http://www.fiscal-focus.it/all/Fiscal_News_n._97_del_31.03.2014_La_prova_della_cessione_intracomunitaria.pdf
Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate
Attestazione del requisito idoneità finanziaria
ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
Variazioni all 'Agenzia delle Entrate
Cessioni di quote di Società Srl
Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari
lunedì 31 marzo 2014
Prospetto costi pratiche telematiche Registro Imprese e REA
Prospetto costi pratiche telematiche Registro Imprese e REA
venerdì 28 marzo 2014
ADEMPIMENTO VIES
Le imprese e i professionisti per poter operare con soggetti comunitari devono essere iscritti nell’anagrafe informatica VIES (VAT Information Exchange System) e, nel caso in cui non abbiano manifestato l’intenzione ad effettuare operazioni comunitarie in sede di apertura della partita IVA, devono inoltrare un’apposita comunicazione.
L’obbligo di essere inclusi nell’archivio Vies per poter effettuare operazioni intracomunitarie riguarda tutti i soggetti che esercitano attività di impresa, arte o professione, nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione.
La volontà di essere inseriti nel Vies può essere espressa, in sede di apertura della partita IVA, compilando il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprese individuali e lavoratori autonomi).
I soggetti già titolari di partita Iva, che non hanno richiesto l’inclusione nel Vies all’avvio dell’attività, possono farlo presentando un’apposita istanza a un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate direttamente, a mezzo raccomandata o tramite Pec. Dal 26 marzo 2014 è disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate il nuovo servizio “Comunicare istanza di inclusione nell’archivio VIES” per trasmettere telematicamente la richiesta, da parte dei soggetti titolari di partita IVA abilitati a Fisconline o Entratel, esclusivamente in modalità diretta.
Entro i 30 giorni successivi alla data dell’attribuzione della partita IVA (nel caso in cui la manifestazione della volontà di effettuare operazioni intracomunitarie sia contenuta nella dichiarazione di inizio attività) o alla data di ricezione dell’istanza, gli uffici territorialmente competenti per le attività di controllo ai fini dell’IVA effettuano l’analisi propedeutica all’inserimento della posizione nell’Archivio VIES.
L’assenza di iscrizione all’archivio Vies non consente al soggetto, pur munito di numero di partita Iva, di applicare o vedersi applicare il regime proprio delle operazioni intracomunitarie.
Con le stesse modalità previste per l’istanza di inclusione nel Vies va trasmessa, eventualmente, quella con cui si richiede di non essere più inclusi nell’archivio.
SANZIONI
L’archivio VIES è stato stabilito con finalità antifrode dal DL n. 78/2010: l’articolo 27 del decreto legge ha introdotto specifiche misure volte a garantire un più stretto monitoraggio dei contribuenti che effettuano operazioni intracomunitarie e l’affidabilità dei dati relativi alle controparti negli scambi commerciali.
In assenza di convalida nell’archivio VIES della partita IVA di un contribuente a questo si deve applicare il regime proprio delle operazioni interne, pertanto:
- le operazioni attive dovranno essere assoggettate ad Iva in Italia;
- gli acquisti saranno gravati dell’imposta dello stato membro di provenienza.
L’Amministrazione Finanziaria, con C.M. n.39/E del 1° agosto 2011, ha chiarito che le operazioni attive (cessioni di beni o prestazioni di servizi) effettuate dopo il 28 febbraio 2010 da un soggetto passivo Iva non iscritto nell’archivio VIES (o escluso a seguito di un provvedimento di diniego o revoca) verso soggetti passivi Iva stabiliti in altri Paesi comunitari, devono essere assoggettate a imposizione in Italia secondo le regole ordinarie (emissione di fattura con Iva e liquidazione della stessa).
Esempio:
Soggetto passivo italiano non iscritto nel VIES effettua, per la prima volta da quando svolge la sua attività, una cessione di beni ad un operatore comunitario senza applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 41 DL 331/93.
In sede di predisposizione della dichiarazione IVA annuale ci si accorge che tale operazione non poteva essere configurata come cessione intracomunitaria.
Il soggetto passivo italiano per poter regolarizzare l’operazione dovrà versare l’IVA (più sanzioni e interessi) in quanto la cessione deve essere considerata operazione imponibile in Italia.
OPERAZIONI PASSIVE
Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, le conseguenze derivanti dalla mancata iscrizione all’archivio VIES, desumibili anche dalle indicazioni presenti nella circolare n. 41 del 1° agosto 2011, consistono nell’impossibilità di detrarre l’imposta sugli acquisti intracomunitari e pertanto:
- qualora il cessionario italiano difetti dell’iscrizione al VIES: la controparte comunitaria deve esimersi dal qualificare fiscalmente l’operazione come scambio comunitario
- qualora il cessionario non residente difetti dell’iscrizione al VIES: si applica il regime impositivo interno.
L’Amministrazione fiscale ha altresì precisato che, qualora il soggetto non iscritto al Vies assoggetti l’operazione al regime proprio delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi intracomunitarie, sono previste delle sanzioni pari ad un importo che va dal 100 al 200% dell’imposta omessa.
RIFERIMENTI NORMATIVI
- Art. 27 del D.L. 78 del 2010, convertito dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122
- Art. 35, 35 ter e 35 quater del Dpr 633/72
- Regolamento UE n. 904/2010 del Consiglio del 07/10/2010
- Circolare Agenzia delle Entrate n. 39/E del 1 agosto 2011
- Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 42/E del 24 aprile 2012
giovedì 27 marzo 2014
Reati tributari. Sequestrabili beni del manager
Cassazione Penale sentenza del 25 marzo 2014
Il
sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, non
può ricadere sui beni della società cooperativa, salvo che la stessa non
rappresenti un mero apparato fittizio utilizzato dal legale
rappresentante per commettere il reato fiscale ipotizzato dalla Procura.
È quanto si ricava dalla sentenza 25 marzo 2014 n. 13990 della Terza
Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso. Il Tribunale di Genova respingeva l’appello della Procura della Repubblica confermando il decreto con cui il GIP, sull’ipotizzata sussistenza del delitto di omesso versamento di ritenute certificate, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili riconducili all’indagato, anche in relazione alla sua qualità di legale rappresentante della società cooperativa X.
La tesi del PM. La decisione del Tribunale è stata contestata dal PM, che nel ricorso per cassazione ha lamentato l’illegittima esclusione dal sequestro dei beni della cooperativa, in ragione della dedotta astratta confiscabilità per equivalente (è dunque confiscabilità in via preventiva) dei beni intestati o comunque nella disponibilità esclusiva dell’ente beneficiario del reato tributario consumato dal legale rappresentante.
Le SS.UU. La tesi del PM non ha fatto breccia presso il Palazzaccio alla luce di quello che è il recente insegnamento delle Sezioni Unite.
Ricordato che occorre tenere ben distinti la confisca diretta (dunque il sequestro) dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, o che derivino dal loro investimento o trasformazione in altri beni (confisca sempre consentita a norma dell’articolo 240 c.p.), nonché dei beni di cui l’autore del reato abbia l’effettiva disponibilità perché intestati a società “schermo”, dalla confisca per equivalente, che cade su beni diversi da quelli confiscabili a norma dell’articolo 240 c.p., le Sezioni Unite hanno affermato senza mezzi termini come non sia ammissibile la confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi, fatta eccezione per il caso in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente, ma, nella sostanza, a proprio favore (cfr. SS.UU. sentenza n. 10561 del 5 marzo 2014).
Ebbene, nel caso in esame, il PM ha posto la questione dell’astratta confiscabilità, per equivalente, dei beni intestati o comunque nella disponibilità della cooperativa per il reato tributario commesso a suo vantaggio dall’indagato, mentre non ha mai dedotto che la cooperativa stessa fungesse da mera interposta, circostanza questa che ha condotto la Terza Sezione Penale a rigettare il ricorso, con conferma dell’ordinanza impugnata che ha comunque consentito “il sequestro dei beni di cui l’indagato avesse la disponibilità”.
Il caso. Il Tribunale di Genova respingeva l’appello della Procura della Repubblica confermando il decreto con cui il GIP, sull’ipotizzata sussistenza del delitto di omesso versamento di ritenute certificate, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili riconducili all’indagato, anche in relazione alla sua qualità di legale rappresentante della società cooperativa X.
La tesi del PM. La decisione del Tribunale è stata contestata dal PM, che nel ricorso per cassazione ha lamentato l’illegittima esclusione dal sequestro dei beni della cooperativa, in ragione della dedotta astratta confiscabilità per equivalente (è dunque confiscabilità in via preventiva) dei beni intestati o comunque nella disponibilità esclusiva dell’ente beneficiario del reato tributario consumato dal legale rappresentante.
Le SS.UU. La tesi del PM non ha fatto breccia presso il Palazzaccio alla luce di quello che è il recente insegnamento delle Sezioni Unite.
