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giovedì 9 aprile 2015

Accertamento: il Fisco può scegliere il metodo

La sentenza 17952 del 24 luglio scorso assicura all'amministrazione finanziaria la libertà di scegliere tra il metodo induttivo puro e analitico-induttivo - Cassazione 168x126

La Suprema Corte nella sentenza n. 17952 del 24 luglio 2013 ha  affermato  un’importante norma giuridica: per i contribuenti in contabilità semplificata, la regolarità delle scritture contabili non impedisce l’accertamento basato sugli studi settore; per i contribuenti in contabilità ordinaria invece, l'irregolarità delle scritture è condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata. In ogni caso, spetta all'Amministrazione Finanziaria la scelta del metodo di accertamento più consono a far emergere l’effettiva capacità reddituale del contribuente.
 
Rimane, dunque, riservata in via esclusiva all’Amministrazione finanziaria la scelta del metodo di accertamento e, conseguentemente, la individuazione degli elementi probatori che, nello specifico caso concreto, appaiono da ritenersi maggiormente idonei a fare emergere la effettiva capacità reddituale del contribuente, ben potendo l'Amministrazione finanziaria rinunciare ad avvalersi dei parametri determinati in base agli studi di settore, nel caso in cui le irregolarità riscontrate nella contabilità non impediscano di ricostruire gli elementi positivi e negativi di reddito, mediante il metodo "analitico-induttivo" ovvero mediante il metodo “induttivo puro".
 
IL CASO
In seguito ad ispezione fiscale veniva emesso e notificato nei confronti di C.F., titolare della omonima ditta individuale, avviso di accertamento in rettifica con il quale venivano recuperati ad imponibile maggiori redditi e ricavi realizzati nell'anno 1999 e determinata la maggiore imposta dovuta a titolo IVA, IRPEF ed IRAP.
La sentenza della CTP di Caserta n. 24/2004, di rigetto del ricorso proposto dal contribuente, veniva riformata in appello con sentenza 21.11.2005 n. 207 della CTR della Campania che dichiarava illegittimo l'avviso di rettifica per inesistenza dei presupposti normativi per l'applicazione del metodo di accertamento c.d. induttivo. I giudici del riesame esaminando le singole omissioni ed irregolarità contabili contestate al contribuente, motivavano la sentenza ritenendo che le stesse non apparivano ostative ad una ricostruzione analitica dei dati contabili e che, pertanto, difettava il presupposto legittimante l'accertamento induttivo, consistente in lacune od errori e falsità tali da rendere - per gravità, molteplicità e ripetitività - del tutto inattendibili le scritture contabili.
 
Ricostruiamo l’iter processuale con maggior attenzione e analiticità.
 
Con il ricorso introduttivo il contribuente aveva impugnato l'avviso di accertamento in quanto nel determinare la percentuale di ricarico (calcolata nella misura di oltre il 30% in luogo del 2% indicato dal contribuente) l'Amministrazione finanziaria non aveva utilizzato il criterio della "media ponderata", e dopo aver rilevato che la Amministrazione aveva qualificato le irregolarità formali riscontrate nelle scritture contabili in sede ispettiva come "gravi, numerose, e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse" ed aveva quindi proceduto all'accertamento induttivo - ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ai fini della imposte sui redditi, ed ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, a fini IVA – i giudici hanno ritenuto che dette irregolarità formali non erano comunque ostative alla ricostruzione, con metodo analitico, della base imponibile, in quanto:
  1. la omessa indicazione nelle fatture dei prezzi unitati di vendita era da ritenersi irrilevante, potendo tale dato essere ricavato mediante semplice operazione di divisione del corrispettivo fatturato con la quantità di merce indicata.
  2.  la omessa contabilizzazione delle giacenze di magazzino non era sintomo di infedeltà della dichiarazione in quanto appariva giustificata dalla natura dei prodotti commercializzati (ortofrutta) il cui accantonamento si riduce quantitativamente al termine del raccolto (periodo durante il quale era stata condotta la verifica fiscale), non avendo peraltro i verbalizzanti proceduto a materiale ispezione dei depositi-magazzino frigoriferi.
  3.  la omessa fatturazione degli "imballaggi" non assumeva rilevanza ai fini della inattendibilità delle scritture "trattandosi di materiale meramente accessorio alla vendita delle merci" d) se dai "partitari" (mastrini di sottocosto) compilati dalla ditta nel corso dell'esercizio era dato effettivamente rilevare saldi anomali, tuttavia il dato contabile "finale" doveva ritenersi corretto, in quanto la censurabile prassi di procedere alla contabilizzazione delle fatture solo successivamente all'avvenuto pagamento, si era risolta in una mera registrazione tardiva delle fatture, con la conseguenza che le anomalie dei saldi riscontrate risultavano regolarmente ricomposte entro la chiusura dell'esercizio.
  4.  l'Ufficio, inoltre, non aveva formalmente controdedotto alle allegazioni del contribuente secondo cui:
  •  applicando i parametri previsti dagli "studi di settore" lo scostamento tra i redditi dichiarati e quelli accertati sarebbe risultato notevolmente ridotto rispetto all'imponibile determinato nel PVC dai verbalizzanti, anche in considerazione delle influenze esercitate nello specifico settore merceologico "da eventi imponderabili esterni alla gestione e da difformità i comportamenti degli imprenditori";
  •  il calcolo delle quote di ammortamento era stato viziato dalla applicazione di un "codice di attività" errato rispetto alla attività esercitata dalla impresa.

    Un inquadramento completo dei due metodi nel Commento del dott. Bertolaso

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