Cassazione Penale sentenza del 25 marzo 2014
Il
sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, non
può ricadere sui beni della società cooperativa, salvo che la stessa non
rappresenti un mero apparato fittizio utilizzato dal legale
rappresentante per commettere il reato fiscale ipotizzato dalla Procura.
È quanto si ricava dalla sentenza 25 marzo 2014 n. 13990 della Terza
Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso. Il Tribunale di Genova respingeva l’appello della Procura della Repubblica confermando il decreto con cui il GIP, sull’ipotizzata sussistenza del delitto di omesso versamento di ritenute certificate, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili riconducili all’indagato, anche in relazione alla sua qualità di legale rappresentante della società cooperativa X.
La tesi del PM. La decisione del Tribunale è stata contestata dal PM, che nel ricorso per cassazione ha lamentato l’illegittima esclusione dal sequestro dei beni della cooperativa, in ragione della dedotta astratta confiscabilità per equivalente (è dunque confiscabilità in via preventiva) dei beni intestati o comunque nella disponibilità esclusiva dell’ente beneficiario del reato tributario consumato dal legale rappresentante.
Le SS.UU. La tesi del PM non ha fatto breccia presso il Palazzaccio alla luce di quello che è il recente insegnamento delle Sezioni Unite.
Ricordato che occorre tenere ben distinti la confisca diretta (dunque il sequestro) dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, o che derivino dal loro investimento o trasformazione in altri beni (confisca sempre consentita a norma dell’articolo 240 c.p.), nonché dei beni di cui l’autore del reato abbia l’effettiva disponibilità perché intestati a società “schermo”, dalla confisca per equivalente, che cade su beni diversi da quelli confiscabili a norma dell’articolo 240 c.p., le Sezioni Unite hanno affermato senza mezzi termini come non sia ammissibile la confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi, fatta eccezione per il caso in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente, ma, nella sostanza, a proprio favore (cfr. SS.UU. sentenza n. 10561 del 5 marzo 2014).
Ebbene, nel caso in esame, il PM ha posto la questione dell’astratta confiscabilità, per equivalente, dei beni intestati o comunque nella disponibilità della cooperativa per il reato tributario commesso a suo vantaggio dall’indagato, mentre non ha mai dedotto che la cooperativa stessa fungesse da mera interposta, circostanza questa che ha condotto la Terza Sezione Penale a rigettare il ricorso, con conferma dell’ordinanza impugnata che ha comunque consentito “il sequestro dei beni di cui l’indagato avesse la disponibilità”.
Il caso. Il Tribunale di Genova respingeva l’appello della Procura della Repubblica confermando il decreto con cui il GIP, sull’ipotizzata sussistenza del delitto di omesso versamento di ritenute certificate, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili riconducili all’indagato, anche in relazione alla sua qualità di legale rappresentante della società cooperativa X.
La tesi del PM. La decisione del Tribunale è stata contestata dal PM, che nel ricorso per cassazione ha lamentato l’illegittima esclusione dal sequestro dei beni della cooperativa, in ragione della dedotta astratta confiscabilità per equivalente (è dunque confiscabilità in via preventiva) dei beni intestati o comunque nella disponibilità esclusiva dell’ente beneficiario del reato tributario consumato dal legale rappresentante.
Le SS.UU. La tesi del PM non ha fatto breccia presso il Palazzaccio alla luce di quello che è il recente insegnamento delle Sezioni Unite.
Ricordato che occorre tenere ben distinti la confisca diretta (dunque il sequestro) dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, o che derivino dal loro investimento o trasformazione in altri beni (confisca sempre consentita a norma dell’articolo 240 c.p.), nonché dei beni di cui l’autore del reato abbia l’effettiva disponibilità perché intestati a società “schermo”, dalla confisca per equivalente, che cade su beni diversi da quelli confiscabili a norma dell’articolo 240 c.p., le Sezioni Unite hanno affermato senza mezzi termini come non sia ammissibile la confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi, fatta eccezione per il caso in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente, ma, nella sostanza, a proprio favore (cfr. SS.UU. sentenza n. 10561 del 5 marzo 2014).
Ebbene, nel caso in esame, il PM ha posto la questione dell’astratta confiscabilità, per equivalente, dei beni intestati o comunque nella disponibilità della cooperativa per il reato tributario commesso a suo vantaggio dall’indagato, mentre non ha mai dedotto che la cooperativa stessa fungesse da mera interposta, circostanza questa che ha condotto la Terza Sezione Penale a rigettare il ricorso, con conferma dell’ordinanza impugnata che ha comunque consentito “il sequestro dei beni di cui l’indagato avesse la disponibilità”.
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