MASSIMA
In
caso di cessione di azienda la definizione di un maggior valore ai fini
dell’imposta di registro non assume automatica efficacia ai fini delle
imposte dirette.
*****
Ai
sensi del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 51 del D.P.R. 26
aprile 1986, n. 131 (Testo unico imposta di Registro), in caso di
cessione d’azienda la base imponibile per il calcolo dell’imposta di
registro è determinata dal valore venale in comune commercio, ossia il
prezzo che, in normali condizioni di mercato, il cessionario sarebbe
disposto a pagare per l’acquisto dell’azienda.
Il
successivo comma 4 dell’art. 51 prevede che l’Ufficio competente
controlli il valore sul quale è stata determinata l’imposta di registro
considerando il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda
ceduta, compreso l’avviamento.
Ai
fini delle imposte sui redditi, in base al comma 2 dell’art. 86 del
D.P.R. n. 917/1986 (Testo unico imposte sui redditi), concorrono alla
formazione del reddito anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di
aziende, compreso il loro valore di avviamento, realizzate unitariamente
a titolo oneroso; in tale ipotesi, la plusvalenza è costituita dalla
differenza fra il corrispettivo conseguito e il costo non ammortizzato.
La
rilevanza del corrispettivo per la determinazione della plusvalenza
realizzata in caso di cessione d’azienda, ai sensi dell’art. 86, comma 2
del D.P.R. n. 917/1986, è indirettamente confermata anche dalla diversa
disposizione del successivo comma 3 dello stesso art. 86, la quale
prevede l’utilizzo del valore normale nelle sole ipotesi di assegnazione
dei beni ai soci o di destinazione a finalità estranee all’esercizio
dell’impresa.
Pertanto,
i principi relativi alla determinazione del valore di un’azienda che
viene trasferita a titolo oneroso sono diversi a seconda dell’imposta
che si applica: ai fini dell’imposta di registro si ha riguardo al
valore di mercato del bene, mentre con riferimento alle imposte dirette,
la plusvalenza è costituita dalla differenza realizzata tra il prezzo
di cessione convenuto dalle parti nell’esercizio della loro autonomia
negoziale e il costo non ammortizzato.
Considerata
la diversità dei presupposti per la determinazione dell’imposta nella
cessione d’azienda ai fini della applicazione dell’imposta di registro e
delle imposte dirette, sopra descritta, la definizione di un
accertamento ai fini dell’imposta di registro non ha automatica efficacia
ai fini di un accertamento delle imposte sul reddito effettuato sia ai
sensi dell’art. 39, primo comma, lettera c) e d), sia ai sensi del secondo comma del medesimo articolo del D.P.R. n. 600/1973. [1] [2]
Al riguardo, si ritiene che l’Amministrazione Finanziaria in sede di accertamento analitico del reddito d’impresa (ai sensi dell’art.
39, primo comma, lettera c) e d) e art. 40 del D.P.R. n. 600/1973)
possa procedere alla rettifica del corrispettivo di cessione
dell’azienda contabilizzato solamente in presenza di fatti certi o di ulteriori presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, che siano aggiuntive rispetto ad un accertamento definito ai fini dell’imposta di registro e che provino che l’effettivo corrispettivo è superiore a quanto contabilizzato.
Nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria proceda invece, sussistendone le condizioni, ad un accertamento induttivo ai sensi del secondo comma del citato art. 39, atteso che in tale ipotesi il reddito è determinato sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti, si ritiene che il dato relativo alla definizione ai fini dell’imposta
di registro possa solamente costituire un utile elemento da utilizzare,
congiuntamente ad altri elementi, per accertare un maggior
corrispettivo rispetto a quanto contabilizzato, poiché in tale caso l’Ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti necessari in caso di accertamento analitico.
Infatti,
i molteplici elementi presi a base dell’accertamento ai fini
dell’imposta di registro concernono il valore e non il corrispettivo
percepito e possono quindi rappresentare solamente una presunzione
semplice che deve essere integrata con elementi aggiuntivi.
Tale
interpretazione è, altresì, confermata dal recente intervento normativo
in materia di potere di accertamento su operazioni aventi ad oggetto la
cessione di beni immobili[3]:
affinché il valore normale di una cessione di un immobile possa
costituire presupposto per una rettifica del corrispettivo è stata
infatti necessaria una specifica modifica della legge al riguardo,
inserita nell’art. 39 del D.P.R. 600/1973.
In
particolare, il novellato art. 39, 1° comma, lett. d) – ultimo
paragrafo – del D.P.R. n. 600/1973 prevede che per le cessioni aventi ad
oggetto beni immobili gli Uffici finanziari possano rettificare
direttamente il reddito d’impresa quando il “valore normale” dei beni
immobili ceduti risulti superiore al corrispettivo dichiarato, essendo
tale circostanza considerata quale presunzione grave, precisa e
concordante (per gli atti formati sino al 04/07/2006 l’utilizzo del
“valore normale” è considerato una presunzione semplice). In tale
particolare ipotesi, l’Amministrazione Finanziaria non deve quindi
dimostrare che il corrispettivo effettivo è superiore a quello
dichiarato, essendo a carico del contribuente l’onere della prova
contraria.
Pertanto,
si è reso necessario uno specifico intervento normativo affinché, ai
fini delle imposte sui redditi, l’utilizzo del valore normale possa
integrare una presunzione in base alla quale il corrispettivo si
consideri pari al valore normale.
In
conclusione, nelle fattispecie diverse dalla cessione di beni immobili,
come nel caso di cessione d’azienda, la prova del fondamento della
pretesa tributaria grava sull’Amministrazione Finanziaria e deve essere motivata ed adeguata alla disciplina della specifica imposta.
Pertanto, nella motivazione dell’accertamento ai fini delle imposte dirette non è sufficiente la sola indicazione dell’importo definito ai fini dell’imposta di registro, senza ulteriori elementi di prova in relazione al maggior prezzo di realizzo che l’Amministrazione Finanziaria assume come conseguito. [4]
Resta
comunque salva la possibilità in capo all’Amministrazione Finanziaria
di provare l’eventuale occultamento di una parte del corrispettivo
utilizzando i poteri di verifica e controllo messi a sua disposizione
dalla legge, ivi compresa la possibilità di effettuare indagini
finanziarie.
http://www.cesiprofessionale.it/mysolution/staticArea/formazione/pdf/cessione_azienda_trattamento_fiscale.pdf
http://www.commercialistaveneto.org/it/wp-content/uploads/2012/06/ins205.pdf
Milano, ottobre 2008
[2] In
senso contrario, Corte di Cassazione sentenza del 25.01.2006, n. 1447,
sentenza del 21.02.2007, n. 4057 e, da ultimo, sentenza del 18.07.2008,
n. 19830.
[4]Cfr
Corte di Cassazione, Sentenza del 5 novembre 2001 n 13667, Corte di
Cassazione Sentenza del 4 maggio 2005 n 16700, Comm. Trib. Reg. Liguria,
Sentenza del 12 aprile 2005 n. 4,.
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