Ricordato che occorre tenere ben distinti la confisca diretta (dunque il sequestro) dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, o che derivino dal loro investimento o trasformazione in altri beni (confisca sempre consentita a norma dell’articolo 240 c.p.), nonché dei beni di cui l’autore del reato abbia l’effettiva disponibilità perché intestati a società “schermo”, dalla confisca per equivalente, che cade su beni diversi da quelli confiscabili a norma dell’articolo 240 c.p., le Sezioni Unite hanno affermato senza mezzi termini come non sia ammissibile la confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi, fatta eccezione per il caso in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente, ma, nella sostanza, a proprio favore (cfr. SS.UU. sentenza n. 10561 del 5 marzo 2014).
Ebbene, nel caso in esame, il PM ha posto la questione dell’astratta confiscabilità, per equivalente, dei beni intestati o comunque nella disponibilità della cooperativa per il reato tributario commesso a suo vantaggio dall’indagato, mentre non ha mai dedotto che la cooperativa stessa fungesse da mera interposta, circostanza questa che ha condotto la Terza Sezione Penale a rigettare il ricorso, con conferma dell’ordinanza impugnata che ha comunque consentito “il sequestro dei beni di cui l’indagato avesse la disponibilità”.
Autore: Redazione Fiscal Focus
Contributo unificato. Invito di pagamento inoppugnabile
Sentenza della CTP di Pisa che esclude l’impugnabilità dell’invito di pagamento notificato dalle segreterie ai sensi del TUSG
Il
ricorso proposto contro l’invito di pagamento del contributo unificato è
inammissibile. A questa conclusione è giunta la Commissione Tributaria
Provinciale di Pisa.
Con la sentenza n. 225/06/13, il Collegio di primo grado esclude che l’avviso di pagamento disciplinato dall’articolo 248 del Testo unico in materia di spese di giustizia (TUSG) sia un atto impositivo, dunque autonomamente impugnabile di fronte al giudice tributario ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992. La sua funzione, a parere della CTP, è piuttosto quella di consentire al contribuente, tramite il supporto dei difensori che garantiscono le incombenze connesse alla proposizione del ricorso e alla costituzione del giudizio, di ovviare ad eventuali errori, senza oneri accessori, prima che l’Amministrazione Finanziaria proceda all’attività impositiva vera e propria, con l’irrogazione delle sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento.
L’invito di pagamento. Ai sensi dell’articolo 248 del TUSG, nel caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, l’Ufficio notifica alla parte ex art. 137 c.p.c. l'invito al pagamento dell’importo dovuto. La notifica deve avvenire presso il domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, con deposito presso l'ufficio. L'invito, oltre all'importo da pagare, deve contenere l'espressa avvertenza che in caso di mancato pagamento entro un mese si procederà all'iscrizione a ruolo, con l'addebito degli interessi, e la richiesta di depositare la ricevuta di pagamento nei dieci giorni successivi.
Nonostante l’avviso di pagamento contenga tutti gli elementi caratterizzanti gli atti impositivi, la specificazione che, decorso il termine per il pagamento di quanto indicato nell'invito, la pretesa sarà azionata mediante il meccanismo dell'iscrizione a ruolo e notifica della cartella sta a significare, ad avviso delle CTP di Pisa, che sono già previsti nel procedimento atti autonomamente impugnabili ricompresi nell'elencazione dell'articolo 19 del D.Lgs. 546/92. Questo, da una parte, vale a escludere che, per la medesima pretesa, si possano configurare altri atti autonomamente impugnabili e, dall'altra, vale a garantire, tramite gli atti già previsti, l'accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale. Inoltre, la previsione normativa che prevede la notifica dell'invito al domicilio eletto e, in mancanza, il deposito presso la segreteria della Commissione adita “urta con la configurazione di detto invito quale atto impositivo vero e proprio, del pari di un avviso di accertamento, una cartella di pagamento, o qualsiasi altro atto previsto nell’elencazione di cui all’art. 19 D.lgs. n. 546/1992, per i quali vi è l’esigenza massima di garantire che la pretesa venga posta a conoscenza diretta del destinatario”.
Da qui la conclusione che l'invito di pagamento in argomento non è assimilabile a un atto impositivo, bensì a uno strumento che consente al contribuente, tramite il supporto dei difensori che gestiscono le incombenze, di ovviare ad eventuali errori senza oneri accessori prima che l’Amministrazione proceda all'attività impositiva vera e propria (iscrizione a ruolo, irrogazione di sanzioni), quindi il ricorso avverso il medesimo deve essere dichiarato inammissibile. A supporto di questa interpretazione, il Collegio pisano richiama la sentenza n. 980 del 2011 delle Sezioni Unite della Suprema Corte la quale ha sì statuito la giurisdizione del giudice tributario in ordine alle controversie relative al contributo unificato, ma lo ha fatto con espresso riferimento all’articolo 19, lettera d) del D.Lgs. n. 546/1992, indicando quale atto impugnabile “il ruolo e la cartella di pagamento”.
Con la sentenza n. 225/06/13, il Collegio di primo grado esclude che l’avviso di pagamento disciplinato dall’articolo 248 del Testo unico in materia di spese di giustizia (TUSG) sia un atto impositivo, dunque autonomamente impugnabile di fronte al giudice tributario ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992. La sua funzione, a parere della CTP, è piuttosto quella di consentire al contribuente, tramite il supporto dei difensori che garantiscono le incombenze connesse alla proposizione del ricorso e alla costituzione del giudizio, di ovviare ad eventuali errori, senza oneri accessori, prima che l’Amministrazione Finanziaria proceda all’attività impositiva vera e propria, con l’irrogazione delle sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento.
L’invito di pagamento. Ai sensi dell’articolo 248 del TUSG, nel caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, l’Ufficio notifica alla parte ex art. 137 c.p.c. l'invito al pagamento dell’importo dovuto. La notifica deve avvenire presso il domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, con deposito presso l'ufficio. L'invito, oltre all'importo da pagare, deve contenere l'espressa avvertenza che in caso di mancato pagamento entro un mese si procederà all'iscrizione a ruolo, con l'addebito degli interessi, e la richiesta di depositare la ricevuta di pagamento nei dieci giorni successivi.
Nonostante l’avviso di pagamento contenga tutti gli elementi caratterizzanti gli atti impositivi, la specificazione che, decorso il termine per il pagamento di quanto indicato nell'invito, la pretesa sarà azionata mediante il meccanismo dell'iscrizione a ruolo e notifica della cartella sta a significare, ad avviso delle CTP di Pisa, che sono già previsti nel procedimento atti autonomamente impugnabili ricompresi nell'elencazione dell'articolo 19 del D.Lgs. 546/92. Questo, da una parte, vale a escludere che, per la medesima pretesa, si possano configurare altri atti autonomamente impugnabili e, dall'altra, vale a garantire, tramite gli atti già previsti, l'accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale. Inoltre, la previsione normativa che prevede la notifica dell'invito al domicilio eletto e, in mancanza, il deposito presso la segreteria della Commissione adita “urta con la configurazione di detto invito quale atto impositivo vero e proprio, del pari di un avviso di accertamento, una cartella di pagamento, o qualsiasi altro atto previsto nell’elencazione di cui all’art. 19 D.lgs. n. 546/1992, per i quali vi è l’esigenza massima di garantire che la pretesa venga posta a conoscenza diretta del destinatario”.
Da qui la conclusione che l'invito di pagamento in argomento non è assimilabile a un atto impositivo, bensì a uno strumento che consente al contribuente, tramite il supporto dei difensori che gestiscono le incombenze, di ovviare ad eventuali errori senza oneri accessori prima che l’Amministrazione proceda all'attività impositiva vera e propria (iscrizione a ruolo, irrogazione di sanzioni), quindi il ricorso avverso il medesimo deve essere dichiarato inammissibile. A supporto di questa interpretazione, il Collegio pisano richiama la sentenza n. 980 del 2011 delle Sezioni Unite della Suprema Corte la quale ha sì statuito la giurisdizione del giudice tributario in ordine alle controversie relative al contributo unificato, ma lo ha fatto con espresso riferimento all’articolo 19, lettera d) del D.Lgs. n. 546/1992, indicando quale atto impugnabile “il ruolo e la cartella di pagamento”.
Autore: Redazione Fiscal Focus
detrazione Irpef del 65%
Ristrutturazione con sagoma nuova
L’Enea conferma il bonus per risparmio energetico
Premessa – Enea
con la recente Faq n. 68 – bis ha confermato la possibilità di fruire
della detrazione Irpef del 65% in caso di demolizione e successiva
ricostruzione dell’immobile qualora la sagoma risulti variata. Il
contribuente sarà però tenuto a rispettare lo stesso volume.
Ristrutturazione - Dal 21 agosto 2013, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma.
Enea – Al riguardo, l'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo delle nuove Tecnologie, l'Energia e lo sviluppo economico sostenibile, rispondendo a un quesito di un contribuente che chiedeva delucidazioni in merito, ha inserito la risposta all'interno delle proprie FAQ (Frequently Asked Questions) ricordando che la Legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (il c.d. Decreto del Fare), ha rivisto la definizione di "ristrutturazione edilizia" contenuta nel Testo Unico Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) eliminando all'art. 3, comma 1, lett. d) il riferimento alla "sagoma".
