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sabato 5 ottobre 2013

Rilevanza ai fini delle imposte dirette del maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro in caso di cessione d’azienda


MASSIMA

In caso di cessione di azienda la definizione di un maggior valore ai fini dell’imposta di registro non assume automatica efficacia ai fini delle imposte dirette.
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Ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 51 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico imposta di Registro), in caso di cessione d’azienda la base imponibile per il calcolo dell’imposta di registro è determinata dal valore venale in comune commercio, ossia il prezzo che, in normali condizioni di mercato, il cessionario sarebbe disposto a pagare per l’acquisto dell’azienda.
Il successivo comma 4 dell’art. 51 prevede che l’Ufficio competente controlli il valore sul quale è stata determinata l’imposta di registro considerando il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda ceduta, compreso l’avviamento.
Ai fini delle imposte sui redditi, in base al comma 2 dell’art. 86 del D.P.R. n. 917/1986 (Testo unico imposte sui redditi), concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende, compreso il loro valore di avviamento, realizzate unitariamente a titolo oneroso; in tale ipotesi, la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo conseguito e il costo non ammortizzato.
La rilevanza del corrispettivo per la determinazione della plusvalenza realizzata in caso di cessione d’azienda, ai sensi dell’art. 86, comma 2 del D.P.R. n. 917/1986, è indirettamente confermata anche dalla diversa disposizione del successivo comma 3 dello stesso art. 86, la quale prevede l’utilizzo del valore normale nelle sole ipotesi di assegnazione dei beni ai soci o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Pertanto, i principi relativi alla determinazione del valore di un’azienda che viene trasferita a titolo oneroso sono diversi a seconda dell’imposta che si applica: ai fini dell’imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre con riferimento alle imposte dirette, la plusvalenza è costituita dalla differenza realizzata tra il prezzo di cessione convenuto dalle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale e il costo non ammortizzato.
Considerata la diversità dei presupposti per la determinazione dell’imposta nella cessione d’azienda ai fini della applicazione dell’imposta di registro e delle imposte dirette, sopra descritta, la definizione di un accertamento ai fini dell’imposta di registro non ha automatica efficacia ai fini di un accertamento delle imposte sul reddito effettuato sia ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera c) e d), sia ai sensi del secondo comma del medesimo articolo del D.P.R. n. 600/1973. [1] [2]
Al riguardo, si ritiene che l’Amministrazione Finanziaria in sede di accertamento analitico del reddito d’impresa (ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera c) e d) e art. 40 del D.P.R. n. 600/1973) possa procedere alla rettifica del corrispettivo di cessione dell’azienda contabilizzato solamente in presenza di fatti certi o di ulteriori presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, che siano aggiuntive rispetto ad un accertamento definito ai fini dell’imposta di registro e che provino che l’effettivo corrispettivo è superiore a quanto contabilizzato.
Nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria proceda invece, sussistendone le condizioni, ad un accertamento induttivo ai sensi del secondo comma del citato art. 39, atteso che in tale ipotesi il reddito è determinato sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti, si ritiene che il dato relativo alla definizione ai fini dell’imposta di registro possa solamente costituire un utile elemento da utilizzare, congiuntamente ad altri elementi, per accertare un maggior corrispettivo rispetto a quanto contabilizzato, poiché in tale caso l’Ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti necessari in caso di accertamento analitico.
Infatti, i molteplici elementi presi a base dell’accertamento ai fini dell’imposta di registro concernono il valore e non il corrispettivo percepito e possono quindi rappresentare solamente una presunzione semplice che deve essere integrata con elementi aggiuntivi.
Tale interpretazione è, altresì, confermata dal recente intervento normativo in materia di potere di accertamento su operazioni aventi ad oggetto la cessione di beni immobili[3]: affinché il valore normale di una cessione di un immobile possa costituire presupposto per una rettifica del corrispettivo è stata infatti necessaria una specifica modifica della legge al riguardo, inserita nell’art. 39 del D.P.R. 600/1973.
In particolare, il novellato art. 39, 1° comma, lett. d) – ultimo paragrafo – del D.P.R. n. 600/1973 prevede che per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili gli Uffici finanziari possano rettificare direttamente il reddito d’impresa quando il “valore normale” dei beni immobili ceduti risulti superiore al corrispettivo dichiarato, essendo tale circostanza considerata quale presunzione grave, precisa e concordante (per gli atti formati sino al 04/07/2006 l’utilizzo del “valore normale” è considerato una presunzione semplice). In tale particolare ipotesi, l’Amministrazione Finanziaria non deve quindi dimostrare che il corrispettivo effettivo è superiore a quello dichiarato, essendo a carico del contribuente l’onere della prova contraria.
Pertanto, si è reso necessario uno specifico intervento normativo affinché, ai fini delle imposte sui redditi, l’utilizzo del valore normale possa integrare una presunzione in base alla quale il corrispettivo si consideri pari al valore normale.
In conclusione, nelle fattispecie diverse dalla cessione di beni immobili, come nel caso di cessione d’azienda, la prova del fondamento della pretesa tributaria grava sull’Amministrazione Finanziaria e deve essere motivata ed adeguata alla disciplina della specifica imposta.
Pertanto, nella motivazione dell’accertamento ai fini delle imposte dirette non è sufficiente la sola indicazione dell’importo definito ai fini dell’imposta di registro, senza ulteriori elementi di prova in relazione al maggior prezzo di realizzo che l’Amministrazione Finanziaria assume come conseguito. [4]
Resta comunque salva la possibilità in capo all’Amministrazione Finanziaria di provare l’eventuale occultamento di una parte del corrispettivo utilizzando i poteri di verifica e controllo messi a sua disposizione dalla legge, ivi compresa la possibilità di effettuare indagini finanziarie.

[1] Cfr Risoluzione Ministeriale 1° luglio 1980 n. 9/1437.
[2] In senso contrario, Corte di Cassazione sentenza del 25.01.2006, n. 1447, sentenza del 21.02.2007, n. 4057 e, da ultimo, sentenza del 18.07.2008, n. 19830.
[3] D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con L. 4 agosto 2006, n. 248
[4]Cfr Corte di Cassazione, Sentenza del 5 novembre 2001 n 13667, Corte di Cassazione Sentenza del 4 maggio 2005 n 16700, Comm. Trib. Reg. Liguria, Sentenza del 12 aprile 2005 n. 4,.

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