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Ricorsi Tributari

mercoledì 9 ottobre 2013

Impugnazione della cartella di pagamento

Cassazione sentenza n. 15652 del 21 giugno 2013 – Impugnazione della cartella di pagamento

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giungo 2013, n. 15652

Tributi – Riscossione – Cartella esattoriale – Impugnazione per vizi propri della cartella – Limiti
Svolgimento del processo
S. G. proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Caserta avverso la cartella esattoriale con la quale il Servizio di Riscossione Tributi di Caserta gli aveva intimato, in virtù di iscrizione a ruolo, il pagamento della somma di euro 10.860,43, dovuta – a titolo di IRPEF, ILOR ed interessi – in seguito a decisione della CTR Campania, che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la legittimità dei relativi avvisi di accertamento concernente gli anni 1990 e 1991.
A sostegno del ricorso assumeva che, dopo la sentenza di primo grado che aveva annullato entrambi gli avvisi, non aveva avuto alcuna notizia di un presunto appello dell’Ufficio avverso detta sentenza.
L’adita CTP accoglieva il ricorso, rilevando che la cartolina di ricevimento della raccomandata, con la quale l’Ufficio aveva assunto di avere spedito l’atto di appello presso il procuratore rag. A. B., recava una firma non riconducibile al detto procuratore.
Con sentenza depositata il 7-11-2005 la CTR Campania accoglieva l’appello dell’Ufficio; in particolare la CTR rilevava, in conformità con precedente statuizione della S.C., che, nel caso (quale quello di specie) di notifica effettuata presso lo studio del professionista presso il quale il contribuente aveva eletto domicilio, si doveva presumere che la persona che aveva ricevuto l’atto fosse abilitata alla ricezione; in ordine alle sanzioni evidenziava che l’Ufficio aveva proceduto per tutte le violazioni riscontrate ed aveva applicato il principio del favor rei.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente, affidato a tre motivi; resisteva l’Agenzia con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il contribuente, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 16, 20 e 53 d. Igs 546/92, nonché dell’art. 141 cpc e dell’art. 7 L. 890/82, ribadiva che la cartolina di ricevimento della raccomandata, con la quale l’Ufficio aveva assunto di avere spedito l’atto di appello presso il procuratore rag. A. B., recava una firma non riconducibile al detto procuratore, sicché, alla stregua delle predette norme, essendo stata eseguita la consegna a persona non identificabile e senza l’attestazione della qualifica della detta persona, la notifica dell’atto di appello doveva essere dichiarata nulla.
Con il secondo motivo il contribuente, deducendo omessa, insufficiente e contradditoria motivazione, si doleva che la CTR aveva affermato la sussistenza della presunzione di cui sopra senza fornire al riguardo una pur mima motivazione.
Con il terzo motivo il contribuente, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 e 12 d.lgs 472/97, rilevava che l’Ufficio, in sede di iscrizione a ruolo, non aveva provveduto al ricalcolo delle sanzioni irrogate negli avvisi di accertamento, ed aveva erroneamente determinato le stesse, senza considerare che il predetto art. 12 prevedeva la determinazione di una sanzione unica e che il su menzionato art. 3 stabiliva il principio del favor rei.
Il primo motivo è inammissibile, con conseguente assorbimento del secondo.
Come è noto, invero, la cartella esattoriale è impugnabile solo per vizi propri e non per vizi dell’atto da cui nasce il debito alla fonte dell’iscrizione a ruolo e della cartella, eccettuati i casi in cui solo attraverso la cartella il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva e dell’atto con cui è stata accertata. Una siffatta eccezione non trova però spazio quando il debito (come nel caso in esame) sia fondato su provvedimenti giudiziari, i quali debbono essere impugnati con gli specifici strumenti previsti dalla norme processuali (nella specie, con l’impugnazione tardiva ex art. 38, comma 3, d.lgs 546/92), e non possono essere contestati attraverso un ricorso dinanzi al giudice di primo grado avverso la cartella esattoriale (in senso conf. v. Cass. 21477/2004 e Cass. 16641/2011).
Siffatto rilievo non consente a questa Corte di entrare nel merito del motivo medesimo, che, pertanto, come detto, va dichiarato inammissibile.
Il terzo motivo è infondato.
Rileva questa Corte che la CTR ha espressamente affermato che l’Ufficio ha proceduto per tutte le violazioni riscontrate ed ha applicato il favor rei di cui alle su menzionate disposizioni, sicché nessuna violazione e falsa applicazione può ritenersi verificata nel caso di specie; di conseguenza, non essendo stato dedotto alcun vizio motivazionale, il motivo, come detto, va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento dei compensi di lite relativi al presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Avviso di accertamento firmato non dal dirigente: se manca la delega è nullo