La domanda - Più precisamente si trattava di un contribuente che aveva intenzione di effettuare una ristrutturazione edilizia attraverso la demolizione e successiva ricostruzione in modo più efficiente dal punto di vista energetico, usufruendo delle detrazioni fiscali del 65%. Alla luce della recente normativa, il contribuente chiedeva se fosse tenuto a rispettare la stessa sagoma o se fosse sufficiente mantenere la medesima volumetria.
La risposta – Nella sua risposta Enea ha precisato che dal 21 agosto 2013 sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma. Sono compresi nella ristrutturazione anche gli interventi “volti al ripristino degli edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Dal 21 agosto 2013, quindi, qualora l’intervento abbia le caratteristiche per configurarsi come “ristrutturazione edilizia” (ossia l’immobile non sia soggetto a vincolo ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e non ricada nella zona A del D.M. 1444/68), è possibile usufruire della detrazione per risparmio energetico (65%) per gli interventi che consistono nella demolizione di un immobile e nella sua ricostruzione mantenendone la volumetria originaria.
Spostamento – Ricordiamo inoltre che è ammessa la detrazione IRPEF “potenziata” al 50% per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato, con la stessa volumetria, che comporti lo spostamento di lieve entità dell'immobile rispetto all'area di sedime originaria. Lo aveva precisato una risposta del Ministero dell'Economia e delle Finanze a un'interrogazione parlamentare formulata nel corso del question time del 22 gennaio 2014 presso la Commissione VI (Finanze) della Camera, avente a oggetto la possibilità che, nell'ambito di un intervento di demolizione e ricostruzione, il fabbricato venisse spostato lievemente rispetto all'area di sedime originaria.
Ristrutturazione - Dal 21 agosto 2013, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma.
Enea – Al riguardo, l'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo delle nuove Tecnologie, l'Energia e lo sviluppo economico sostenibile, rispondendo a un quesito di un contribuente che chiedeva delucidazioni in merito, ha inserito la risposta all'interno delle proprie FAQ (Frequently Asked Questions) ricordando che la Legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (il c.d. Decreto del Fare), ha rivisto la definizione di "ristrutturazione edilizia" contenuta nel Testo Unico Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) eliminando all'art. 3, comma 1, lett. d) il riferimento alla "sagoma".
La domanda - Più precisamente si trattava di un contribuente che aveva intenzione di effettuare una ristrutturazione edilizia attraverso la demolizione e successiva ricostruzione in modo più efficiente dal punto di vista energetico, usufruendo delle detrazioni fiscali del 65%. Alla luce della recente normativa, il contribuente chiedeva se fosse tenuto a rispettare la stessa sagoma o se fosse sufficiente mantenere la medesima volumetria.
La risposta – Nella sua risposta Enea ha precisato che dal 21 agosto 2013 sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma. Sono compresi nella ristrutturazione anche gli interventi “volti al ripristino degli edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Dal 21 agosto 2013, quindi, qualora l’intervento abbia le caratteristiche per configurarsi come “ristrutturazione edilizia” (ossia l’immobile non sia soggetto a vincolo ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e non ricada nella zona A del D.M. 1444/68), è possibile usufruire della detrazione per risparmio energetico (65%) per gli interventi che consistono nella demolizione di un immobile e nella sua ricostruzione mantenendone la volumetria originaria.
Spostamento – Ricordiamo inoltre che è ammessa la detrazione IRPEF “potenziata” al 50% per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato, con la stessa volumetria, che comporti lo spostamento di lieve entità dell'immobile rispetto all'area di sedime originaria. Lo aveva precisato una risposta del Ministero dell'Economia e delle Finanze a un'interrogazione parlamentare formulata nel corso del question time del 22 gennaio 2014 presso la Commissione VI (Finanze) della Camera, avente a oggetto la possibilità che, nell'ambito di un intervento di demolizione e ricostruzione, il fabbricato venisse spostato lievemente rispetto all'area di sedime originaria.
Autore: Redazione Fiscal Focus
RW: reintrodotta la soglia di 10.000 euro
Per depositi e conto correnti esteri
Nel DDL n. 1401 di conversione del D.L. 4/2014
(che disciplinava originariamente la voluntary disclosure) è stato
approvato un emendamento che reintroduce la soglia dei 10.000,00 euro
per la compilazione del quadro RW.
La novità - In particolare, l’art. 2 del DDL n. 1401, approvato dalla Camera e in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Senato, introduce il nuovo comma 4 – bis all’art. 4 del D.L. 167/1990 in base al quale “gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 non sussistono altresì per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta non sia superiore a 10.000 euro”.
Le novità della L. 97/2013 - Pare opportuno ricordare che con le novità introdotte dalla L. 97/2013 (Legge Europea del 2013) non è più previsto un limite di importo al di sopra del quale vige l’obbligo di indicazione in dichiarazione degli investimenti all’estero ovvero delle attività estere di natura finanziaria: dunque tali investimenti e attività devono essere sempre dichiarati anche se di importo inferiore a 10.000 euro.
In luogo della previsione di un limite di importo al di sotto del quale esonerare dall’obbligo di monitoraggio degli investimenti esteri, la L. 97/2013 ha privilegiato l’esigenza di alleggerire, per quanto possibile, il contenuto della dichiarazione delle attività estere nei casi in cui esse siano detenute in Paesi collaborativi.
Prima delle modifiche operate dalla Legge Europea 2013, la previgente normativa, (co. 5, l’art. 4, D.L. 167/1990), prevedeva l’esenzione dall’obbligo di compilazione del quadro RW per gli investimenti e le attività estere con valore inferiore a 10.000 euro.
Soglia solo per depositi e conto correnti bancari - La nuova previsione normativa, qualora raggiungesse l’ok definitivo al Senato, introduce una soglia di 10.000, al di sotto della quale non sussiste l’obbligo di compilazione del quadro RW, per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero.
Di conseguenza, per le altre attività finanziarie e per gli investimenti esteri sarebbe necessaria la compilazione del quadro RW senza alcun limite.
Inoltre, il limite dei 10.000 euro andrebbe verificato in relazione al valore massimo complessivo che il deposito o il conto corrente bancario ha raggiunto durante il periodo d’imposta.
Di conseguenza, la verifica della soglia dei 10.000 euro non dovrà avvenire rispetto al valore del c/c bancario o del deposito alla fine del periodo d’imposta, bensì tenendo conto di versamenti e prelevamenti effettuati durante il periodo d’imposta.
L’approvazione definitiva del testo da parte del Senato deve avvenire entro il 28 marzo. Ciò sarà possibile solo se si provvederà all’approvazione del testo arrivato dalla Camera senza apportare alcuna modifica.
La novità - In particolare, l’art. 2 del DDL n. 1401, approvato dalla Camera e in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Senato, introduce il nuovo comma 4 – bis all’art. 4 del D.L. 167/1990 in base al quale “gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 non sussistono altresì per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta non sia superiore a 10.000 euro”.
Le novità della L. 97/2013 - Pare opportuno ricordare che con le novità introdotte dalla L. 97/2013 (Legge Europea del 2013) non è più previsto un limite di importo al di sopra del quale vige l’obbligo di indicazione in dichiarazione degli investimenti all’estero ovvero delle attività estere di natura finanziaria: dunque tali investimenti e attività devono essere sempre dichiarati anche se di importo inferiore a 10.000 euro.
In luogo della previsione di un limite di importo al di sotto del quale esonerare dall’obbligo di monitoraggio degli investimenti esteri, la L. 97/2013 ha privilegiato l’esigenza di alleggerire, per quanto possibile, il contenuto della dichiarazione delle attività estere nei casi in cui esse siano detenute in Paesi collaborativi.
Prima delle modifiche operate dalla Legge Europea 2013, la previgente normativa, (co. 5, l’art. 4, D.L. 167/1990), prevedeva l’esenzione dall’obbligo di compilazione del quadro RW per gli investimenti e le attività estere con valore inferiore a 10.000 euro.
Soglia solo per depositi e conto correnti bancari - La nuova previsione normativa, qualora raggiungesse l’ok definitivo al Senato, introduce una soglia di 10.000, al di sotto della quale non sussiste l’obbligo di compilazione del quadro RW, per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero.
Di conseguenza, per le altre attività finanziarie e per gli investimenti esteri sarebbe necessaria la compilazione del quadro RW senza alcun limite.
Inoltre, il limite dei 10.000 euro andrebbe verificato in relazione al valore massimo complessivo che il deposito o il conto corrente bancario ha raggiunto durante il periodo d’imposta.
Di conseguenza, la verifica della soglia dei 10.000 euro non dovrà avvenire rispetto al valore del c/c bancario o del deposito alla fine del periodo d’imposta, bensì tenendo conto di versamenti e prelevamenti effettuati durante il periodo d’imposta.
L’approvazione definitiva del testo da parte del Senato deve avvenire entro il 28 marzo. Ciò sarà possibile solo se si provvederà all’approvazione del testo arrivato dalla Camera senza apportare alcuna modifica.
