30 dicembre 2011
Il commercio elettronico consiste
nell’utilizzo della rete Internet da parte degli operatori quale mezzo per la
pubblicità, la commercializzazione dei prodotti, l’offerta di prestazioni dei
servizi o di attività finanziarie.
In
ambito telematico, è possibile distinguere due tipologie di attività di e-
commerce:
•
a) diretto, in quanto la conclusione del contratto, consegna del bene
oggetto della transazione e il pagamento avvengono in rete. In questo caso si
ha un’assimilazione alle vendite per corrispondenza;
•
b) indiretto, la rete viene utilizzata per concludere la vendita e il
pagamento del corrispettivo, ma la consegna del bene oggetto della transazione
avviene fisicamente mediante spedizione.
E’
evidente come il commercio elettronico diretto possa avere ad oggetto
esclusivamente servizi (comprendendo in tale categoria anche le attività
finanziarie), oppure dei beni a “contenuto immateriale”. Alcuni esempi sono
costituiti dalla consultazione di banche dati, dalla trasmissione di beni
virtuali (libri, articoli, testi, musica, immagini), dalla cessione di programmi
informatici, ecc.
Il
Consiglio Europeo con Reg. (CE) n. 1777/2005 (articoli 11 e 12) ha elencato i
servizi che rientrano nella nozione di commercio elettronico e quelli esclusi.
Il
commercio on-line è solo una tipologia di vendita che non muta le caratteristiche
civilistiche dei soggetti che vi operano. Pertanto, le imprese comunque
dovranno adottare le scritture contabili e redigere un bilancio d’esercizio se
rientrano tra i soggetti tenuti a predisporre lo stesso ai sensi degli artt.
2423 e seguenti del c.c.
La
rete telematica consente di concludere contratti telematici, la cui peculiarità
risiede nella circostanza che le parti impiegano strumenti informatici per la
loro stipulazione. La conclusione di un contratto telematico comporta, quindi,
da un lato l’assenza del tradizionale supporto cartaceo e, dall’altro,
l’impossibilità di individuare con certezza i soggetti contraenti.
Tali
peculiarità pongono una serie di problematiche relativamente alla validità
giuridica dei contratti telematici, all’esistenza di una effettiva volontà
negoziale e all’identificazione del soggetto cui questa sia riferita.
Per
ciò che attiene alla prima problematica, si osserva che l’ordinaria disciplina
prevista in tema di validità dei contratti trova applicazione anche per quelli
stipulati in via telematica, in ossequio al principio della libertà di forma
sancito dall’ordinamento giuridico.Come noto, da tale principio deriva che le
modalità di esternazione della volontà delle parti sono libere e, unicamente
per gli atti di maggiore importanza, è richiesta una forma determinata (ad
substantiam).
Tali
considerazioni trovano conforto nell’art. 15, comma 2, della legge n. 59 del 15
marzo 1997 secondo il quale “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica
amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i
contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e
trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli
effetti di legge”.
Ciò
posto, talune perplessità emergono analizzando la disciplina del cosiddetto
“documento informatico”, contenuta nel D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice
dell’amministrazione digitale).
La
validità del contratto è condizionata all’identificazione dei contraenti
attraverso la specifica procedura della firma elettronica avanzata, qualificata
o digitale.
Se
si aderisse a tale impostazione, si porrebbe un ostacolo insormontabile alla
diffusione del commercio elettronico che contrasterebbe, peraltro, con la
previsione contenuta nel paragrafo 1, art. 9, della Direttiva CE 2000/31
concernente i contratti conclusi per via elettronica.
Differenti
considerazioni devono essere sviluppate in merito, invece, alla validità della
forma elettronica per la prova dell’esistenza del contratto, atteso che a tal
fine il nostro ordinamento richiede principalmente l’esistenza di una scrittura
privata (art. 2702 del cod. civ.).
Il
problema diventa quindi, in tale ipotesi, quello di stabilire quando e a quali
condizioni sia possibile attribuire al documento elettronico l’efficacia
probatoria (provenienza ed autenticità) che assume il documento cartaceo munito
di sottoscrizione.