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Se manca la firma del capo ufficio l’atto dell’Agenzia delle Entrate è nullo, salvo che il fisco dimostri la presenza di una delega, da parte del dirigente, in favore del funzionario firmatario.

Se sull’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è presente, al posto della firma del capo ufficio, quella di un altro funzionario, l’atto è nullo. A ripristinare questo importante principio è la Cassazione che, con una recentissima sentenza [1], ha indirettamente richiamato lo scandalo degli avvisi firmati da falsi dirigenti: vizio quest’ultimo che avrebbe reso nulle migliaia di cartelle di Equitalia (ne avevamo parlato in questo articolo Cartelle Equitalia nulle: firmate da dirigenti senza qualifica).

L’unico modo per salvare l’atto fiscale dalla invalidità – dice la Suprema Corte – è che l’Agenzia delle Entrate dia prova dell’esistenza di una delega in favore del funzionario che ha siglato l’atto stesso.

Con questa sentenza, la Cassazione ha accolto il ricorso di una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento sottoscritto da un semplice funzionario e non dal capo ufficio.

Dunque, secondo la sezione tributaria della Cassazione, è nullo l’avviso di accertamento [2] se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato della carriera direttiva purché dal primo delegato. Se, pertanto, la firma non è quella del dirigente, ma di un funzionario (per esempio il direttore tributario di nona qualifica funzionale), l’amministrazione fiscale deve dimostrare, in caso di contestazioni da parte del contribuente, la presenza di una delega del titolare dell’ufficio nei confronti di questi. Il solo possesso della qualifica, infatti, non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione degli atti (potere che invece spetta solo al capo dell’ufficio).

In pratica

È nullo l’avviso di accertamento che non contiene la firma del capo dell’ufficio di zona.
Il cittadino, pertanto, può impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.
In questo caso, poi, sarà l’Amministrazione fiscale a dover dimostrare, se non vuole perdere il giudizio, che il soggetto firmatario dell’atto aveva ricevuto una apposita delega da parte del capo ufficio.
Dunque, l’onere della prova – una volta che il contribuente abbia sollevato la contestazione – spetta unicamente all’Agenzia delle Entrate
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Avviso di accertamento firmato non dal dirigente: se manca la delega è nullo



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Se manca la firma del capo ufficio l’atto dell’Agenzia delle Entrate è nullo, salvo che il fisco dimostri la presenza di una delega, da parte del dirigente, in favore del funzionario firmatario.

Se sull’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è presente, al posto della firma del capo ufficio, quella di un altro funzionario, l’atto è nullo. A ripristinare questo importante principio è la Cassazione che, con una recentissima sentenza [1], ha indirettamente richiamato lo scandalo degli avvisi firmati da falsi dirigenti: vizio quest’ultimo che avrebbe reso nulle migliaia di cartelle di Equitalia (ne avevamo parlato in questo articolo Cartelle Equitalia nulle: firmate da dirigenti senza qualifica).

L’unico modo per salvare l’atto fiscale dalla invalidità – dice la Suprema Corte – è che l’Agenzia delle Entrate dia prova dell’esistenza di una delega in favore del funzionario che ha siglato l’atto stesso.

Con questa sentenza, la Cassazione ha accolto il ricorso di una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento sottoscritto da un semplice funzionario e non dal capo ufficio.

Dunque, secondo la sezione tributaria della Cassazione, è nullo l’avviso di accertamento [2] se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato della carriera direttiva purché dal primo delegato. Se, pertanto, la firma non è quella del dirigente, ma di un funzionario (per esempio il direttore tributario di nona qualifica funzionale), l’amministrazione fiscale deve dimostrare, in caso di contestazioni da parte del contribuente, la presenza di una delega del titolare dell’ufficio nei confronti di questi. Il solo possesso della qualifica, infatti, non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione degli atti (potere che invece spetta solo al capo dell’ufficio).