Autore: Redazione Fiscal Focus
Locazione immobili a uso turistico
Possibilità di applicare la cedolare secca
Premessa –
Il MEF, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha esteso la
validità della cedolare secca anche per i contratti stipulati tramite
un’agenzia con mandato senza rappresentanza, limitando gli “effetti”
alle imposte dirette.
Cedolare secca - Come noto, l’art. 3, D.Lgs. n. 23/2011 ha introdotto, a decorrere dal 2011, la c.d. “cedolare secca”, ossia un regime di tassazione riservato alle persone fisiche, “alternativo” a quello ordinario IRPEF, dei redditi fondiari derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo.
Opzione - L’applicazione della cedolare secca richiede da parte del soggetto interessato una specifica opzione correlata, a pena di inefficacia, a una comunicazione preventiva all’inquilino con la quale il locatore comunica la scelta per l’applicazione della cedolare secca o la rinuncia alla facoltà di richiedere l’aggiornamento del canone di locazione, anche se contrattualmente previsto, a qualsiasi titolo “inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente”.
Agenzia - Con riferimento alle locazioni effettuate tramite agenzie di mediazione immobiliare, fattispecie particolarmente frequente nelle ipotesi di locazioni a uso turistico, l’Agenzia delle Entrate, nella Circolare 1.6.2011, n. 26/E, ha chiarito quanto segue: “In presenza dei presupposti, non osta all’esercizio dell’opzione per la cedolare secca da parte del locatore l’intervento di un’agenzia che operi come mero intermediario tra locatore e conduttore”. A tale fattispecie sono riconducibili, per prassi consolidata, esclusivamente le ipotesi di contratti di intermediazione con rappresentanza.
Interrogazione - Recentemente il MEF, nell’ambito della risposta all’Interrogazione parlamentare 12.3.2014, n. 5-02262, ha ritenuto applicabile la cedolare anche in presenza di un’agenzia operante tramite un mandato senza rappresentanza, limitandone però gli effetti alle imposte dirette. La fattispecie oggetto del citato chiarimento da parte del MEF riguarda i contratti di locazione di immobili a uso turistico, nell’ipotesi in cui il proprietario si avvalga di un’agenzia di mediazione immobiliare.
Conferimento del mandato - Innanzitutto il MEF ha confermato la consolidata prassi interpretativa in base alla quale la cedolare è applicabile in caso di conferimento da parte del locatore di un mandato con rappresentanza ad un intermediario. In tale ipotesi infatti: “il contratto di locazione è concluso in nome e per conto del proprietario dell’immobile, il quale assume direttamente diritti e obblighi nei confronti del conduttore. In detta ipotesi l’opzione per il regime sostitutivo della cedolare comporta l’esclusione dall’applicazione dell’Irpef per i redditi fondiari derivanti dalla locazione, delle imposte di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione”.
Intermediario - Con un’interpretazione estensiva dell’inciso “mero intermediario”, contenuto nella citata Circolare n. 26/E, il MEF ha precisato che la possibilità di optare per la cedolare, con riferimento ai contratti di locazione di immobili a uso turistico, va riconosciuta anche se gli stessi contratti sono conclusi da agenzie immobiliari “in esecuzione di un mandato senza rappresentanza”. In tal caso gli effetti sono dati dal fatto che il locatore applica l’imposta sostitutiva, ma rimangono dovute le imposte di registro e di bollo.
Parte contrattuale - Di conseguenza l’agenzia, che agisce sulla base di un mandato senza rappresentanza, è parte contrattuale (a differenza del proprietario dell’immobile) per cui non viene meno l’assolvimento dell’imposta di registro (se dovuta) e di bollo che, come noto, gravano sulle parti contrattuali (in questo caso agenzia e conduttore).
Cedolare secca - Come noto, l’art. 3, D.Lgs. n. 23/2011 ha introdotto, a decorrere dal 2011, la c.d. “cedolare secca”, ossia un regime di tassazione riservato alle persone fisiche, “alternativo” a quello ordinario IRPEF, dei redditi fondiari derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo.
Opzione - L’applicazione della cedolare secca richiede da parte del soggetto interessato una specifica opzione correlata, a pena di inefficacia, a una comunicazione preventiva all’inquilino con la quale il locatore comunica la scelta per l’applicazione della cedolare secca o la rinuncia alla facoltà di richiedere l’aggiornamento del canone di locazione, anche se contrattualmente previsto, a qualsiasi titolo “inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente”.
Agenzia - Con riferimento alle locazioni effettuate tramite agenzie di mediazione immobiliare, fattispecie particolarmente frequente nelle ipotesi di locazioni a uso turistico, l’Agenzia delle Entrate, nella Circolare 1.6.2011, n. 26/E, ha chiarito quanto segue: “In presenza dei presupposti, non osta all’esercizio dell’opzione per la cedolare secca da parte del locatore l’intervento di un’agenzia che operi come mero intermediario tra locatore e conduttore”. A tale fattispecie sono riconducibili, per prassi consolidata, esclusivamente le ipotesi di contratti di intermediazione con rappresentanza.
Interrogazione - Recentemente il MEF, nell’ambito della risposta all’Interrogazione parlamentare 12.3.2014, n. 5-02262, ha ritenuto applicabile la cedolare anche in presenza di un’agenzia operante tramite un mandato senza rappresentanza, limitandone però gli effetti alle imposte dirette. La fattispecie oggetto del citato chiarimento da parte del MEF riguarda i contratti di locazione di immobili a uso turistico, nell’ipotesi in cui il proprietario si avvalga di un’agenzia di mediazione immobiliare.
Conferimento del mandato - Innanzitutto il MEF ha confermato la consolidata prassi interpretativa in base alla quale la cedolare è applicabile in caso di conferimento da parte del locatore di un mandato con rappresentanza ad un intermediario. In tale ipotesi infatti: “il contratto di locazione è concluso in nome e per conto del proprietario dell’immobile, il quale assume direttamente diritti e obblighi nei confronti del conduttore. In detta ipotesi l’opzione per il regime sostitutivo della cedolare comporta l’esclusione dall’applicazione dell’Irpef per i redditi fondiari derivanti dalla locazione, delle imposte di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione”.
Intermediario - Con un’interpretazione estensiva dell’inciso “mero intermediario”, contenuto nella citata Circolare n. 26/E, il MEF ha precisato che la possibilità di optare per la cedolare, con riferimento ai contratti di locazione di immobili a uso turistico, va riconosciuta anche se gli stessi contratti sono conclusi da agenzie immobiliari “in esecuzione di un mandato senza rappresentanza”. In tal caso gli effetti sono dati dal fatto che il locatore applica l’imposta sostitutiva, ma rimangono dovute le imposte di registro e di bollo.
Parte contrattuale - Di conseguenza l’agenzia, che agisce sulla base di un mandato senza rappresentanza, è parte contrattuale (a differenza del proprietario dell’immobile) per cui non viene meno l’assolvimento dell’imposta di registro (se dovuta) e di bollo che, come noto, gravano sulle parti contrattuali (in questo caso agenzia e conduttore).
Autore: Redazione Fiscal Focus
martedì 25 marzo 2014
CANCELLAZIONE SOCIETA' DI PERSONE
- CANCELLAZIONE SOCIETA' DI PERSONE: Nuove istruzioni su disposizione del Giudice del Registro
http://www.ce.camcom.it/default.asp?idtema=1&idtemacat=1&page=informazioni&index=1&idcategoria=62158
Autotrasporto: bonus accisa sul gasolio per autotrazione
Autotrasporto: Rimborso accise trimestrale
Com’è noto, dall'anno 2012 il rimborso delle accise sui consumi di gasolio alle imprese di autotrasporto avviene con cadenza trimestrale (come stabilito all'art 61 D.L. n.1/2012). Il rimborso può essere richiesto entro il mese successivo al
trimestre
di riferimento. Il credito spettante potrà essere utilizzato in
compensazione fino al 31 dicembre dell’anno solare successivo a quello
in cui è sorto. Per le eventuali eccedenze non compensate dovrà essere
chiesto rimborso in denaro entro i sei mesi successivi alla chiusura
dell’anno.Importante sottolineare che non trova più applicazione ai fini della compensazione il limite annuale di 250 euro previsto dall’articolo 1 c.53 della legge n.244/2007.
L’agevolazione viene calcolata ogni mille litri di gasolio (attualmente corrisponde a 214,18609 €/1000 lt).
Gli importi da recuperare potranno essere compensati decorsi 60 giorni
dalla presentazione della domanda senza che l’ufficio doganale abbia
sollevato obiezioni (silenzio- assenso). La compensazione potrà essere
effettuata fino al 31 dicembre dell'anno solare successivo a quello di
riferimento.
Il codice tributo per effettuare la compensazione è il 6740 e la compensazione può essere effettuata senza alcun limite di importo.
Riportiamo qui di seguito la nota RU22756 dell'Agenzia delle Dogane del 24 febbraio 2012 a firma del Direttore Centrale Ing. Walter De Santis
OGGETTO:
Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1, recante “Disposizioni urgenti per
la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”.