L’articolo
21, comma 3 del D.Lgs. n. 82/2005 risolve il problema equiparando la
tradizionale sottoscrizione di un documento cartaceo alla sottoscrizione
apposta mediante la cosiddetta firma digitale sul documento informatico, la
quale permette di rimuovere l’ostacolo principale alla diffusione degli atti
realizzati in forma elettronica, ossia l’impossibilità di attribuire al
documento elettronico la stessa efficacia probatoria (provenienza ed
autenticità) del documento cartaceo, munito di sottoscrizione.
In
linea di principio, i contenuti e le modalità di formazione dell’accordo sono
disciplinati dalla normativa giuridica vigente in materia.
A
mente dell’art. 1321 del cod. civ., il contratto si forma con “l’accordo di due
o più parti”, ossia con l’incontro delle volontà di ciascuna di esse.
In
particolare, il contratto si ritiene concluso nel momento in cui chi ha
formulato la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
Nel
contesto della contrattazione via internet, avviene che la proposta assume
spesso la forma di offerta al pubblico. Difatti, nei siti internet gli
operatori manifestano spesso dichiarazioni unilaterali che, esprimendo la
volontà di proporre un accordo che non è rivolto a un destinatario determinato,
assumono la forma propria dell’offerta al pubblico.
In
tal caso, chiunque può manifestare al proponente la propria accettazione, con
l’effetto che il contratto si perfeziona nel momento in cui questa giunga a
conoscenza del proponente, purché l’offerta contenga gli elementi essenziali
del contratto cui è diretta.
Infatti,
a norma dell’art. 1336 del cod. civ., “l’offerta al pubblico, quando contiene
gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come
proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze e dagli usi”.
Nel
caso della proposta che taluni operatori inviano direttamente alle caselle di
posta elettronica degli utenti, invece, l’interlocutore può dirsi certamente
individuato e l’iniziativa costituisce una vera e propria proposta contrattuale
cui il destinatario potrà dare seguito nelle forme eventualmente fissate dal
proponente.
L’accettazione
è la dichiarazione che il destinatario della proposta rivolge al proponente,
esprimendo la volontà di accogliere il programma contrattuale proposto.
Con
l’accettazione si forma quindi l’accordo e il contratto si considera concluso
nel momento in cui il proponente ne ha conoscenza.
A
tale riguardo, si osserva che nel caso in cui la proposta sia formulata
mediante l’utilizzo della posta elettronica, il contratto deve ritenersi
concluso allorquando il messaggio di accettazione del destinatario sia arrivato
presso la casella di posta elettronica del proponente.
L’individuazione
del luogo di conclusione di un contratto assume rilevanza sotto molteplici
profili.
Innanzitutto,
al rapporto sorto tra i contraenti che si trovano in Paesi diversi si rende
applicabile, in linea generale, la legge del luogo nel quale il contratto è
stato concluso, sebbene la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 superi il
principio contenuto nelle “disposizioni sulla legge in generale”, prevedendo
che in mancanza di scelta delle parti, è applicabile la legge del Paese che presenta
il collegamento più stretto con il contratto ovvero, nel caso di contratto
concluso con consumatori, la legge del Paese nel quale il consumatore ha la sua
residenza abituale.
Inoltre,
qualora i contraenti siano entrambi soggetti all’ordinamento giuridico
italiano, il luogo di conclusione del contratto riveste un’importanza
determinante al fine di individuare talune regole applicabili al rapporto
contrattuale. E’ il caso, ad esempio, delle clausole ambigue che, a norma
dell’art. 1368 del cod. civ., s’interpretano secondo ciò che si pratica
generalmente nel luogo in cui il contratto è concluso ovvero, qualora una delle
parti sia un imprenditore, secondo ciò che si pratica nel luogo in cui è la
sede dell’impresa.
Ancora,
le questioni di competenza processuale sono, in linea di principio, risolte
sulla base del luogo in cui il contratto si considera concluso.
Nella
disciplina concernente il contratto, non è dato rinvenire alcuna disposizione
che contenga i criteri per la determinazione del luogo di conclusione
dell’”accordo”, ancorché la dottrina e la giurisprudenza sembrino concordi nel
ritenere che la soluzione vada ricercata nell’art. 1326 del cod. civ., laddove
è previsto che il contratto è concluso nel momento in cui chi ha formulato la
proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Analogamente, il
luogo di conclusione del contratto si considera quello in cui si trova il
proponente al momento in cui ha notizia dell’accettazione.
