere valorizzata è
stata, invece, l’assenza dei reati tributari nell’elenco di quelli che
possono dare luogo alla misura cautelare, sulla base del decreto 231 del
2001, sulla responsabilità amministrativa delle società per i delitti
compiuti da propri dipendenti.
Il
Pubblico Ministero, consapevole dell’orientamento ormai consolidato e
costante della Corte Suprema, ha spostato il ragionamento sulla natura
della confisca per equivalente negandone la natura di sanzione e
valorizzando, invece, quella di misura di sicurezza. In questo senso,
sosteneva tra l’altro l’accusa, se la confisca fosse una pena, il
pagamento del debito tributario sarebbe equivalente a causa di
estinzione della pena mentre rimane solo una circostanza attenuante.
Quindi, venuta meno la natura sanzionatoria, la misura cautelare
potrebbe essere applicata anche a chi non ha commesso il reato, ma ha
comunque tratto vantaggio.
I
giudici di legittimità hanno ritenuto che queste argomentazione non
devono portare a una modifica delle ultime conclusioni. La tesi
sostenuta dal Pm, nel caso di specie, ignora il fatto che “il vero
centro è l’identificazione della misura e della modalità con cui un
soggetto, che non è persona fisica, e che pertanto non può essere reo di
alcun reato incede nel sistema penale per subire le conseguenze di un
reato, commesso in suo favore”. I giudici del Palazzaccio
evidenziano che la persona giuridica allora è una finzione giuridica,
nel senso di un istituto giuridico con cui si è rivestita un’attività
umana. Una finzione che funziona senza troppi intoppi nel settore del
diritto civile e del diritto amministrativo, ma che ha bisogno di un
adeguamento specifico quando, come nel diritto penale, la responsabilità
della condotta illecita è personale.
Con
l’introduzione del D.Lgs. n. 231/2001 il legislatore ha adeguato il
diritto con l’ingresso, in via eccezionale, dell’ente collettivo nel
sistema della responsabilità individuale, solo formalmente
amministrativa, ma nei fatti con aspetti ampiamente penali. Si tratta di
un’eccezione però che trova la sua declinazione operativa
nell’individuazione di una lista di reati presupposto. Dalla quale,
però, i reati tributari sono assolutamente esclusi.
Per
cui alla luce di quanto sopra la Cassazione non accoglie la richiesta
del PM al rinvio della decisione alle Sezioni unite in quanto il diritto
vivente non può, in alcun caso, sostituirsi al legislatore. Nel caso esaminato, seguire una linea diversa e estendere
l’identificazione della persona giuridica con quella fisica, cui è
collegata da rapporto organico, vorrebbe dire scardinare l’istituto
stesso della persona giuridica, regredendo ad un ordinamento che non riconosce più l’istituto stesso.
L’ex
amministratore non risponde dell’omesso versamento dell’Iva se non è
chiara la situazione dell’azienda nel momento in cui lui entra in carica.
Si tratta, infatti, di un reato istantaneo riferibile al destinatario
dell’ obbligo, e cioè al manager in carica. Ad ogni modo, l’accusa dovrà
ricostruire i movimenti di cassa nelle varie fasi di vita della
società. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 39082 del 23 settembre 2013,
contrariamente al parere della Procura Generale, ha annullato con
rinvio la condanna inflitta ad un amministratore di una Srl poi fallita.
E’
retroattivo (applicabile anche all’anno d’ imposta 2004) il reato di
mancato versamento delle ritenute che superano i 50 mila euro;
dunque, il sostituto d’imposta risponde della sanzione penale e
amministrativa che sono cumulabili, è quanto sancito dalle Sezioni Unite
penali della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 37425 del 12 settembre 2013,
hanno dato una interpretazione restrittiva all’articolo 10-bis del
d.lgs. 74 del 2000, rendendo definitiva la condanna a carico
dell’imprenditore.
Il
reato di omesso versamento dell’Iva sussiste anche nel caso in cui la
società abbia già ottenuto il concordato preventivo, sancito dalla Corte
di Cassazione con la sentenza n.44283 del 31 ottobre 2013; l’ imprenditore può salvarsi dalla condanna penale optando per la transazione fiscale.