Misure in materia di autotrasporto, di unità da diporto. Il
Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n.1, pubblicato nel Supplemento Ordinario
n.18/L alla Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio u.s, ha introdotto
disposizioni innovative, con riguardo a determinati settori di interesse
di questa Agenzia, delle quali si illustrano di seguito i principali
contenuti.
A) Anticipo recupero accise per autotrasportatori In materia di agevolazione a favore degli esercenti attività di trasporto merci e determinate categorie di trasporto persone, l’articolo 61 del decreto-legge 24.1.2012, n.1: • apporta modifiche sostitutive al Decreto del Presidente della Repubblica 9 giugno 2000, n. 277 [comma 1, lettere a) e b)]; • prevede che, a decorrere dall’anno 2012 al credito d’imposta riconosciuto secondo le nuove modalità di applicazione del beneficio, non si applica il limite previsto dall’art. 1, comma 53, della legge n. 244/2007 (comma 2); • rafforza, cristallizzandola quale principio di ordine generale, la previsione di riduzione dei maggiori oneri conseguenti agli incrementi dell’aliquota di accisa sul gasolio usato come carburante a favore dei sopradescritti esercenti attività di trasporto (comma 4).
1. Modifiche al D.P.R. 9 giugno 2000, n. 277
L’art. 61 del D.L. n.1/2012 sopra menzionato, al comma 1, modifica l’art.3 (commi 1 e 6) e l’art. 4 (comma 3) del regolamento emanato con il D.P.R. n.277/2000. In particolare, con la modifica apportata al comma 1 dell’art.3 del medesimo D.P.R. n.277/2000, a partire dai quantitativi di prodotto consumati nell’anno 2012, viene consentito agli esercenti attività di trasporto di richiedere il rimborso dell’accisa sul gasolio usato come carburante in modo frazionato ovvero riferito ai consumi effettuati in ciascun trimestre dell’anno solare (gennaio-marzo, aprile-giugno, luglio-settembre, ottobre- dicembre). A tal fine, in luogo del previgente termine del “… 30 giugno successivo alla scadenza di ciascun anno solare …” viene stabilito che la dichiarazione, utile ad ottenere il rimborso suddetto, venga presentata “, entro il mese successivo alla scadenza di ciascun trimestre solare ..”. Viene così notevolmente anticipato, rispetto alla precedente disciplina che poneva a parametro l’intera annualità dei consumi, il momento di fruizione del beneficio che viene reso, nella mutata formulazione, su base trimestrale e contestualmente si dispone un nuovo termine di presentazione della dichiarazione ora fissato, con carattere di perentorietà, nel mese successivo al trimestre solare di riferimento. Ai sensi, poi, del comma 6 dell’art. 3 - come modificato dall’art. 61, comma 1, del D.L. n. 1/12 - nel prospetto recante l’indicazione del chilometraggio registrato con riferimento a ciascuno dei veicoli aventi diritto al beneficio ( “quadro A” del modello di dichiarazione reperibile sul sito di questa Agenzia) dovrà essere indicato “… il chilometraggio registrato dal contachilometri alla chiusura del periodo considerato ..”, ovvero alla chiusura del trimestre solare. Per quanto attiene, infine, alla modifica del comma 3 dell’art. 4, si evidenzia che, a partire dai quantitativi di gasolio consumati nell’anno 2012, il limite temporale per l’utilizzo in compensazione del credito riconosciuto per effetto del formarsi del silenzio assenso o del provvedimento espresso dell’Ufficio delle Dogane viene ampliato al “31 dicembre dell’anno solare successivo a quello in cui il credito è sorto”. Da tale termine, quindi, decorrono i sei mesi entro i quali, ai sensi dell’ultimo periodo del medesimo comma, deve essere richiesto il rimborso in denaro delle eventuali eccedenze non compensate. Così, a titolo meramente esemplificativo, fatto salvo quanto previsto dai commi 1 e 2 del citato art. 4 del DPR n.277/2000, il credito sorto con riferimento ai consumi relativi al primo trimestre dell’anno in corso potrà essere utilizzato in compensazione entro il 31 dicembre 2013 ed il rimborso in denaro per la fruizione dell’eventuale eccedenza non compensata dovrà essere richiesto entro il 30 giugno 2014; ancora, il credito sorto con riferimento ai consumi relativi al quarto trimestre del corrente anno potrà, invece, essere utilizzato in compensazione fino al 31 dicembre 2014 ed il rimborso dell’eventuale eccedenza dovrà essere richiesto entro il 30 giugno 2015.
2. Disapplicazione dell’art. 1, comma 53, della legge 24.12.2007, n. 244.
L’art. 61 del D.L. n. 1/2012, introducendo, anche qui, una misura di maggior favore per le categorie interessate, al comma 2 stabilisce che, a partire dai crediti riconosciuti con riferimento ai consumi di gasolio effettuati nel corso dell’anno 2012, non trova applicazione la limitazione prevista dall’art.1, comma 53, della legge n.244/2007. In tal modo, viene superato il limite annuale, pari a € 250.000, che la predetta disposizione fissa quale soglia massima per l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta derivanti dal riconoscimento di agevolazioni concesse alle imprese, da indicare nel “QUADRO RU” del modello di dichiarazione dei redditi. 3. Sistematizzazione del rimborso del maggior onere conseguente all’aumento dell’aliquota d’accisa sul gasolio usato come carburante. Di rilievo, la previsione introdotta nell’ordinamento giuridico dal comma 4 dell’art. 61 in esame con la quale viene reso strutturale, potenziandone l’efficacia, il meccanismo che riconosce la neutralizzazione di qualsiasi aumento dell’aliquota d’accisa sul gasolio usato come carburante, a favore degli esercenti l’attività di trasporto di merci e di determinate 3 categorie di trasporto di persone, mediante il rimborso del maggior onere conseguente agli eventuali aumenti predetti. In tal modo, fermo restando il rispetto dei limiti imposti dalle vigenti disposizioni comunitarie (art.7 della Direttiva 96/2003/CE), agli aventi diritto sopra indicati viene garantito che non potranno essere incisi da futuri incrementi della tassazione del gasolio. In linea con tale assunto, il medesimo comma 4 apporta una modifica integrativa all’art.33 della legge 12 novembre 2011, n.183 (Legge di stabilità 2012), opportunamente introducendo il comma 30-ter) che prevede, per l’appunto, il rimborso del maggiore onere conseguente all’aumento dell’aliquota di accisa sul gasolio usato come carburante qualora disposto con il provvedimento di cui al comma 30 del medesimo articolo. Con l’occasione, si evidenzia che il citato art.33 viene ulteriormente integrato con l’inserimento del comma 30-bis) per effetto del quale, rispetto all’aumento di accise sulle benzine disposto con il provvedimento da ultimo menzionato, non trova applicazione la limitazione prevista dall’art. 1, comma 154, secondo periodo, della legge 23.12.1996, n. 662. Tale disposizione, in particolare, impone che, nelle regioni a statuto ordinario in cui è in vigore un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, gli eventuali aumenti erariali dell’aliquota d’accisa su tale prodotto non possono superare la differenza tra tali incrementi e l’imposta regionale suddetta. |
per esempio : II trimestre 2013
Per i consumi di gasolio effettuati nel
II trimestre solare 2013 è possibile presentare la dichiarazione per il
recupero del bonus a decorrere dal 01/07/2013 e fino al 31/07/2013. Al
riguardo, sul sito dell'Agenzia delle Dogane sono già disponibili sia il
modello di dichiarazione che il relativo software.
Pertanto, con riferimento ai consumi di gasolio effettuati nel periodo 01/04/2013 - 30/06/2013, l'Agenzia delle Dogane ha confermato l'entità del beneficio in misura pari a Euro 214,18609 per mille litri di gasolio, invariato rispetto al trimestre precedente.
Per ottenere il diritto all'utilizzo in compensazione o il rimborso del credito d'imposta spettante per il II trimestre 2013, i soggetti interessati devono presentare nel mese di Luglio 2013 (fino al 31 Luglio) specifica dichiarazione all'Ufficio delle Dogane territorialmente competente o all'Ufficio delle Dogane di Roma I (per gli esercenti comunitari non tenuti a presentare al dichiarazione dei redditi in Italia). Tale adempimento deve avvenire nel rispetto delle modalità contenute nel regolamento emanato col D.P.R. 277/2000.
Per la predisposizione delle domande-dichiarazioni e la relativa stampa sono già disponibili sul sito dell'Agenzia delle Dogane http://www.agenziadogane.gov.it/ (percorso: "accise" - "benefici per il gasolio da autotrazione" - "benefici gasolio autotrazione 2° trimestre 2013"), sia il modello di dichiarazione che il relativo software.
Inoltre, i contribuenti interessati possono inviare le proprie dichiarazioni anche per mezzo del Servizio Telematico Doganale - E.D.I..Al riguardo:
1) essi devono richiedere all'Agenzia delle Dogane, qualora non ne siano già in possesso, l'abilitazione all'utilizzo dell'E.D.I.;
2) le istruzioni per la richiesta dell'abilitazione e le modalità tecnico-operative di trasmissione dati tramite l'E.D.I., sono disponibili sul sito (nella specifica sezione ad esso relativa).