Una
parte della dottrina stabilisce il luogo di ricevimento dell’accettazione a
quello che l’ordinamento considera come centro della sfera giuridica del
destinatario.
Infatti,
se è vero che l’estrema mobilità del luogo di ricezione telematica di
informazioni e dati rende sostanzialmente impossibile individuare un luogo
preciso sulla base dei tradizionali criteri e se è altrettanto vero che il sito
internet e l’indirizzo e-mail sono utilizzati dagli operatori economici per
fini commerciali o professionali, si dovrà concludere che tutte le
dichiarazioni giuridiche, ivi incluse quelle recettizie, debbano essere
considerate ricevute presso la sede dell’impresa o dell’attività professionale
del destinatario.
Il
commercio elettronico, per la sua specifica connotazione transnazionale, è
naturalmente proiettato a oltrepassare i confini dei singoli Stati ponendo dei
problemi innanzitutto sulla localizzazione fiscale dell’impresa.
Se
il dichiarante effettua transazioni per via elettronica, nell’ambito della
commercializzazione di beni e servizi è necessario che indichi al momento dell’inizio
dell’attività l’indirizzo del proprio sito web, specificando se si tratta di
sito proprio o di terzi. È, inoltre, richiesta l’indicazione del soggetto che
fornisce accesso e spazio sulla rete internet (Internet Service Provider).
I requisiti per la sussistenza della stabile organizzazione
Nell’ambito
del commercio elettronico, una verifica prioritaria va effettuata con
riferimento alla possibilità che un sito internet o un server costituiscano una
stabile organizzazione.
La
rilevanza di tale verifica può essere apprezzata se si pensa che dalle
conclusioni cui essa giunge derivino significative conseguenze fiscali quali,
ad esempio, la possibilità da parte di Paesi esteri di imporre il proprio
potere d’imperio sui redditi generati dall’attività esercitata tramite internet
ovvero l’applicabilità della complessa normativa sui prezzi di trasferimento
tra le diverse sedi localizzate in differenti Stati.
In
assenza di una disciplina fiscale specifica dettata per il commercio
elettronico, il problema che si pone è quello connesso all’applicazione della
normativa tradizionale in tema di stabile organizzazione a un settore che fonda
le proprie peculiarità sull’utilizzo di strumenti informatici.
In
particolare, quando l’utilizzo di internet nelle forme indicate determina la
presenza di “una sede fissa d’affari in cui l’impresa esercita in tutto o in
parte la sua attività”.
Il
commentario OCSE all’art. 5 precisa che, per sede d’affari, si deve intendere
la presenza sul territorio di luoghi, attrezzature o installazioni usati per lo
svolgimento dell’attività d’impresa, anche se non utilizzati esclusivamente a
tale scopo. Inoltre, tale sede deve essere stabilita con carattere di
permanenza. L’articolo in commento è strutturato in maniera da elencare, per un
verso, una serie di situazioni in cui è ravvisabile la presenza di una stabile
organizzazione, sebbene tale elenco non abbia alcuna pretesa di tassatività o
esaustività, e da individuare, per altro verso, talune eccezioni per cui anche
in presenza di una delle situazioni specifiche che configurano ordinariamente
l’esistenza di una sede di affari fissa non si può parlare di stabile
organizzazione, giacché trattasi di attività preparatorie o ausiliarie
all’attività d’impresa che non costituiscono un collegamento territoriale tale
da consentire l’applicazione del potere d’imperio dello Stato in cui essa è
situata.
Le
peculiarità proprie del commercio elettronico pongono, al riguardo, numerosi
problemi in fase di applicazione della disciplina prevista in dall’art. 5 del
modello OCSE.
Si
pensi ad esempio all’apertura di un sito web presso un Internet Service
Provider; tale operazione consente di accedere attraverso un software a dei
dati che sono memorizzati nel server del Provider.
E’
di tutta evidenza che il sito web non rappresenta un bene materiale, quindi non
può essere considerato una sede fissa d’affari dato che non costituisce un
locale di svolgimento dell’attività.
A
differenti conclusioni bisogna pervenire nell’ipotesi dell’apertura di un
server in un altro Stato. La presenza fisica del server, quindi di
un’attrezzatura situata in un altro Paese in maniera permanente, porta a
ritenere che tale operazione configuri la presenza di una stabile
organizzazione in tale Paese.
