Il comportamento antieconomico
del contribuente incassa ancora una censura dalla Corte di Cassazione,
questa volta sulla congruità delle percentuali di ricarico applicate da
un imprenditore individuale nel settore della vendita di abbigliamento.
I giudici di legittimità, con la sentenza n.1839 del 29 gennaio 2014, hanno ribaltato la decisione - piuttosto frettolosa - della Commissione Tributaria Regionale favorevole al contribuente, che aveva ritenuto illegittimo il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria all’accertamento induttivo in presenza della “riscontrata regolarità della documentazione contabile”.
Il caso in commento è quello di un commerciante di abiti che, a parere dell’Ufficio, aveva applicato un ricarico “assai modesto”
alle sue vendite (9,78%) riscontrato dai dati indicati in
dichiarazione, denotando di fatto un “chiaro” approccio antieconomico
perché irragionevole in relazione al settore di appartenenza.
Inoltre, dal confronto – su circa il 90%
della merce – tra i prezzi dei capi esposti in vendita e i relativi
costi emergenti dalle fatture di acquisto, l’Ufficio, applicando la
media aritmetica semplice, aveva riscontrato una percentuale di ricarico
di circa il 40%.
La Commissione Tributaria Regionale,
sposando la decisione del giudice di primo grado favorevole al
contribuente, ne accoglieva le istanze con argomentazioni - si diceva -
piuttosto frettolose.
Il giudice di appello, infatti, pur ravvisando un chiaro indizio di evasione
nell’applicazione dei margini modesti da parte del contribuente,
rigettava l’appello dell’Amministrazione Finanziaria contestando il
ricorso della stessa al metodo di accertamento induttivo
a fronte della corretta tenuta della contabilità sul piano formale,
senza tuttavia entrare nel merito del ricalcolo effettuato dall’Ufficio.
Al contrario, la Corte di Cassazione ha
confermato la bontà dell’operato dell’Ufficio accertatore e ritenuto
pienamente legittimo il metodo dell'accertamento induttivo, in presenza
di elementi presuntivi non opportunamente giustificati e di sicura rilevanza probatoria “desunti dalla sostanziale antieconomicità del comportamento della titolare della ditta”.
Pertanto, secondo la Corte, la condotta
antieconomica è da sola sufficiente a disconoscere quanto dichiarato dal
contribuente e la CTR, del tutto “contraddittoriamente”, ha
fondato la decisione essenzialmente sulla "regolarità della
documentazione contabile”, pur a fronte del chiaro indizio di evasione
fiscale.
È difficile ravvedere una contraddizione nell’iter
seguito dalla CTR. Tuttavia, in relazione al tipo di accertamento
effettuato, pare che la contestazione riguardi specifiche poste
contabili e non l’intera dichiarazione del contribuente, circostanza
che, come noto, consente di prescindere dalla corretta tenuta della
contabilità, diversamente da quanto previsto nel caso dell’accertamento induttivo “puro”.
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