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giovedì 7 febbraio 2013

Fallimento


Argomento: Fallimento

Aggiornato al 29/03/2012
CHE COS'È
Non tutti gli imprenditori possono essere sottoposti a fallimento.
La legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) stabilisce determinati requisiti di natura soggettiva e oggettiva in presenza dei quali un'impresa rientra nel campo di applicazione del fallimento.
Sotto il profilo soggettivo, sono fallibili solamente le imprese private, sia in forma individuale che in forma societaria, che esercitano un’attività commerciale.
Per individuare la nozione di impresa commerciale, dovrà farsi riferimento all'articolo 2195 codice civile, ove sono elencate le attività che qualificano un’impresa come tale:
  • produzione di beni o servizi; 
  • intermediazione nella circolazione dei beni; 
  • trasporto per terra, acqua, aria; 
  • banche e assicurazioni; 
  • attività ausiliarie delle precedenti. 
Sono pertanto escluse dalla disciplina del fallimento:
  • le imprese pubbliche; 
  • le imprese non commerciali, quali le imprese agricole. 
Sono esclusi dalla fallibilità anche i piccoli imprenditori, secondo la definizione che ne dà l’articolo 2083 codice civile: i coltivatori diretti, gli artigiani e tutti coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia.
La legge fallimentare, inoltre, stabilisce le seguenti soglie dimensionali la cui presenza congiunta consente ad un imprenditore di essere sottratto alla disciplina del fallimento, anche qualora eserciti un'attività commerciale:
  • l’impresa ha avuto, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall'inizio dell’attività se inferiore), un attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a euro 300.000;  
  • l’impresa ha realizzato, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall'inizio dell’attività se inferiore), ricavi lordi complessivi annui non superiori a euro 200.000;  
  • l’impresa ha un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a euro 500.000. 
Va tenuto ben presente che solo la presenza congiunta di tutti e tre i requisiti dimensionali appena elencati consente all'impresa di non essere assoggettabile a fallimento. Ne consegue che se, ad esempio, un‘impresa, pur avendo avuto negli ultimi tre esercizi un attivo patrimoniale complessivo pari a eiro 200.000 e ricavi lordi complessivi pari a euro 150.000, qualora dalle scritture contabili risultino debiti anche non scaduti superiori a euro 500.000, potrà essere – in astratto – dichiarata insolvente e sottoposta al fallimento.
Sotto il profilo oggettivo, un’impresa che presenta i requisiti soggettivi per essere potenzialmente dichiarata fallita, affinché venga aperta nei suoi confronti la procedura concorsuale di fallimento deve trovarsi in uno stato di insolvenza.
Lo stato di insolvenza, secondo la definizione che si ricava dall’articolo 5 della legge fallimentare, è quella situazione in cui l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni nei confronti dei creditori e che si manifesta con inadempimenti o con altri fatti esteriori. 
COME SI FA
L’accertamento della sussistenza dei requisiti di natura soggettiva per l'assoggettabilità a fallimento di un’impresa è un’operazione piuttosto agevole, se si escludono alcune figure che hanno dato luogo a dubbi o contrasti interpretativi (ad esempio consorzi, associazioni non riconosciute, fondazioni, agenti di commercio e mediatori).
Per quanto riguarda l’accertamento delle soglie dimensionali al di sotto delle quali è esclusa la fallibilità, l’articolo 1 della legge fallimentare stabilisce che incombe sull'imprenditore investito da un’istanza di fallimento dimostrare la sussistenza di tutti i tre requisiti (ammontare dell’attivo, dei ricavi lordi e dei debiti) che consentono di evitare di essere sottoposto a procedura concorsuale.
Ciò comporta che l’imprenditore che non riesca a dimostrare la sussistenza di tali requisiti dimensionali sarà comunque sottoposto a fallimento, qualora si tratti di un imprenditore commerciale.
Più problematico può invece presentarsi l’accertamento della sussistenza dello stato di insolvenza, il quale, in base alla norma, delle manifestarsi mediante inadempimenti o altri fattori esterni.
Se i criteri tipicamente sintomatici dello stati di insolvenza generalmente sono il sistematico inadempimento del debitore ai propri obblighi di pagamento, possono assumere rilevanza anche una significativa sproporzione tra attivo e passivo patrimoniale a vantaggio di quest’ultimo, la chiusura di rami d’azienda dell’imprenditore con conseguenti licenziamenti collettivi, atti evidentemente preordinati a sottrarsi al pagamento dei debiti quali lo spostamento sistematico della sede dell’impresa. In alcuni casi anche un solo inadempimento, se importante e qualificato, può rivelarsi indice di uno stato di insolvenza.
Viceversa può ritenersi che, pur in presenza di un cospicuo indebitamento, un’impresa non si trovi in stato di insolvenza qualora i creditori non abbiano compiuto alcun’azione volta ad assicurare il pagamento dei propri crediti.
Va infine ricordato che non può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore che, pur in presenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi, abbia debiti scaduti e non pagati complessivamente inferiori a euro 30.000,00.
CHI
L’accertamento della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l'assoggettabilità a fallimento di un imprenditore è compito spettante al Tribunale Fallimentare al quale viene sottoposta un’istanza di fallimento da parte di uno dei soggetti a ciò abilitati.
FAQ

Un imprenditore agricolo è sempre escluso dall'assoggettabilità a fallimento?

La legge assoggetta a fallimento solamente gli imprenditori commerciali, con esclusione, quindi degli imprenditori agricoli.
Va peraltro sottolineato che l'articolo 2135 codice civile definisce come imprenditore agricolo chi esercita non solo la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l'allevamento di animali, ma anche chi svolge attività ad esse connesse, quali quelle dirette alla "manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge".
Tali attività connesse alla coltivazione ed all'allevamento, pur in astratto assimilabili alle attività commerciali di cui all'articolo 2195 codice civile per la loro natura e per le caratteristiche mediante le quali possono essere esercitate, non sottraggono l'impresa alla qualificazione di impresa agricola, con conseguente esclusione del fallimento.



Ordine degli Avvocati di Padova

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