Cassazione Tributaria sentenza del 19 marzo 2014
La
cancellazione dal registro delle imprese per il trasferimento
all’estero della sede sociale non comporta l’estinzione della SRL che
resta pertanto sanzionabile per le irregolarità fiscali commesse in
precedenza. È quanto emerge dalla sentenza 19 marzo 2014 n. 6388 della
Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
L’Agenzia delle Entrate contestava a una SRL l’omessa dichiarazione IVA, la mancata tenuta dei registri e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, con conseguente irrogazione della relativa sanzione. Da qui il ricorso proposto dai due legali rappresentanti “di fatto” della società - nel frattempo cancellatasi dal registro delle imprese in ragione del trasferimento della sede a Parigi - i quali hanno sollevato una serie di eccezioni, tra cui la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri soci e la sanzionabilità unicamente della società.
L’eccezione pregiudiziale riguardante l’integrazione del contraddittorio è stata dichiarata infondata dai supremi giudici, mentre per le sanzioni il giudizio di legittimità si è chiuso a favore dei ricorrenti.
L’ente resta in “vita”. Gli Ermellini chiariscono che qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'articolo 2495 c.c. Tale norma, infatti, ancora inequivocabilmente l'estinzione della società alla cancellazione avvenuta all'esito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, a norma del primo comma della medesima disposizione.
Di contro, aggiungono dal Palazzaccio, il trasferimento della sede all'estero non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività. Il che si desume, peraltro, del tutto agevolmente dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c), e 2473, comma 1, c.c., laddove prevedono, rispettivamente in relazione alla società per azioni e a quella a responsabilità limitata, la possibilità di recesso dall'ente - logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto - dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti “il trasferimento della sede sociale all'estero”.
Nel caso esaminato, pertanto, la Suprema Corte ha escluso l’estinzione della società e, dunque, l’insorgenza del fenomeno successorio ex art. 110 c.p.p., da cui sarebbe conseguita la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci, quali litisconsorti necessari, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite (si vedano sentenze n. 6070 e n. 6071 del 12 marzo 2013).
Sulle sanzioni. Risolta la questione pregiudiziale, gli Ermellini hanno accolto il quarto motivo di ricorso con cui si lamentava che le sanzioni si riferivano a condotte poste in essere prima del 1997, anno di entrata in vigore del D.Lgs. 472, che quindi erano imputabili solo alla società e non agli amministratori. A tal proposito in sentenza si legge: “Orbene, non v’è dubbio alcuno che, nel caso di specie, le violazioni contestate dall’Ufficio (…) siano direttamente imputabili all’ente, quale soggetto passivo del rapporto tributario, e non alle persone fisiche dei suoi rappresentanti, come sarebbe accaduto nel caso in cui fossero stati imputati omessi o tardivi versamenti. Come pure è indubbio che si tratti di violazioni commesse tutte nell’anno 1997, ovverosia prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 472/97, sicché esse sono sottratte al regime di cui alla normativa sopravvenuta”.
L’Agenzia delle Entrate contestava a una SRL l’omessa dichiarazione IVA, la mancata tenuta dei registri e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, con conseguente irrogazione della relativa sanzione. Da qui il ricorso proposto dai due legali rappresentanti “di fatto” della società - nel frattempo cancellatasi dal registro delle imprese in ragione del trasferimento della sede a Parigi - i quali hanno sollevato una serie di eccezioni, tra cui la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri soci e la sanzionabilità unicamente della società.
L’eccezione pregiudiziale riguardante l’integrazione del contraddittorio è stata dichiarata infondata dai supremi giudici, mentre per le sanzioni il giudizio di legittimità si è chiuso a favore dei ricorrenti.
L’ente resta in “vita”. Gli Ermellini chiariscono che qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'articolo 2495 c.c. Tale norma, infatti, ancora inequivocabilmente l'estinzione della società alla cancellazione avvenuta all'esito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, a norma del primo comma della medesima disposizione.
Di contro, aggiungono dal Palazzaccio, il trasferimento della sede all'estero non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività. Il che si desume, peraltro, del tutto agevolmente dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c), e 2473, comma 1, c.c., laddove prevedono, rispettivamente in relazione alla società per azioni e a quella a responsabilità limitata, la possibilità di recesso dall'ente - logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto - dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti “il trasferimento della sede sociale all'estero”.
Nel caso esaminato, pertanto, la Suprema Corte ha escluso l’estinzione della società e, dunque, l’insorgenza del fenomeno successorio ex art. 110 c.p.p., da cui sarebbe conseguita la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci, quali litisconsorti necessari, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite (si vedano sentenze n. 6070 e n. 6071 del 12 marzo 2013).
Sulle sanzioni. Risolta la questione pregiudiziale, gli Ermellini hanno accolto il quarto motivo di ricorso con cui si lamentava che le sanzioni si riferivano a condotte poste in essere prima del 1997, anno di entrata in vigore del D.Lgs. 472, che quindi erano imputabili solo alla società e non agli amministratori. A tal proposito in sentenza si legge: “Orbene, non v’è dubbio alcuno che, nel caso di specie, le violazioni contestate dall’Ufficio (…) siano direttamente imputabili all’ente, quale soggetto passivo del rapporto tributario, e non alle persone fisiche dei suoi rappresentanti, come sarebbe accaduto nel caso in cui fossero stati imputati omessi o tardivi versamenti. Come pure è indubbio che si tratti di violazioni commesse tutte nell’anno 1997, ovverosia prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 472/97, sicché esse sono sottratte al regime di cui alla normativa sopravvenuta”.
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