Peraltro,
è necessario altresì che l’attività svolta dal server non sia diretta
semplicemente a pubblicizzare il prodotto ovvero a contattare il cliente. In
tal caso, troverebbero applicazione le eccezioni previste dal più volte citato
art. 5 in
tema di operazioni meramente preparatorie all’attività d’impresa.
L’art.
162 del D.P.R. n. 917/1986 introduce nel nostro ordinamento la nozione di
stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP. La
disposizione è modellata sulla definizione contenuta nell’art. 5 del modello
OCSE.
Esso
si discosta dall’art. 5 del modello OCSE laddove dispone, al comma 5, che non
costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi
titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano
la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita
di beni e servizi.
Di
conseguenza, la semplice disponibilità nel territorio dello Stato di un server
che consenta la raccolta e la trasmissione di dati e informazioni finalizzati
alla vendita di beni e servizi non configura, di per sé, stabile
organizzazione.
Il
legislatore delegato ha dunque recepito nell’art. 162 del TUIR, le novità in
materia di commercio elettronico introdotte nel Commentario al modello OCSE,
nella versione pubblicata il 28.1.2003 dal Committee on Fiscal Affaires2.
L’articolato
proposto dal legislatore supera – limitatamente alla raccolta ed alla
trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi
– tutte le questioni dibattute in ambito OCSE e confluite nel Commentario
all’art. 5. Non viene, infatti, operata alcuna distinzione tra sito web e
server, né in alcun modo viene valutata la rilevanza del personale necessario
per il funzionamento dell’impianto; non vengono, infine, analizzati i possibili
rapporti contrattuali tra l’impresa non residente e gli operatori nazionali
(Internet Service Provider) che gestiscono i server.
Configura,
pertanto, stabile organizzazione in Italia3 l’utilizzo di un server installato
per un tempo indefinito in Italia, qualora:
•
attraverso l’apparecchiatura (rilevante come bene strumentale) il soggetto
estero svolga la propria attività commerciale (commercializzazione dei
beni-merce dell’azienda);
•
l’apparecchiatura sia interamente gestita, quanto ad operatività e
manutenzione,
dal soggetto non residente e non dal provider italiano, che si limita a
“ospitarla” presso i locali di proprietà.
Nel
caso di specie, il soggetto non residente svolgeva un’attività di commercio
elettronico diretto, caratterizzato dalla fornitura di beni o servizi
scaricabili (download) direttamente dall’elaboratore (esempio: fotografie,
brani musicali, software). Tutte le fasi del contratto, compresa quella
dell’acquisizione del prodotto e del pagamento, erano realizzate per via
telematica.
Ai
sensi dell’art. 169 del D.P.R. n. 917/1986, la nuova definizione dell’art. 162
troverà applicazione solo qualora manchi un Trattato bilaterale contro le
doppie imposizioni stipulato dall’Italia, ovvero quando la norma italiana sia
più favorevole dell’accordo internazionale.
Il regime Iva del commercio elettronico
Sotto
il profilo delle imposte indirette, si pongono taluni problemi in ordine
all’applicazione della disciplina Iva con riferimento alle operazioni che
vengono compiute direttamente attraverso l’utilizzo della rete Internet.
Le
prestazioni di servizi fornite mediate la rete presentano particolari
complessità soprattutto per quanto attiene il luogo d’imposizione
dell’operazione. Le prestazioni di commercio elettronico diretto si considerano
effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese (artt. 7-ter; 7-sexies;
7-septies del DPR 633/1972):
-
a un committente soggetto passivo stabilito in Italia, indipendentemente dalla
residenza del prestatore;
-
da un prestatore stabilito fuori dalla UE a un committente privato residente o
domiciliato in Italia;
-
da un prestatore stabilito in Italia a un committente privato residente o
domiciliato nella UE. Sono irrilevanti le prestazioni rese nei confronti di
committenti privati residenti o domiciliati fuori dalla UE.
In
particolare, ci si riferisce al cosiddetto commercio elettronico diretto nel
quale la cessione di beni e la prestazione di servizi hanno ad oggetto beni
immateriali che vengono trasmessi direttamente per via telematica.