Le imprese che scelgono di utilizzare l'importo del credito sorto nel SECONDO TRIMESTRE 2013 in compensazione, ai sensi del D.Lgs. 241/97, devono:
- - attendere la formazione del credito mediante il silenzio-assenso, trascorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda senza che sia intervenuto il diniego dell'Ufficio, OPPURE mediante un'eventuale comunicazione di "convalida" esplicita da parte dell'Ufficio (se ciò avviene prima della formazione del silenzio-assenso);
- - indicare nel mod. F24 l'importo del credito nella sezione "Erario" con il codice tributo: " 6740" ("Credito d'imposta - agevolazione sul gasolio per autotrazione impiegato dagli autotrasportatori");
- - utilizzare il credito in compensazione entro e non oltre il 31 Dicembre 2014 (ossia " entro il 31 Dicembre dell'anno solare successivo a quello in cui è sorto "). Pertanto, nel mod. F24 indicare come "anno di riferimento": 2013 e/o 2014 (anni nei quali si può eseguire la compensazione);
- - per l'eventuale eccedenza non utilizzata entro il 31 Dicembre 2014, richiedere il rimborso con apposita istanza al competente Ufficio entro il 30 Giugno 2015, a pena di decadenza.
Per comprovare i consumi di gasolio per autotrazione ai fini del beneficio in oggetto:
- per gli esercenti l'attività di autotrasporto di merci, in c/terzi o in c/proprio, è sempre necessaria la relativa fattura d'acquisto
- per i soggetti esercenti le attività di trasporto di persone è sufficiente la sola scheda carburante.
Il bonus in commento:
- non concorre alla formazione del reddito
- non rileva ai fini del rapporto di deducibilità degli interessi passivi
- non rileva neppure ai fini IRAP
- deve essere indicato nel quadro RU, sezione " Caro petrolio" del modello UNICO relativo al periodo di riferimento. La mancata indicazione, tuttavia, non è a pena di decadenza dal beneficio. A decorrere dai consumi di gasolio effettuati nel corso del 2012 non si applica più il limite annuale di Euro 250.000 quale soglia massima di utilizzo in compensazione dei crediti d'imposta derivanti dal riconoscimento di agevolazioni alle imprese.
circolare http://www.studiocon.com/sites/default/files/Circolare%20N.11%20del%2018%20Gennaio%202013%20-%20Benefici%20fiscali%20sul%20gasolio%20per%20autotrazione%20per%20il%20quarto%20trimestre%202012..pdf
lunedì 24 marzo 2014
APPUNTI
- COMPENSI AMMINISTRATORE
- TRASFERTE
- AFFITTO DI AZIENZA
- AUTO
- ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
http://www.studiorighetti.it/wp-content/uploads/2014/01/Lettera_A_2013.pdf
venerdì 21 marzo 2014
Retroattiva la «nuova» decadenza dalla dilazione dei ruoli
Usufrutto legale al test del capital gain
/ Salvatore SANNA EUTEKNE
Senza IRAP il professionista con praticanti amministratore e sindaco
FONTE : UTEKNE Luca FORNERO
«Dietrofront» della Cassazione sulla prova contraria per la spesa patrimoniale Il contribuente non deve per forza dimostrare la causalità tra reddito posseduto e spesa sostenuta
fonte : Alfio CISSELLO eutekne
giovedì 20 marzo 2014
Errori metodologici bloccano rettifica Spetta al Fisco dimostrare la validità dell’avviso analitico-induttivo fondato sull’argillometro
L’accertamento
analitico-induttivo deve essere supportato da elementi di prova
connotati da gravità, precisione e concordanza. Incombe
all’Amministrazione Finanziaria dimostrare la fondatezza della propria
pretesa e, inoltre, se la parte contribuente è un’impresa che opera nel
settore della ceramica, non basta l’“argillometro” per determinare il
maggiore imponibile, qualora il calcolo effettuato dall’Ufficio sia
viziato da errori metodologici.
CTR Emilia Romagna. È quanto si ricava dalla sentenza 52/10/2014 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.
L’argillometro. La controversia ha riguardato un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004 notificato a una società consolidata, esercente attività di produzione di mattonelle in ceramica. Con tale avviso, l’Agenzia delle Entrare ha contestato maggiori ricavi sulla base all’utilizzazione di argilla. Infatti, nel corso di una verifica, gli agenti del Fisco determinavano la maggiore produzione/vendita di mattonelle con riferimento alla quantità di materia prima (l’argilla, appunto) scaricata nel magazzino e trasferita al reparto di produzione.
La società ha impugnato la pretesa fiscale eccependo, per quanto qui interessa, gli errori metodologici commessi dall’Ufficio nella ricostruzione dei maggiori ricavi, posto che il calcolo non teneva conto degli scarti di argilla. L’adita CTP di Reggio Emilia ha accolto il ricorso. Da qui l’appello dell’Amministrazione Finanziaria che ha insistito per la bontà del proprio operato, posto che da un riscontro analitico della contabilità era emerso uno scarto di argilla superiore al 50 per cento rispetto a tutta quella lavorata.
Ebbene, la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna ha ritenuto meritevole di conferma il verdetto di primo grado favorevole alla società poiché l’accertamento analitico-induttivo non si è basato su “presunzioni gravi, precise e concordanti” tali da costituire prove valide a sostegno della rettifica che invece ha mostrato incongruenze. In particolare la CTR ha rilevato che gli accertatori avrebbero dovuto dimostrare analiticamente la fondatezza, dunque la correttezza dei calcoli effettuati, non ricorrendo a una presunzione astratta di evasione sulla base di un unico dato (scarto di materia prima superiore al 50 per cento) ritenuto eccessivo.
Condanna alle spese. Il rigetto dell’appello prodotto dall’Ufficio Finanziario ha determinato la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio, quantificate dalla CTR emiliana in euro 1.500 oltre accessori di legge.
CTR Emilia Romagna. È quanto si ricava dalla sentenza 52/10/2014 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.
L’argillometro. La controversia ha riguardato un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004 notificato a una società consolidata, esercente attività di produzione di mattonelle in ceramica. Con tale avviso, l’Agenzia delle Entrare ha contestato maggiori ricavi sulla base all’utilizzazione di argilla. Infatti, nel corso di una verifica, gli agenti del Fisco determinavano la maggiore produzione/vendita di mattonelle con riferimento alla quantità di materia prima (l’argilla, appunto) scaricata nel magazzino e trasferita al reparto di produzione.
La società ha impugnato la pretesa fiscale eccependo, per quanto qui interessa, gli errori metodologici commessi dall’Ufficio nella ricostruzione dei maggiori ricavi, posto che il calcolo non teneva conto degli scarti di argilla. L’adita CTP di Reggio Emilia ha accolto il ricorso. Da qui l’appello dell’Amministrazione Finanziaria che ha insistito per la bontà del proprio operato, posto che da un riscontro analitico della contabilità era emerso uno scarto di argilla superiore al 50 per cento rispetto a tutta quella lavorata.
Ebbene, la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna ha ritenuto meritevole di conferma il verdetto di primo grado favorevole alla società poiché l’accertamento analitico-induttivo non si è basato su “presunzioni gravi, precise e concordanti” tali da costituire prove valide a sostegno della rettifica che invece ha mostrato incongruenze. In particolare la CTR ha rilevato che gli accertatori avrebbero dovuto dimostrare analiticamente la fondatezza, dunque la correttezza dei calcoli effettuati, non ricorrendo a una presunzione astratta di evasione sulla base di un unico dato (scarto di materia prima superiore al 50 per cento) ritenuto eccessivo.
Condanna alle spese. Il rigetto dell’appello prodotto dall’Ufficio Finanziario ha determinato la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio, quantificate dalla CTR emiliana in euro 1.500 oltre accessori di legge.
FONTE : fiscalfocus
Enasarco. Ultimatum per il versamento Firr
Il prossimo 31 marzo 2014 scade il versamento annuale del contributo Firr
Premessa –
Conto alla rovescia per le ditte preponenti che hanno alle proprie
dipendenze degli agenti. Infatti, il 31 marzo 2014 scade l’ultimo giorno
utile per il versamento annuale del contributo Firr (Fondo Indennità
Risoluzione Rapporto). Fondo che è interamente gestito dalla Fondazione
Enasarco, la quale obbliga le ditte aderenti alle organizzazioni
sindacali stipulanti ad accantonare annualmente una somma rapportata
alle provvigioni liquidate agli agenti, secondo le aliquote stabilite
dagli accordi economici collettivi. Le quote così accantonate verranno
poi liquidate all’agente al termine del mandato, quando la ditta
proponente, dal canto suo, dovrà comunicare alla Fondazione la
cessazione del rapporto, entro un mese, specificandone la data e i dati
anagrafici e fiscali dell’agente.
