Cosa
succede a un commercialista che non riesce a provare il conferimento
dell’incarico e il suo espletamento? La parcella è sufficiente per
ottenere il decreto ingiuntivo ma, da sola, basta nel giudizio di
opposizione?
Ho già trattato l’argomento dei crediti professionali, sia all’interno di questo blog sia in uno specifico Corso Online, ma non potevo lasciarmi sfuggire la sentenza 2471/13 della Corte di Cassazione pubblicata lo scorso 1 febbraio per offrire un utile/ulteriore approfondimento anche per chi approda a questo tema per la prima volta.
Analizziamo il caso.
Sei mila euro è la cifra che un commercialista otteneva dal tribunale di Salerno per un decreto ingiuntivo su un cliente cui aveva fornito prestazioni professionali per consulenza contabile.
Il titolare dell’azienda debitrice, però, si opponeva a detto decreto, disconoscendo ogni rapporto con il professionista. A suo dire, l’azienda era stata assistita da un collaboratore del commercialista, al quale aveva anche consegnato due assegni a titolo di onorario per l’attività svolta.
Il commercialista, a questo punto, costituitosi nel giudizio di merito conseguente all’opposizione, deduce l’infondatezza degli assunti avversari, sostenendo che il rapporto professionale era in realtà intercorso con lo studio, di cui lui era dominus. Inizia così lo scontro!
1° Round
Il primo grado di giudizio si conclude a favore del professionista. Nulla da eccepire per i giudici chiamati a diramare la controversia.
2° Round
Il secondo grado di giudizio invece dà ragione al cliente.
Secondo la Corte d’appello, la prova della sussistenza del credito può essere fornita dal professionista che chiede il compenso per le sue prestazioni in sede di richiesta di decreto ingiuntivo con la produzione della parcella e del relativo parere dell’Ordine professionale competente.
La stessa documentazione non è però sufficiente nel giudizio di opposizione, che si svolge secondo le regole ordinarie del giudizio di cognizione.
Nel caso di specie, a fronte delle specifiche contestazioni del cliente, il professionista non è stato in grado di fornire nè la prova del conferimento dell’incarico, né la prova dell’effettivo espletamento dello stesso, né del contenuto della contabilità, né tantomeno del compenso convenuto con il cliente.
Match finale
Avverso la decisione della Corte d’appello il professionista propone ricorso in Cassazione. Senza successo però! La sconfitta è netta.
I giudici della Suprema Corte hanno dichiarato il gravame infondato, avendo il giudice di secondo grado adeguatamente motivato il proprio convincimento con l’affermazione che l’opposto non aveva soddisfatto l’onere su di lui gravante di provare il conferimento dell’incarico, l’effettivo espletamento dello stesso e la determinazione del compenso, considerando inoltre che il contenuto dell’interrogatorio formale dell’opposto sulla asserita cooperazione con il collaboratore era irrilevante ai fini probatori.
In conclusione, se il cliente si oppone al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, si instaura un giudizio a cognizione piena, con inversione dell’onere della prova in capo al creditore, al quale spetta dimostrare sia il conferimento dell’incarico che l’espletamento dello stesso.
Il rigetto del ricorso determina la condanna del commercialista alle spese, liquidate dalla Seconda Sezione Civile in euro 2.200.
Al di là della specificità del caso qui esposto, sintomatico è il messaggio che desidero che arrivi dalla lettura di questo articolo: provare sempre il conferimento dell’incarico ed il suo espletamento. Il non farlo (o farlo prestando poca attenzione) potrebbe costare caro.
Ho già trattato l’argomento dei crediti professionali, sia all’interno di questo blog sia in uno specifico Corso Online, ma non potevo lasciarmi sfuggire la sentenza 2471/13 della Corte di Cassazione pubblicata lo scorso 1 febbraio per offrire un utile/ulteriore approfondimento anche per chi approda a questo tema per la prima volta.
Analizziamo il caso.
Sei mila euro è la cifra che un commercialista otteneva dal tribunale di Salerno per un decreto ingiuntivo su un cliente cui aveva fornito prestazioni professionali per consulenza contabile.
Il titolare dell’azienda debitrice, però, si opponeva a detto decreto, disconoscendo ogni rapporto con il professionista. A suo dire, l’azienda era stata assistita da un collaboratore del commercialista, al quale aveva anche consegnato due assegni a titolo di onorario per l’attività svolta.
Il commercialista, a questo punto, costituitosi nel giudizio di merito conseguente all’opposizione, deduce l’infondatezza degli assunti avversari, sostenendo che il rapporto professionale era in realtà intercorso con lo studio, di cui lui era dominus. Inizia così lo scontro!
1° Round
Il primo grado di giudizio si conclude a favore del professionista. Nulla da eccepire per i giudici chiamati a diramare la controversia.
2° Round
Il secondo grado di giudizio invece dà ragione al cliente.
Secondo la Corte d’appello, la prova della sussistenza del credito può essere fornita dal professionista che chiede il compenso per le sue prestazioni in sede di richiesta di decreto ingiuntivo con la produzione della parcella e del relativo parere dell’Ordine professionale competente.
La stessa documentazione non è però sufficiente nel giudizio di opposizione, che si svolge secondo le regole ordinarie del giudizio di cognizione.
Nel caso di specie, a fronte delle specifiche contestazioni del cliente, il professionista non è stato in grado di fornire nè la prova del conferimento dell’incarico, né la prova dell’effettivo espletamento dello stesso, né del contenuto della contabilità, né tantomeno del compenso convenuto con il cliente.
Match finale
Avverso la decisione della Corte d’appello il professionista propone ricorso in Cassazione. Senza successo però! La sconfitta è netta.
I giudici della Suprema Corte hanno dichiarato il gravame infondato, avendo il giudice di secondo grado adeguatamente motivato il proprio convincimento con l’affermazione che l’opposto non aveva soddisfatto l’onere su di lui gravante di provare il conferimento dell’incarico, l’effettivo espletamento dello stesso e la determinazione del compenso, considerando inoltre che il contenuto dell’interrogatorio formale dell’opposto sulla asserita cooperazione con il collaboratore era irrilevante ai fini probatori.
In conclusione, se il cliente si oppone al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, si instaura un giudizio a cognizione piena, con inversione dell’onere della prova in capo al creditore, al quale spetta dimostrare sia il conferimento dell’incarico che l’espletamento dello stesso.
Il rigetto del ricorso determina la condanna del commercialista alle spese, liquidate dalla Seconda Sezione Civile in euro 2.200.
Al di là della specificità del caso qui esposto, sintomatico è il messaggio che desidero che arrivi dalla lettura di questo articolo: provare sempre il conferimento dell’incarico ed il suo espletamento. Il non farlo (o farlo prestando poca attenzione) potrebbe costare caro.
Nessun commento:
Posta un commento