Peraltro,
il cosiddetto commercio elettronico indiretto, inteso come utilizzo della rete
informatica per la mera ordinazione on-line di beni materiali che verranno in
seguito consegnati con i metodi tradizionali, non pone particolari ostacoli
all’applicazione della disciplina Iva.
Ebbene,
attesa la rilevanza che la normativa Iva attribuisce alla distinzione tra
cessione di beni e prestazioni di servizi, sia la Commissione europea sia il
Ministero delle Finanze hanno precisato che le operazioni rientranti nel
cosiddetto commercio elettronico diretto costituiscono sempre e comunque
prestazioni di servizi4.
Ciò
posto, ne deriva che ai fini dell’individuazione del momento di effettuazione
dell’operazione, rileva il momento del pagamento del corrispettivo, mentre ai
fini della territorialità dell’imposizione va indagata la natura della
prestazione.
Infatti,
l’individuazione della natura della prestazione risulta determinante per
verificare il collegamento territoriale della stessa qualora la prestazione sia
resa o ricevuta da un soggetto comunitario o extracomunitario ovvero
allorquando la prestazione sia resa direttamente da un operatore italiano a un
altro soggetto residente in Italia, ma la medesima sia utilizzata fuori dalla
Ue.
L’individuazione
della natura della prestazione consente, in definitiva, di inquadrare la
fattispecie nelle previsioni di cui all’art. 7 e ss. del D.P.R. n. 633/72 e di
verificare se la stessa presenti il requisito di territorialità richiesto per
l’applicazione dell’Iva. Sul punto, per effetto delle novità introdotte dal
D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, di recepimento della Direttiva 12 febbraio
2008, n. 2008/8/CE, la disciplina territoriale è mutata, con effetto dal 1°
gennaio 2010.
Servizi di e-commerce resi dal prestatore italiano
Le
prestazioni di e-commerce rese dal prestatore italiano sono territorialmente
rilevanti in Italia se rese a un committente italiano (soggetto passivo o
meno), ovvero a un committente stabilito in altro Paese membro, purché
“privato”. Se, invece, il committente è extracomunitario, le prestazioni in oggetto
sono sempre escluse da IVA in Italia.
Servizi di e-commerce resi dal prestatore stabilito in altro Paese UE
Per
effetto delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 18/2010, le prestazioni di e-
commerce rese dal prestatore stabilito in altro Paese membro sono
territorialmente rilevanti in Italia solo se il committente italiano è un
soggetto passivo che agisce in quanto tale.
Servizi di e-commerce resi dal prestatore extra-UE
Riguardo
alle prestazioni di e-commerce rese dal prestatore extra-comunitario, la territorialità
non è cambiata. Esse sono, infatti, rilevanti ai fini IVA in Italia se rese nei
confronti di committenti italiani, soggetti passivi o “privati”. Mentre nel
primo caso (committente soggetto passivo), spetta al committente assoggettare a
imposta l’operazione attraverso la c.d. “autofatturazione”, nel secondo caso
(committente “privato”), si applica la normativa di cui all’art. 74-quinquies)
del D.P.R. n. 633/1972.
Esso
disciplina il cosiddetto “regime speciale” previsto per i soggetti extracomunitari
che si trovano a dover assolvere l’IVA in Italia sulle operazioni compiute
mediate internet a favore di consumatori finali, domiciliati o residenti in
Italia o in altro Stato membro.
Per
i servizi di commercio elettronico il luogo di tassazione, che si determina in
riferimento al luogo di consumo del bene che, in linea di massima, coincide con
il domicilio del committente. In virtù del regime speciale di tassazione i
prestatori extracomunitari, che realizzano servizi nei confronti di committenti
privati nazionali, potranno fatturare le transazioni verso i consumatori
finali, assumendo una posizione Iva in uno qualunque degli Stati membri della
Comunità europea. Ciò applicando, per ogni transazione, l’aliquota standard
prevista dallo Stato di domicilio del committente.
In
alternativa tali soggetti extracomunitari possono avvalersi del regime
ordinario o possono nominare un rappresentante fiscale in Italia.
L’identificazione deve avvenire prima di effettuare le prestazioni di servizio
mediante l’invio di un modello al Centro operativo di Pescara – Agenzia delle
Entrate.