Il contributo – L’ammontare del contributo, a carico della ditta preponente, dipende: dall’importo totale delle provvigioni liquidate nell’anno solare precedente, dalla tipologia del mandato (Monomandatario o Plurimandatario) e dal numero di mesi di durata del mandato.
Le aziende obbligate al versamento – Affinché le aziende siano obbligate all’accantonamento Firr occorre: l’iscrizione alla Fondazione Enasarco (ed essere in possesso del “numero di posizione”, identificativo delle mandanti); aver conferito almeno un mandato di agenzia o rappresentanza commerciale.
I destinatari del Firr – Hanno diritto al Firr: gli agenti operanti in forma individuale; gli agenti operanti in forma di società di persone (sas, snc) e gli agenti operanti in forma di società di capitale (spa, srl).
Il versamento – Come accennato in premessa, il versamento in questione va effettuato annualmente non prima del 1° e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento.
Le modalità di versamento – Infine, giova ricordare che l’importo da versare verrà calcolato in automatico, previa compilazione, nell’area riservata all’azienda, della distinta online, dove occorre inserire le provvigioni dei propri agenti. Quanto alle modalità di pagamento è possibile scegliere tra: bollettino bancario MAV: pagamento standard e automatico proposto dal sistema; addebito su c/c bancario (RID).
Il contributo – L’ammontare del contributo, a carico della ditta preponente, dipende: dall’importo totale delle provvigioni liquidate nell’anno solare precedente, dalla tipologia del mandato (Monomandatario o Plurimandatario) e dal numero di mesi di durata del mandato.
Le aziende obbligate al versamento – Affinché le aziende siano obbligate all’accantonamento Firr occorre: l’iscrizione alla Fondazione Enasarco (ed essere in possesso del “numero di posizione”, identificativo delle mandanti); aver conferito almeno un mandato di agenzia o rappresentanza commerciale.
I destinatari del Firr – Hanno diritto al Firr: gli agenti operanti in forma individuale; gli agenti operanti in forma di società di persone (sas, snc) e gli agenti operanti in forma di società di capitale (spa, srl).
Il versamento – Come accennato in premessa, il versamento in questione va effettuato annualmente non prima del 1° e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento.
Le modalità di versamento – Infine, giova ricordare che l’importo da versare verrà calcolato in automatico, previa compilazione, nell’area riservata all’azienda, della distinta online, dove occorre inserire le provvigioni dei propri agenti. Quanto alle modalità di pagamento è possibile scegliere tra: bollettino bancario MAV: pagamento standard e automatico proposto dal sistema; addebito su c/c bancario (RID).
Autore: Redazione Fiscal Focus
Sanzioni per società trasferita all’estero
Cassazione Tributaria sentenza del 19 marzo 2014
La
cancellazione dal registro delle imprese per il trasferimento
all’estero della sede sociale non comporta l’estinzione della SRL che
resta pertanto sanzionabile per le irregolarità fiscali commesse in
precedenza. È quanto emerge dalla sentenza 19 marzo 2014 n. 6388 della
Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
L’Agenzia delle Entrate contestava a una SRL l’omessa dichiarazione IVA, la mancata tenuta dei registri e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, con conseguente irrogazione della relativa sanzione. Da qui il ricorso proposto dai due legali rappresentanti “di fatto” della società - nel frattempo cancellatasi dal registro delle imprese in ragione del trasferimento della sede a Parigi - i quali hanno sollevato una serie di eccezioni, tra cui la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri soci e la sanzionabilità unicamente della società.
L’eccezione pregiudiziale riguardante l’integrazione del contraddittorio è stata dichiarata infondata dai supremi giudici, mentre per le sanzioni il giudizio di legittimità si è chiuso a favore dei ricorrenti.
L’ente resta in “vita”. Gli Ermellini chiariscono che qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'articolo 2495 c.c. Tale norma, infatti, ancora inequivocabilmente l'estinzione della società alla cancellazione avvenuta all'esito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, a norma del primo comma della medesima disposizione.
Di contro, aggiungono dal Palazzaccio, il trasferimento della sede all'estero non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività. Il che si desume, peraltro, del tutto agevolmente dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c), e 2473, comma 1, c.c., laddove prevedono, rispettivamente in relazione alla società per azioni e a quella a responsabilità limitata, la possibilità di recesso dall'ente - logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto - dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti “il trasferimento della sede sociale all'estero”.
Nel caso esaminato, pertanto, la Suprema Corte ha escluso l’estinzione della società e, dunque, l’insorgenza del fenomeno successorio ex art. 110 c.p.p., da cui sarebbe conseguita la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci, quali litisconsorti necessari, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite (si vedano sentenze n. 6070 e n. 6071 del 12 marzo 2013).
Sulle sanzioni. Risolta la questione pregiudiziale, gli Ermellini hanno accolto il quarto motivo di ricorso con cui si lamentava che le sanzioni si riferivano a condotte poste in essere prima del 1997, anno di entrata in vigore del D.Lgs. 472, che quindi erano imputabili solo alla società e non agli amministratori. A tal proposito in sentenza si legge: “Orbene, non v’è dubbio alcuno che, nel caso di specie, le violazioni contestate dall’Ufficio (…) siano direttamente imputabili all’ente, quale soggetto passivo del rapporto tributario, e non alle persone fisiche dei suoi rappresentanti, come sarebbe accaduto nel caso in cui fossero stati imputati omessi o tardivi versamenti. Come pure è indubbio che si tratti di violazioni commesse tutte nell’anno 1997, ovverosia prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 472/97, sicché esse sono sottratte al regime di cui alla normativa sopravvenuta”.
L’Agenzia delle Entrate contestava a una SRL l’omessa dichiarazione IVA, la mancata tenuta dei registri e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, con conseguente irrogazione della relativa sanzione. Da qui il ricorso proposto dai due legali rappresentanti “di fatto” della società - nel frattempo cancellatasi dal registro delle imprese in ragione del trasferimento della sede a Parigi - i quali hanno sollevato una serie di eccezioni, tra cui la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri soci e la sanzionabilità unicamente della società.
L’eccezione pregiudiziale riguardante l’integrazione del contraddittorio è stata dichiarata infondata dai supremi giudici, mentre per le sanzioni il giudizio di legittimità si è chiuso a favore dei ricorrenti.
L’ente resta in “vita”. Gli Ermellini chiariscono che qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'articolo 2495 c.c. Tale norma, infatti, ancora inequivocabilmente l'estinzione della società alla cancellazione avvenuta all'esito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, a norma del primo comma della medesima disposizione.
Di contro, aggiungono dal Palazzaccio, il trasferimento della sede all'estero non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività. Il che si desume, peraltro, del tutto agevolmente dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c), e 2473, comma 1, c.c., laddove prevedono, rispettivamente in relazione alla società per azioni e a quella a responsabilità limitata, la possibilità di recesso dall'ente - logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto - dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti “il trasferimento della sede sociale all'estero”.
Nel caso esaminato, pertanto, la Suprema Corte ha escluso l’estinzione della società e, dunque, l’insorgenza del fenomeno successorio ex art. 110 c.p.p., da cui sarebbe conseguita la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci, quali litisconsorti necessari, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite (si vedano sentenze n. 6070 e n. 6071 del 12 marzo 2013).
Sulle sanzioni. Risolta la questione pregiudiziale, gli Ermellini hanno accolto il quarto motivo di ricorso con cui si lamentava che le sanzioni si riferivano a condotte poste in essere prima del 1997, anno di entrata in vigore del D.Lgs. 472, che quindi erano imputabili solo alla società e non agli amministratori. A tal proposito in sentenza si legge: “Orbene, non v’è dubbio alcuno che, nel caso di specie, le violazioni contestate dall’Ufficio (…) siano direttamente imputabili all’ente, quale soggetto passivo del rapporto tributario, e non alle persone fisiche dei suoi rappresentanti, come sarebbe accaduto nel caso in cui fossero stati imputati omessi o tardivi versamenti. Come pure è indubbio che si tratti di violazioni commesse tutte nell’anno 1997, ovverosia prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 472/97, sicché esse sono sottratte al regime di cui alla normativa sopravvenuta”.
Evasione fiscale. Impegno internazionale
I Paesi “early adopters” si impegnano a implementare il Common Reporting Standard.
Lotta all’evasione -
La lotta all’evasione fiscale è una delle priorità del nostro Paese,
che dall’inizio della crisi e anche prima ne ha fatto un baluardo
imprescindibile dal quale trarre benefici anche e soprattutto in termini
di risorse economiche. Sul punto è intervenuto proprio ieri il
Ministero dell’Economia e delle Finanze sottolineando l’evidente
evoluzione che ha riguardato lo scambio concreto e automatico di
informazioni fiscali tra diversi Paesi, che ha condotto a un più mirato
piano di aggressione ai comportamenti evasivi nei confronti del Fisco.