In pratica

È nullo l’avviso di accertamento che non contiene la firma del capo dell’ufficio di zona.
Il cittadino, pertanto, può impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.
In questo caso, poi, sarà l’Amministrazione fiscale a dover dimostrare, se non vuole perdere il giudizio, che il soggetto firmatario dell’atto aveva ricevuto una apposita delega da parte del capo ufficio.
Dunque, l’onere della prova – una volta che il contribuente abbia sollevato la contestazione – spetta unicamente all’Agenzia delle Entrate
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Se sull’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è presente, al posto della firma del capo ufficio, quella di un altro funzionario, l’atto è nullo. A ripristinare questo importante principio è la Cassazione che, con una recentissima sentenza [1], ha indirettamente richiamato lo scandalo degli avvisi firmati da falsi dirigenti: vizio quest’ultimo che avrebbe reso nulle migliaia di cartelle di Equitalia (ne avevamo parlato in questo articolo Cartelle Equitalia nulle: firmate da dirigenti senza qualifica).

L’unico modo per salvare l’atto fiscale dalla invalidità – dice la Suprema Corte – è che l’Agenzia delle Entrate dia prova dell’esistenza di una delega in favore del funzionario che ha siglato l’atto stesso.

Con questa sentenza, la Cassazione ha accolto il ricorso di una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento sottoscritto da un semplice funzionario e non dal capo ufficio.

Dunque, secondo la sezione tributaria della Cassazione, è nullo l’avviso di accertamento [2] se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato della carriera direttiva purché dal primo delegato. Se, pertanto, la firma non è quella del dirigente, ma di un funzionario (per esempio il direttore tributario di nona qualifica funzionale), l’amministrazione fiscale deve dimostrare, in caso di contestazioni da parte del contribuente, la presenza di una delega del titolare dell’ufficio nei confronti di questi. Il solo possesso della qualifica, infatti, non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione degli atti (potere che invece spetta solo al capo dell’ufficio).

In pratica

È nullo l’avviso di accertamento che non contiene la firma del capo dell’ufficio di zona.
Il cittadino, pertanto, può impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.
In questo caso, poi, sarà l’Amministrazione fiscale a dover dimostrare, se non vuole perdere il giudizio, che il soggetto firmatario dell’atto aveva ricevuto una apposita delega da parte del capo ufficio.
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Se sull’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è presente, al posto della firma del capo ufficio, quella di un altro funzionario, l’atto è nullo. A ripristinare questo importante principio è la Cassazione che, con una recentissima sentenza [1], ha indirettamente richiamato lo scandalo degli avvisi firmati da falsi dirigenti: vizio quest’ultimo che avrebbe reso nulle migliaia di cartelle di Equitalia (ne avevamo parlato in questo articolo Cartelle Equitalia nulle: firmate da dirigenti senza qualifica).

L’unico modo per salvare l’atto fiscale dalla invalidità – dice la Suprema Corte – è che l’Agenzia delle Entrate dia prova dell’esistenza di una delega in favore del funzionario che ha siglato l’atto stesso.

Con questa sentenza, la Cassazione ha accolto il ricorso di una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento sottoscritto da un semplice funzionario e non dal capo ufficio.

Dunque, secondo la sezione tributaria della Cassazione, è nullo l’avviso di accertamento [2] se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato della carriera direttiva purché dal primo delegato. Se, pertanto, la firma non è quella del dirigente, ma di un funzionario (per esempio il direttore tributario di nona qualifica funzionale), l’amministrazione fiscale deve dimostrare, in caso di contestazioni da parte del contribuente, la presenza di una delega del titolare dell’ufficio nei confronti di questi. Il solo possesso della qualifica, infatti, non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione degli atti (potere che invece spetta solo al capo dell’ufficio).

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Il cittadino, pertanto, può impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.
In questo caso, poi, sarà l’Amministrazione fiscale a dover dimostrare, se non vuole perdere il giudizio, che il soggetto firmatario dell’atto aveva ricevuto una apposita delega da parte del capo ufficio.
Dunque, l’onere della prova – una volta che il contribuente abbia sollevato la contestazione – spetta unicamente all’Agenzia delle Entrate
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