Presupposti del fallimento: requisiti dimensionali.
Di cosa si tratta
Dopo l’entrata in
vigore della riforma fallimentare (D.Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006),
abbiamo cercato di individuare i nuovi presupposti per la dichiarazione
di fallimento (Cfr.: I presupposti del fallimento.), ma sono stati subito mutati dal successivo provvedimento D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. correttivo).
Vediamo le nuove norme che hanno rilievo,
iniziando dall’art. 1, intitolato “Imprese soggette al fallimento e al
concordato preventivo”:
“Sono soggetti alle disposizioni sul
fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano
una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul
fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo
comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi
antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o
dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale
di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo
risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza
di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi
lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro
duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c)
del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto
del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni
degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed
impiegati intervenute nel periodo di riferimento".
La dizione della norma (1° comma) porta
ad escludere dal fallimento chi non esercita attività commerciale e gli
enti pubblici; sono quindi esclusi gli imprenditori agricoli e
l’insolvente civile (il professionista).
Passando al dato quantitativo
dell’individuazione dell’area dei soggetti che possono fallire, sono
esclusi quei soggetti per i quali non ricorrano i tre requisiti
quantitativi congiuntamente.
Il primo requisito è l’attivo
patrimoniale; per i soggetti tenuti al bilancio, sarebbe l’attivo
rilevato dallo stato patrimoniale per l’ultimo periodo e cioé relativo
agli ultimi tre esercizi. Il superamento anche per un solo anno
comporterebbe l’esistenza del requisito per fallire e la soluzione forse
non è così condivisibile, mentre sarebbe stato meglio considerare il
risultato complessivo rapportato ad anno. Essendo i concetti di
“esercizio” e “attivo patrimoniale” precisi e consolidati nelle scienze
aziendalistiche, il punto non dovrebbe essere oggetto di dubbi.
Per la Relazione ministeriale al decreto
correttivo “.. il parametro alquanto vago e di incerta definizione
dell’ammontare degli ‘investimenti’ viene sostituito con quello del
‘attivo patrimoniale’, il quale consente di fare riferimento alla
precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 del codice civile..”.
Quindi l’attivo patrimoniale va cercato nella norma richiamata ed è costituito dalla somma:
A – Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (sono i decimi di capitale sociale sottoscritti): sono valori abbastanza attuali, che dipendono da operazioni sul capitale);
B – Immobilizzazioni, divise in materiali, immateriali e finanziarie (tendenzialmente sono valori storici, in quanto il criterio storico, costo di acquisto, è quello di valutazione ammesso dalla norma civile (da n. 1 a n. 6 e n. 12 dell’art. 2426 c.c.); sono valori attuali quando derivano da investimenti recenti o nel caso di avere fatto ricorso a rivalutazioni monetarie operate in virtù di una legge che lo consentisse. Il valore di bilancio delle immobilizzazioni deve essere esposto al netto delle quote di ammortamento e, in taluni casi, il valore di bilancio può non corrispondere all’effettivo valore dei beni presenti in azienda come nel caso di beni ammortizzati ma ancora funzionanti. Il valore delle immobilizzazioni può esporre importi inferiori rispetto ai valori correnti delle stesse immobilizzazioni, in particolare quando si abbiano valori di natura “immobiliare”;
C – Capitale circolante, costituito da giacenze di magazzino, crediti, attività finanziarie non immobilizzate e disponibilità finanziarie, le rimanenze di magazzino (nn. 9 e 10 dell’art. 2426 cod. civ.) e le attività finanziarie non immobilizzate (n. 9 dell’art. 2426 cod. civ.) vanno valutate con il criterio del costo di acquisto che, stante la maggiore rotazione rispetto alle precedenti immobilizzazioni, presenta valori correnti o comunque più attuali rispetto a quelli attribuiti alle immobilizzazioni; i crediti devono essere iscritti al valore di presumibile realizzo (n. 8 dell’art. 2426 cod, civ) e presentano valori attuali, talvolta sopravvalutati se inseriti al valore nominale senza alcuna, o una minima svalutazione;
D – Ratei attivi, posta che può essere ricompresa nel capitale circolante quando sia di esigua entità (espongono valori attuali, trattandosi di crediti sorti in conseguenza di operazioni a ponte dell’ultimo esercizio).
A – Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (sono i decimi di capitale sociale sottoscritti): sono valori abbastanza attuali, che dipendono da operazioni sul capitale);
B – Immobilizzazioni, divise in materiali, immateriali e finanziarie (tendenzialmente sono valori storici, in quanto il criterio storico, costo di acquisto, è quello di valutazione ammesso dalla norma civile (da n. 1 a n. 6 e n. 12 dell’art. 2426 c.c.); sono valori attuali quando derivano da investimenti recenti o nel caso di avere fatto ricorso a rivalutazioni monetarie operate in virtù di una legge che lo consentisse. Il valore di bilancio delle immobilizzazioni deve essere esposto al netto delle quote di ammortamento e, in taluni casi, il valore di bilancio può non corrispondere all’effettivo valore dei beni presenti in azienda come nel caso di beni ammortizzati ma ancora funzionanti. Il valore delle immobilizzazioni può esporre importi inferiori rispetto ai valori correnti delle stesse immobilizzazioni, in particolare quando si abbiano valori di natura “immobiliare”;
C – Capitale circolante, costituito da giacenze di magazzino, crediti, attività finanziarie non immobilizzate e disponibilità finanziarie, le rimanenze di magazzino (nn. 9 e 10 dell’art. 2426 cod. civ.) e le attività finanziarie non immobilizzate (n. 9 dell’art. 2426 cod. civ.) vanno valutate con il criterio del costo di acquisto che, stante la maggiore rotazione rispetto alle precedenti immobilizzazioni, presenta valori correnti o comunque più attuali rispetto a quelli attribuiti alle immobilizzazioni; i crediti devono essere iscritti al valore di presumibile realizzo (n. 8 dell’art. 2426 cod, civ) e presentano valori attuali, talvolta sopravvalutati se inseriti al valore nominale senza alcuna, o una minima svalutazione;
D – Ratei attivi, posta che può essere ricompresa nel capitale circolante quando sia di esigua entità (espongono valori attuali, trattandosi di crediti sorti in conseguenza di operazioni a ponte dell’ultimo esercizio).
Il secondo requisito attiene ai ricavi
lordi, che non sono più calcolati sulla media degli ultimi tre anni, ma
realizzati “nei tre esercizi antecedenti”, e sarebbero tutti quei
componenti di reddito che scaturiscono dall’attività ordinaria
dell’impresa. Si può fare riferimento alle voci A1 (ricavi delle vendite
e delle prestazioni) e A5 (altri ricavi e proventi, con separata
indicazione dei contributi in conto esercizio) del conto economico
all’art. 2425 cod. civ..
Per questo parametro non si pone il
problema dell’epoca di valorizzazione in quanto i ricavi sono
rappresentati da valori correnti. La documentazione probatoria del
parametro è sostanzialmente identica a quella indicata per la
determinazione dell’attivo patrimoniale, anche se alcune parti assumono
rilevanza, come il conto economico nell’ambito del bilancio d’esercizio,
il conto dei profitti e delle perdite nell’ambito dell’inventario di
cui all’art. 2217 cod. civ. ed i quadri relativi al reddito d’impresa ed
alla determinazione dell’imponibile IRAP nell’ambito delle
dichiarazioni fiscali annuali.
Trattandosi di “ricavi” è escluso ogni
compenso che non sia corrispettivo di attività propria dell’impresa
(l’art. 2425 bis cod. civ. distingue tra ricavi e proventi), e cioè non
ricomprende proventi di altra natura o proventi straordinari; essendo
ricavi “realizzati” l’espressione implica che devono essere assunti nel
loro valore di competenza d’esercizio, indipendentemente dalla
manifestazioni di cassa (altrimenti parleremmo di ricavi incassati);
indicati “lordi” i “ricavi realizzati” devono essere assunti “al lordo
dei costi sostenuti ad essi correlati” (costi compresi nella sezione “B –
Costi della produzione”).
Il terzo parametro relativo ai debiti,
anche non scaduti, non ha un riferimento temporale e crediamo che ci si
debba riferire al momento della presentazione dell’istanza di
fallimento.
Per non fallire quindi è necessario
collocarsi sotto a tutti e tre i parametri, potendo aprirsi il
fallimento anche nel caso che solo uno di essi sia stato superato.
Non va però dimenticato che alla
dichiarazione di fallimento non si perviene quando l’ammontare dei
debiti scaduti accertati in sede di istruttoria prefallimentare sia
inferiore a euro 30.000,00 (art. 15 L.Fall.); quindi se anche
l’ammontare dei debiti complessivo fosse superiore al limite
quantitativo richiamato, la mancanza di debiti scaduti sopra la soglia
indicata impedirebbe il fallimento.
I tre requisiti dimensionali: “attivo
patrimoniale”, “ricavi lordi” e “debiti anche non scaduti” saranno poi
per il terzo comma dell’art. 1 L. Fall. oggetto di revisione triennale
ad opera del Ministro della giustizia.
La comunicazione del 4 dicembre 2007 del
Tribunale di Milano precisa dove individuare i tre elementi quantitativi
per i soggetti che non siano società di capitali, che sono per le
società di persone il dato dei ricavi che si rileva dalla riga RF76 del
Quadro RF se in contabilità ordinaria e dal Rigo RG2 del Quadro RG se in
contabilità semplificata; per gli imprenditori individuali il dato dei
ricavi si rileva dalla Riga RF75 se in contabilità ordinaria e dal Rigo
RG2 del Quadro RG se in contabilità semplificata. Per le società di
persone in contabilità ordinaria il dato dell’attivo patrimoniale si
rileva dalla Riga RF66 del Quadro RF e per gli imprenditori individuali
il dato si rileva dalla Riga RF65 del Quadro RF. Per le società di
persone in contabilità ordinaria il dato dei debiti si rileva sommando i
valori delle righe RF69 e RF 73 del Quadro RF e per gli imprenditori
individuali il dato si rileva sommando i valori delle righe RF68 e RF72
del Quadro RF.
Per una breve rassegna giurisprudenziale sui requisiti per fallire si veda nel sito: “
a
cura di Avv. Donato B. Quagliarella
skype: d.quagliarella
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