La
confisca sui beni dell’evasore fiscale è una misura obbligatoria anche
in caso di patteggiamento e deve essere pari all’ ammontare dell’
imposta non pagata. E non è necessario il sequestro preventivo. A questa interessante conclusione è giunta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 4445 del 4 novembre 2013,
ha accolto il ricorso della procura di Ancona; insomma, il giudice del
patteggiamento ha veramente poco spazio d’ azione. La misura ablativa
deve essere sempre disposta a garanzia del debito fiscale e per l’
intero ammontare dell’Iva evasa.
Il
sequestro finalizzato alla confisca sui beni dell’evasore fiscale deve
essere revocato se il contribuente ha saldato il suo debito con
l’amministrazione finanziaria. Pur essendo una misura sanzionatoria, non può sussistere alcun automatismo nell’applicazione. Lo sottolinea la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45188 del’ 8 novembre 2013.
A
fine anno 2013, arriva una buona notizia per gli imprenditori che non
riescono a riscuotere dall’amministrazione pubblica e dai privati.
Infatti, non devono al fisco la sanzione Iva perché il ritardo nel pagamento da parte dei clienti è considerato una causa di forza maggior che esclude la responsabilità del contribuente.
Lo ha stabilito la Ctp di Campobasso con la sentenza n.179 del 10 dicembre 2013.
Il
contribuente ha dimostrato di aver fatto tutto il possibile per
riscuotere dall’ente locale e dagli altri debitori, ma senza successo.
Tanto è sufficiente, per la CTP, ad annullare l’atto impositivo nel
frattempo spiccato dall’ufficio Iva sul fronte interessi e sanzioni. La
prova che l’omesso o ritardato pagamento del tributo sia stato provocato
dai ripetuti ritardi dei pagamenti di rilevanti somme dovute al
contribuente dai soggetti per cui ha effettuato prestazioni lavorative
(tra cui la stesa pubblica amministrazione), congiuntamente alla prova
di essersi concretamente attivato per recuperare le sue spettanze, esime
dalla responsabilità per le sanzioni contestate.
Ultima in ordine di tempo è la sentenza della Corte
di Cassazione n. 966 del 13 gennaio 2014 che dichiara che è soggetto a
confisca per l’ equivalente della somma Iva non versata l’ imprenditore
anche se ha patteggiato la pena, e si tratta di una misura obbligatoria che il giudice è tenuto a disporre.
DUBBI DI COSTITUZIONALITA’ SULL’OMESSO VERSAMENTO IVA
Secondo
il Tribunale di Bologna nell’ordinanza n. 80000/2013, in relazione ai
fatti reati ante 17/09/2011, non è manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del Dlgs .n. 74 del
2000, limitatamente ai fatti commessi sino al 17/09/2011, nella parte in
cui punisce l’omesso versamento Iva per importi regolarmente dichiarati
e dovuti al Fisco per importi superiori a 50.000 euro. Questo per
violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della
Costituzione, in rapporto all’art. 5 D.lgs. 74 del 2000 (omessa
dichiarazione fiscale). Ai fini della configurabilità del reato previsto
dall’art.10-ter del Dlgs. 74 del 2000 (come introdotto dal DL. 4 luglio
2006, n.223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n.
248) occorrono due presupposti:
-
che l’ omesso versamento abbia ad oggetto un’imposta sul valore aggiunto di importo complessivamente superiore ad 50.000 per ciascun periodo di imposta;
-
che l’ omissione abbia ad oggetto l’ imposta sul valore aggiunto che risulta dovuta in base alla dichiarazione annuale regolarmente presentata.
Osservano
i giudici che la mancata presentazione della dichiarazione annuale Iva
ed il conseguente mancato versamento dell’imposta dovuta erano e restano
se commessi anteriormente al 17 settembre 2011
penalmente rilevanti, stante il mancato raggiungimento della soglia di
punibilità prevista dall’art. 5 D.lgs. 74 del 2000 (cioè € 77.468,53);
invece, la regolare presentazione della dichiarazione annuale non
seguita (al più tardi del 27 dicembre dell’anno successivo) dal
versamento dell’Iva dichiarata è ora penalmente perseguibile, ai sensi
dell’art. 10-ter del Dlgs 74 del 2000,anche per i fatti commessi fino al
17 settembre 2011 al solo raggiungimento della soglia di punibilità
indicata dalla norma (pari a 50.000 euro).