Tali
soggetti extracomunitari sono esonerati dagli obblighi di fatturazione,
registrazione, liquidazione e dichiarazione annuale, ma devono presentare una
dichiarazione trimestrale e versare l’IVA dovuta.
Non
è ammessa la detrazione dell’IVA che può, però, essere chiesta a rimborso. Per
il commercio elettronico indiretto, le vendite sono soggette a un particolare
regime di individuazione del luogo di tassazione che può variare dallo Stato membro
di origine dei beni a quello di destinazione. La normativa di riferimento è
rinvenibile nell’art. 40, commi 3 e 4 del d.l. 331/1993 se le vendite a
distanza comportano un acquisto da uno Stato membro e dall’art. 41, comma 1
sempre del d.l. 331/1993 per le vendite dall’Italia. Pertanto, in deroga
all’articolo 7-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, si considerano
effettuate nel territorio dello Stato le cessioni in base a cataloghi, per
corrispondenza e simili, di beni spediti o trasportati nel territorio dello
Stato dal cedente o per suo conto da altro Stato membro nei confronti di
persone fisiche non soggetti d’imposta ovvero di cessionari che non hanno
optato per l’applicazione dell’imposta sugli acquisti intracomunitari ai sensi
dell’art. 38, comma 6, ma con esclusione in tal caso delle cessioni di prodotti
soggetti ad accisa. I beni ceduti, ma importati dal cedente in altro Stato
membro, si considerano spediti o trasportati dal territorio di tale ultimo
Stato.
Le
disposizioni precedenti non si applicano:
a)
alle cessioni di mezzi di trasporto nuovi e a quelle di beni da installare,
montare o assiemare ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 1, del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b)
alle cessioni di beni, diversi da quelli soggetti ad accisa, effettuate nel
territorio dello Stato, fino a un ammontare nel corso dell’anno solare non
superiore a 35.000 euro e sempreché tale limite non sia stato superato
nell’anno precedente. La disposizione non opera per le cessioni di cui al comma
3 effettuate da parte di soggetti passivi in altro Stato membro che hanno ivi
optato per l’applicazione dell’imposta nel territorio dello Stato.
In
tal caso, il fornitore extra-comunitario è tenuto ad assoggettare a Iva i
servizi resi tramite mezzi elettronici applicando l’aliquota vigente nel Paese
membro in cui il consumatore finale risulta stabilito.
Particolari
problemi si pongono nelle operazioni di vendita realizzate mediante internet
con riguardo alla loro certificazione. In questo contesto, occorre distinguere
tra: commercio elettronico diretto e indiretto.
Nel
primo caso, tutte le procedure dell’operazione di commercio elettronico, dalla
richiesta del bene al trasferimento presso il consumatore, al pagamento, sono
effettuate on-line.
Nel
commercio elettronico diretto le operazioni sono considerate, ai fini Iva, come
prestazioni di servizi, sia che si tratti di prestazioni di servizi che di
cessione di beni virtuali5. Ai fini IVA, quindi, il cosiddetto commercio
elettronico diretto6 viene considerato una prestazione di servizi, per cui ai
sensi dell’art. 6 del d.P.R. 633/1972 il momento rilevante ai fini di tale
imposta si ha con il pagamento della transazione.
L’operazione
di importazione di software mediante commercio elettronico diretto (on-line)
costituisce prestazione di servizio, indipendentemente dal fatto che esso sia
pacchettizzato o personalizzato, ai sensi dell’art. 7-ter del decreto IVA il
quale stabilisce che la prestazione rileva nello Stato del committente se
soggetto passivo.
In
questo caso, la prestazione viene considerata eseguita in Italia ed è
irrilevante il luogo di effettivo utilizzo del software che può essere Italia,
UE, extra UE.
Il
committente italiano è tenuto a emettere autofattura ai sensi dell’art. 17
comma 2 del DPR 633/72 anche se il soggetto estero abbia nominato in Italia un
proprio rappresentante fiscale o si sia qui identificato direttamente.
L’autofattura è da annotare nel registro delle vendite e in quello degli
acquisti. Mancando un supporto fisico non esiste alcun problema di dazi.
