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lunedì 20 ottobre 2014

Associazione in partecipazione

L'associazione in partecipazione è una particolare forma di contratto relativo al mondo dell'impresa con il quale un imprenditore (che viene detto appunto "associante") si accorda con uno o più soggetti (che vengono detti "associati") che svolgono la propria attività lavorativa e vengono ricompensati con una partecipazione agli utili dell'impresa. L'utilizzo di questo tipo di contratto offre dei vantaggi in termini di flessibilità ed è molto redditizio nel momento in cui l'impresa ottiene un utile. Diventa invece problematico nei casi in cui l'attività sia in perdita perché in questo caso il lavoratore associato può essere chiamato a rispondere delle passività.


>Che cos’è
>Rapporti interni tra imprenditore e associati e rapporti verso i fornitori
>Gli utili e le perdite
>L’utilizzo scorretto dell’associazione in partecipazione e le sanzioni
>Partecipazione agli utili dell’associato


Che cos’èTorna su
L’associazione in partecipazione è un contratto che lega un imprenditore (detto “associante”) con uno o più lavoratori (detti “associati”) con il quale questi si impegnano a fornire la loro attività lavorativa all’interno dell’impresa, ricevendo (al posto di uno stipendio, come invece generalmente accade nei rapporti di lavoro) come retribuzione il diritto di ottenere una parte degli utili della ditta. Va detto, per completezza, che il contributo degli associati può anche non consistere in un’attività lavorativa, come ad esempio quando si fornisce della strumentazione o delle somme di denaro a titolo di capitale.
Il lavoratore-associato si assume in questo caso una parte del c.d. rischio di impresa, ovverosia il rischio che l’imprenditore affronta e che consiste nella possibilità che l’attività non produca utili.
Nel caso in cui il contributo dell’associato sia una prestazione di lavoro la legge stabilisce limiti molto precisi. In queste ipotesi, infatti, l’associazione in partecipazione potrebbe essere utilizzata per aggirare le norme che tutelano il lavoro subordinato.
Il codice civile quindi stabilisce in questo caso che il numero degli associati in partecipazione non può essere superiore a tre, anche nell’ipotesi in cui gli imprenditori-associanti siano più di uno.
Questo limite non vale quando i lavoratori sono legati all’associante da un rapporto:

  • coniugale (ovverosia quando sono il marito o la moglie dell’associante)
  • di parentela fino al terzo grado
  • di affinità fino al secondo grado (l’affinità è il rapporto che lega una persona ai parenti della propria moglie o del proprio marito)
     
Se il limite numerico viene violato allora il rapporto con i lavoratori-associati viene considerato a tutti gli effetti come un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Rapporti interni tra imprenditore e associati e rapporti verso i fornitoriTorna su
L’impresa che vede la partecipazione dei lavoratori-associati opera sul mercato attraverso l’attività dell’imprenditore-associante che ha il potere di dirigere l’attività senza bisogno di accordarsi con gli associati in partecipazione. Questi, per contro, possono pretendere dall’associante solo il rendiconto della sua attività per poter eventualmente effettuare dei controlli.
Il contratto di associazione, però, può ampliare i poteri degli associati attribuendo loro anche dei poteri di controllo sull’attività dell’imprenditore.
Inoltre i terzi (fornitori, creditori, collaboratori) assumono obblighi o acquistano diritti soltanto nei confronti dell’imprenditore associante.Ad esempio, si pensi al caso di un fornitore che si accorda per consegnare dei materiali di cancelleria all’impresa a fronte di un compenso. In questa ipotesi soltanto l’imprenditore potrà richiedere la consegna dei materiali al fornitore e quest’ultimo, nel caso in cui non venga pagato, potrà chiedere il pagamento soltanto all’imprenditore e non direttamente agli associati.
Gli utili e le perditeTorna su
Come abbiamo già visto gli associati in partecipazione hanno diritto ad una quota degli utili, se l’azienda è in attivo.
Se invece l’azienda è in passivo devono partecipare alle perdite nella stessa misura in cui godrebbero degli utili. Il tutto nel limite dell’apporto che hanno fornito all’impresa.
Le parti (associato e associante) possono però stabilire nel contratto che l’associato non risponda delle perdite.
L’utilizzo scorretto dell’associazione in partecipazione e le sanzioniTorna su
Vi sono dei casi in cui l’utilizzo del contratto di associazione in partecipazione può mascherare il tentativo di aggirare la disciplina propria del lavoro subordinato.
Per questi motivi, come abbiamo già visto, la legge stabilisce che, quando l’apporto degli associati consiste in un’attività lavorativa, il numero degli associati non può essere superiore a tre, diversamente il rapporto si tramuta in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Ma la recente riforma Fornero, attuata con la legge n. 92 del 2012, ha previsto altre ipotesi in cui si presume che il rapporto di partecipazione in associazione sia in realtà un rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta dei casi in cui:
  • in concreto all’esecuzione del rapporto di lavoro non segue un’effettiva partecipazione agli utili (e quindi di fatto il lavoratore riceve una retribuzione del tutto simile allo stipendio di un dipendente)
  • l’attività lavorativa non viene seguita dal rendiconto da parte dell’imprenditore-associante
  • l’attività svolta dall’associato non ha le caratteristiche proprie di un’attività da lavoro autonomo (e quindi presenta i connotati tipici di un rapporto di lavoro subordinato).
     
Ciò significa che in questi casi si presume fino a prova contraria che il rapporto tra associato e associante sia un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti con tutte le conseguenze del caso sia sotto l’aspetto retributivo e contributivo, sia dal punto di vista della disciplina (orario, mansioni, licenziamento ecc.).
Una importante novità è stata introdotta dal cd. decreto lavoro d.l. n. 76/2013: anche le dimissioni dei lavoratori associati sono assoggettate al procedimento di cui alla legge Fornero.
La legge di conversione del D.L. n. 76/2013 (Legge 9 agosto 2013, n. 99) ha previsto degli strumenti per facilitare l’assorbimento con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dei lavoratori assunti in precedenza con contratto di associazione in partecipazione e per disincentivare gli abusi collegati all’utilizzo di questa particolare forma contrattuale.
Vi è la possibilità di stipulare degli specifici contratti collettivi che prevedono appunto queste assunzioni entro tre mesi dalla data di stipulazione del contratto.
L’assunzione, in questo caso, può avvenire anche con un contratto di apprendistato.
Si prevede peraltro che nei 6 mesi successivi alle assunzioni il datore di lavoro non può recedere dal rapporto di lavoro a meno che non sussistano una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
All’atto dell’assunzione le parti sottoscrivono un atto di conciliazione sullo schema della conciliazione prevista per il processo del lavoro e tale atto viene depositato, assieme al contratto di lavoro subordinato, nelle competenti sedi INPS.
L’atto di conciliazione, tuttavia, è efficace soltanto se il datore di lavoro versa alla gestione separata una somma pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati per i periodi di vigenza dei contratti di associazione in partecipazione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi, riferito a ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato.

Partecipazione agli utili dell’associato Torna su
Sulle somme di partecipazione agli utili che l’associato riceve, si applicano  la ritenute fiscali:
  • nel caso in cui l’associato fornisca un contributo in termini di attività lavorativa si applica una ritenuta del 20%
  • nel caso in cui l’associato fornisca un contributo in termini capitale (ad esempio fornisce dei macchinari, delle somme di denaro ecc) si applica una ritenuta del 12,50%. 


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