L’impegno internazionale - La nota del dicastero guidato da Pier Carlo Padoan ha illustrato la dichiarazione congiunta dei quarantaquattro Stati coinvolti nel processo di lotta all’evasione tributaria attraverso un incremento dei sistemi di scambio dei dati in possesso. In merito a ciò sono state forti le parole del ministro italiano che ha inteso sottolineare la valenza della giornata di ieri, che “segna una nuova e significativa pietra miliare nella realizzazione del nuovo standard globale per lo scambio automatico delle informazioni fiscali che porterà ad un cambiamento radicale nella nostra capacità di contrastare e scoraggiare l'evasione fiscale. I 44 paesi e giurisdizioni che si sono impegnati nell’iniziativa lanciata lo scorso aprile dal G5 per una rapida adozione di tale standard hanno, per la prima volta, annunciato congiuntamente il programma dettagliato per l’attuazione del nuovo standard globale. In base a tale programma, ambizioso ma realistico, le prime informazioni saranno scambiate nel 2017 anche per quanto riguarda conti aperti alla fine del 2015. Questo impegno concreto ai fini di una rapida adozione dello standard globale mostra la nostra determinazione a guidare il passaggio rapido ad un sistema realmente globale che rimuoverà i sicuri rifugi per tutti coloro che cercano di evadere le tasse. Chiediamo a tutti i centri finanziari di aderire a questo calendario temporale in modo coerente con le proprie responsabilità nel sistema finanziario globale. Auspichiamo una rapida trasposizione nel diritto comunitario del nuovo standard globale, ivi incluse le tempistiche annunciate oggi, entro la fine del 2014”. Padoan ha salutato con soddisfazione l’iniziativa che ha visto i natali al G5 dell’aprile 2013 in merito alle questioni di trasparenza e scambio automatico di informazioni a fini fiscali.
La dichiarazione comune – Dunque, in cosa consiste questo impegno condiviso? Ebbene, attraverso la dichiarazione comune sottoscritta ieri, i Paesi “early adopters” hanno assunto l’irrevocabile impegno di implementare il Common Reporting Standard. In sostanza, si tratta di un nuovo standard globale sullo scambio automatico di informazioni finanziarie a fini fiscali, approvato dall’OCSE alla fine di gennaio dell’anno in corso. L’implementazione dovrà avvenire in base a un ben preciso calendario condiviso, tenendo conto del quale i suddetti Stati dovranno stipulare accordi tra autorità competenti e adottare le legislazioni nazionali utili affinché lo scambio possa avvenire senza impedimenti di sorta. Il citato calendario dispone infine che “gli intermediari finanziari raccoglieranno le informazioni sia sui conti intrattenuti al 31 dicembre 2015 che su quelli aperti successivamente mentre il primo scambio di informazioni tra autorità fiscali avrà luogo nel 2017”.
L’impegno internazionale - La nota del dicastero guidato da Pier Carlo Padoan ha illustrato la dichiarazione congiunta dei quarantaquattro Stati coinvolti nel processo di lotta all’evasione tributaria attraverso un incremento dei sistemi di scambio dei dati in possesso. In merito a ciò sono state forti le parole del ministro italiano che ha inteso sottolineare la valenza della giornata di ieri, che “segna una nuova e significativa pietra miliare nella realizzazione del nuovo standard globale per lo scambio automatico delle informazioni fiscali che porterà ad un cambiamento radicale nella nostra capacità di contrastare e scoraggiare l'evasione fiscale. I 44 paesi e giurisdizioni che si sono impegnati nell’iniziativa lanciata lo scorso aprile dal G5 per una rapida adozione di tale standard hanno, per la prima volta, annunciato congiuntamente il programma dettagliato per l’attuazione del nuovo standard globale. In base a tale programma, ambizioso ma realistico, le prime informazioni saranno scambiate nel 2017 anche per quanto riguarda conti aperti alla fine del 2015. Questo impegno concreto ai fini di una rapida adozione dello standard globale mostra la nostra determinazione a guidare il passaggio rapido ad un sistema realmente globale che rimuoverà i sicuri rifugi per tutti coloro che cercano di evadere le tasse. Chiediamo a tutti i centri finanziari di aderire a questo calendario temporale in modo coerente con le proprie responsabilità nel sistema finanziario globale. Auspichiamo una rapida trasposizione nel diritto comunitario del nuovo standard globale, ivi incluse le tempistiche annunciate oggi, entro la fine del 2014”. Padoan ha salutato con soddisfazione l’iniziativa che ha visto i natali al G5 dell’aprile 2013 in merito alle questioni di trasparenza e scambio automatico di informazioni a fini fiscali.
La dichiarazione comune – Dunque, in cosa consiste questo impegno condiviso? Ebbene, attraverso la dichiarazione comune sottoscritta ieri, i Paesi “early adopters” hanno assunto l’irrevocabile impegno di implementare il Common Reporting Standard. In sostanza, si tratta di un nuovo standard globale sullo scambio automatico di informazioni finanziarie a fini fiscali, approvato dall’OCSE alla fine di gennaio dell’anno in corso. L’implementazione dovrà avvenire in base a un ben preciso calendario condiviso, tenendo conto del quale i suddetti Stati dovranno stipulare accordi tra autorità competenti e adottare le legislazioni nazionali utili affinché lo scambio possa avvenire senza impedimenti di sorta. Il citato calendario dispone infine che “gli intermediari finanziari raccoglieranno le informazioni sia sui conti intrattenuti al 31 dicembre 2015 che su quelli aperti successivamente mentre il primo scambio di informazioni tra autorità fiscali avrà luogo nel 2017”.
Autore: Redazione Fiscal Focus
Partecipazioni ricevute in successione
Rilevante il valore indicato in successione
Premessa – In caso di rivalutazione di partecipazioni cadute in successione dal 3 ottobre 2006, per effetto della reintroduzione dell’imposta di successione l’erede non può assumere quale valore fiscale della partecipazione il costo rivalutato dal “de cuius”, ma deve fare riferimento a quello indicato in dichiarazione di successione o al valore normale delle stesse, nel caso che siano esentate dall’imposta di successione. Il valore risultante dalla rideterminazione eseguita dal “de cuius” può essere utilizzato, invece, con riferimento alle partecipazioni pervenute per successione nel periodo in cui tale imposta era stata abolita, cioè alle successioni aperte dal 25 ottobre 2001 al 2 ottobre 2006.Rivalutazione terreni e partecipazioni - La legge di stabilità 2014 ripropone l’agevolazione fiscale introdotta dalla Legge n. 448/2001, consentendo di rivalutare le partecipazioni (di società non quotate in mercati regolamentati) possedute alla data del 1° gennaio 2014, in base a una relazione di stima da redigere e asseverare entro il 30 giugno 2014.
Partecipazioni in successione - Una fattispecie che merita una specifica analisi attiene alla possibilità di avvalersi dell’agevolazione in questione in relazione alle partecipazioni acquisite in dipendenza di successione apertasi successivamente alla data fissata dal legislatore per il possesso delle stesse (ossia, a seguito della Legge n. 147/2013, il 1° gennaio 2014).
Circolare 27/E/2003 - Originariamente l’Amministrazione finanziaria aveva affermato che, “in assenza di una norma specifica in tal senso, la successione e la donazione non sono eventi idonei a far retroagire gli effetti traslativi alla data di acquisto da parte del donante o del de cuius” (circolare n. 27/E del 2003, cit., par. 2.1.), per cui “gli eredi e i donatari non possono essere considerati “possessori” delle partecipazioni a tale data” (circolare n. 81/E del 2002, cit., par. 3.1.).
Mandato con rappresentanza - Tuttavia, secondo l’Agenzia delle Entrate, qualora il de cuius, prima della morte, avesse conferito mandato con rappresentanza per potersi avvalere dell’agevolazione de qua (ad esempio, dando incarico di predisporre la perizia di stima), gli eredi, in sede di cessione della partecipazione ricevute in eredità, avrebbero potuto beneficiare del maggior valore risultante dalla perizia, poiché in tal caso sarebbe stato l’effettivo titolare a chiedere di beneficiare della rivalutazione e non i suoi eredi (circolare n. 27/E del 2003, cit., par. 2.1.).
D.L. 262/2006 - I predetti chiarimenti furono però emanati anteriormente alla reintroduzione dell’imposta di successione a opera del D.L. n. 262/2006 (Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 262/2006.), per le successioni apertesi a decorrere dal 3 ottobre 2006, e, a seguito di tale intervento normativo, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che, in caso di cessione delle partecipazioni a titolo oneroso, per la determinazione delle plusvalenze imponibili occorre far riferimento al valore delle partecipazioni indicato nella dichiarazione di successione ovvero al loro valore normale, nell’eventualità in cui esse siano esentate dall’imposta di successione (circolare 19 febbraio 2008, n. 12/E, par. 3.2, e la risoluzione 17 aprile 2008, n. 158/E).
Successione dal 3.10.2006 - Quindi per le partecipazioni cadute in successione dal 3 ottobre 2006, per effetto della reintroduzione dell’imposta di successione, non è più consentito all’erede di assumere quale costo fiscale delle partecipazioni il costo rivalutato dal de cuius, che può essere utilizzato, invece, con riferimento alle partecipazioni pervenute per successione nel periodo in cui tale imposta era stata abolita, vale a dire in relazione alle succes
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