Il
commercio elettronico indiretto, invece, che si ha quando la cessione
avviene in via telematica, ma la consegna avviene fisicamente, è considerato
una cessione vera e propria ed è assimilato alle vendite per corrispondenza con
conseguente esonero dall’obbligo di fatturazione e certificazione.
Nel
secondo caso (commercio elettronico indiretto) gli ordini e il pagamento sono
effettuati on-line, mentre la consegna del bene al cliente viene effettuata
secondo una modalità tradizionale, come ad esempio nel caso di acquisto di un
software on line su compact disc recapitato per posta. Nel commercio
elettronico indiretto le operazioni sono considerate, ai fini Iva, come una
normale cessione di beni a distanza o per corrispondenza e occorre mantenere
comportamenti differenti a seconda che si tratti di cessioni effettuate in
Italia, cessioni intracomunitarie o esportazioni.
Nel
primo caso, in base all’ art. 2 del D.P.R. 696/1996 non è obbligatoria
l’emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, né l’emissione della
fattura, a meno che non venga richiesta dall’acquirente al momento
dell’effettuazione dell’operazione. Resta invece l’obbligo di annotazione sul
registro dei corrispettivi dell’ammontare globale delle vendite effettuate in ciascun
giorno.
Nel
secondo caso, le cessioni sono soggette a Iva in Italia se i cessionari non
sono tenuti all’applicazione dell’Iva sugli acquisti intracomunitari (es.
soggetti privati) e le vendite in ciascuno Stato membro non hanno superato
nell’anno precedente e non superano in quello in corso l’importo di 100.000,00
Euro o il minore ammontare previsto da ciascuno Stato membro ( art. 41, comma
1, D.L.
331/1993).
Ad ogni modo, il cedente può optare per l’applicazione dell’Iva nell’altro
Stato membro anche se non ha superato il limite quantitativo indicato. Nel
terzo caso, l’operazione è non imponibile ai fini Iva e devono essere
rispettate le regole sulla documentazione che deve accompagnare la spedizione
dei beni all’estero.
L’operazione
di importazione di un software via Internet mediante commercio elettronico
indiretto (off-line), ma con successiva spedizione del supporto fisico
contenente i dati e le funzioni non costituisce più prestazione di servizi,
bensì costituisce una normale importazione. Si tenga presente che anche quando
il software viene ricevuto tramite posta, l’acquirente è tenuto al pagamento
dell’IVA recandosi in dogana.
Fatturazione dei servizi di e-commerce
Per
i servizi di e-commerce, di cui all’Allegato II della Dir. 28 novembre 2006, n.
2006/112/CE, è obbligatoria la documentazione delle operazioni attraverso
l’emissione della fattura, nel momento di effettuazione dell’operazione che, in
linea generale, coincide con il pagamento del corrispettivo.
La
fatturazione è obbligatoria, in quanto le operazioni in oggetto non rientrano:
‒
né tra le ipotesi di esonero previste dalla normativa Iva;
‒
né tra le ipotesi in cui l’art. 22 del D.P.R. n. 633/1972 prevede il rilascio
dello scontrino o della ricevuta fiscale, in luogo dell’emissione della fattura.
A
conferma di quanto sopra, si osserva che per le operazioni il cui corrispettivo
viene pagato on line tramite carta di credito, l’art. 101 della L. 21 novembre
2000, n. 342 prevede l’emanazione di appositi regolamenti al fine di
semplificare gli adempimenti contabili e formali.
Tra
questi ultimi sono compresi quelli relativi all’effettuazione di operazioni
riconducibili al commercio elettronico aventi a oggetto beni/servizi regolati
con l’intervento di intermediari finanziari abilitati. Per essi, in
particolare, è possibile prevedere la non obbligatorietà dell’emissione della
fattura in presenza di idonea documentazione.
Allo
stato attuale sussiste, pertanto, l’obbligo di emissione della fattura per la
certificazione dei corrispettivi relativi alle operazioni di e-commerce, anche
se incassati tramite intermediari finanziari (es., i gestori delle carte di
credito
utilizzate
dagli acquirenti dei servizi prestati dalla e-commerce company)8.
Sotto
il profilo contabile, la commercializzazione dei servizi on line non pone
particolari problemi sia per quanto attiene la liquidazione della prestazione
che il suo regolamento, dando luogo alle medesime registrazioni di una normale
prestazione di servizi.
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