E
tale disparità di trattamento, secondo il Tribunale, si pone in
evidente contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3
della Costituzione.
La
risoluzione della questione di legittimità costituzionale della norma
indicata è dunque, all’evidenza determinante solo sulla penale
responsabilità dell’imputato, non consentendo altrimenti la definizione
del giudizio.
Quindi,
concludono i giudici, si impone la rimessione della questione alla
Corte Costituzionale, con conseguente sospensione del processo ed
immediata trasmissione degli atti alla stessa Corte Costituzionale.
UNO SPIRAGLIO POSITIVO SEMBRA EMERGERE DALLA PENULTIMA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE PENALE
La sentenza n. 2614 della Cassazione, terza sezione penale depositata il 21 gennaio del 2014, offre un interessante spunto su come potersi esimere dal reato di omesso versamento Iva,
dimostrando concretamente che il mancato pagamento sia dipeso realmente
dall’impossibilità incolpevole di effettuarlo in un contesto
soprattutto dove forte è la crisi economica in cui versa il
contribuente. Nel ricorso la difesa riproponeva la mancanza
dell’elemento soggettivo del reato, ed in più il fine di evadere le
imposte, trattandosi di una società che svolgeva attività ben definita,
ma purtroppo in un momento di crisi economica.
La
Corte, pur respingendo il ricorso, però, ha effettuato un’attenta
disamina della pronuncia delle Sezioni Unite penali sul punto (sentenza
n. 37424/2013), giungendo a conclusioni che appaiono interessanti. Le
Sezioni Unite, pur nella loro rigorosa interpretazione, sembravano
offrire una minima apertura al contribuente che dimostri, oltre alla
citata crisi di liquidità, anche che l’ omesso versamento non fosse
dipeso dalla scelta dell’imprenditore. I giudici di legittimità, in base
alla pronuncia delle Sezioni unite, hanno ritenuto che la deduzione
riguardante la crisi economica fosse stata generica ed il fatto non
recava indicazioni specifiche né atte a ravvisare una reale
impossibilità incolpevole dell’adempimento tributario penale contestato.
Ove
tali elementi fossero stati puntualmente provati, il contribuente non
avrebbe risposto dell’illecito penale contestato. Probabilmente,
occorreva dimostrare che il contribuente non fosse venuto meno, in tutto
o in parte, al dovere di accantonamento dell’imposta precedentemente
incassata richiesto dalle Sezioni unite.
Si dovrebbe, quindi,
provare che l’ incasso dell’ Iva non è automatico rispetto
all’emissione del documento fiscale e quindi che l’ omesso versamento
Iva sia conseguenza di tali mancati incassi.
IL REATO NON SUSSISTE SE INCORRE IN ERRORE IL COMMERCIALISTA
Altra ventata di salvezza per il contribuente, che è stato incolpato per reato di omesso versamento Iva, il quale dimostra con testimonianza o prova documentale che c’è stato un errore da parte del proprio commercialista nell’ assolvere con diligenza al suo incarico.
Questo è il caso di un contribuente che fa ricorso in Cassazione ed i giudici di legittimità lo accolgono, con la sentenza n. 2882, depositata il 22 gennaio 2014.
Il contribuente si difende evidenziando che il superamento della soglia dei 50.000 euro era dipeso da un errore del suo commercialista,
il quale non aveva utilizzato un credito Iva che gli avrebbe permesso
di far scendere il versamento omesso sotto tale cifra, facendo così
escludere la responsabilità penale. In più, oltre all’errore
testimoniato dallo stesso professionista, si scopre anche la notifica di
una cartella di pagamento, dalla quale si evince che era stata
erroneamente generata una delega in compensazione delle imposte dirette
nonostante la società avesse richiesto specificatamente la compensazione
dell’Iva.
Da qui l’esclusione dell’elemento psicologico
e quindi l’esclusione della coscienza e della volontà di omettere il
versamento dell’imposta per un importo superiore a 50.000 euro.
Maurizio Villani
Grazia Albanese
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