Le cessioni e le locazioni di
immobili abitativi e strumentali sono operazioni esenti da Iva, come
"regime naturale", salvo che il cedente o il locatore non scelga di
applicare l'Iva, con un'opzione espressa nell'atto di vendita (rogito
notarile) o nel contratto di locazione. Il decreto legge 83/2012 ha
ampliato i casi in cui è possibile applicare l'imponibilità Iva, su
opzione del cedente o del locatore. Per i fabbricati abitativi,
l'opzione è attribuita esclusivamente ai soggetti che hanno costruito o
ristrutturato l'immobile. Per i fabbricati strumentali, invece, è sempre
possibile applicare il regime Iva, indipendentemente da chi sono i
soggetti della compravendita o della locazione.
Gli affitti
Le locazioni di immobili abitativi sono esenti da Iva. Ma se il
locatore è l'impresa che ha costruito o ristrutturato l'immobile, a
prescindere dal tempo trascorso dall'ultimazione dell'intervento, può
applicare l'Iva sui canoni con aliquota del 10% (numero 127-duodevicies
della tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/72). L'imposta di
registro, in questo caso, è dovuta in misura fissa (67 euro). Le
locazioni di fabbricati strumentali sono generalmente esenti da Iva, ma
il locatore può sempre optare per l'applicazione dell'Iva.
Indipendentemente dal regime Iva (esenzione o imponibilità), i contratti
di locazione di fabbricati strumentali scontano l'imposta proporzionale
di registro (1%). La scelta di applicare l'Iva su opzione evita
l'onere di un'eventuale rettifica della detrazione, ma vi sono casi in
cui potrebbe essere conveniente mantenere il regime naturale di
esenzione. A esempio, se una società possiede esclusivamente immobili
acquistati o ristrutturati da più di 10 anni, o nel caso in cui la
locazione esente non comporti uno scostamento del pro rata superiore ai
10 punti percentuali rispetto al passato, soprattutto se l'immobile è
concesso in locazione a soggetti che non possono portare in detrazione
l'Iva addebitata sui canoni. In questo senso, è interessante notare come
la norma attuale abbia eliminato la disposizione che obbligava, nel
passato, ad applicare l'Iva sui canoni di locazione nei confronti dei
soggetti che non possono detrarre l'Iva o hanno un pro rata di
detraibilità, inferiore al 25 per cento. Le novità del Dl 83/2012 si
applicano anche per i contratti in corso: per i canoni pagati dopo il
26 giugno 2012, infatti, valgono le nuove regole. Da più parti è stata
segnalata l'opportunità di inviare una raccomandata con avviso di
ricevimento all'ufficio competente, così come previsto per casi analoghi
nel passato (risoluzione 2/E del 4 gennaio 2008). In assenza di una
norma transitoria, potrebbe essere opportuno fare questa comunicazione
solo in due circostanze: nel caso di passaggio dal regime di esenzione a
quello di imponibilità su opzione (ad esempio per gli immobili
abitativi locati da imprese che li hanno costruiti/ristrutturati) e,
eventualmente, nel caso in cui si passa da un regime di imponibilità Iva
per obbligo di legge a un regime di imponibilità su opzione (a esempio,
locazione di un immobile strumentale a una banca o a uno studio
medico). Nessuna comunicazione è dovuta, invece, per le locazioni di
fabbricati strumentali se è già stata espressa l'opzione in sede di
contratto e si vuole mantenere il regime Iva, o nel caso di passaggio
dal regime di imponibilità a quello di esenzione, essendo questo il
regime "naturale" per tutti i canoni di locazione pagati successivamente
alla data del 26 giugno 2012.
Preliminare e acconti
La novità del Dl 83/2012, per quanto concerne le vendite di
immobili, riguarda essenzialmente la possibilità di assoggettare a Iva i
trasferimenti di abitazioni anche dopo i cinque anni dall'ultimazione
della costruzione o della ristrutturazione. Lo spartiacque temporale
influisce sulle modalità di versamento dell'Iva: prima dei cinque anni,
la vendita è imponibile per obbligo di legge e l'Iva dev'essere esposta
in fattura. Dopo tale termine, è necessario esprimere l'opzione e trova
applicazione il "reverse charge", sempre che (naturalmente) l'acquirente
sia un soggetto Iva. Così come nella locazione, anche per le
vendite ci sono alcune ipotesi in cui il cedente potrebbe avere
interesse a mantenere il regime di esenzione. Per esempio, l'esenzione
conviene se cedente è un'impresa che non opera nel settore edile e,
conseguentemente, la vendita non influisce sul pro rata, perché estranea
all'oggetto dell'attività, e, quindi, la vendita potrebbe al limite
comportare solo la rettifica dell'Iva sulle spese specificamente
imputabili all'appartamento ceduto nei limiti dei decimi mancanti al
compimento del decennio (articolo 19 bis del Dpr 633 del 26 ottobre
1972). Si ritiene che l'opzione possa essere espressa già nel
contratto preliminare (il cosiddetto compromesso), per anticipare il
regime che si applicherà al momento del rogito, così come confermato
dallo studio del Notariato 102-2012/T (reperibile su www.notariato.it).
Nel caso in cui sia corrisposto un acconto, prima del preliminare, la
manifestazione dell'opzione potrebbe avvenire con l'emissione della
fattura, applicando i principi del «comportamento concludente». Questa
soluzione consentirebbe al cedente l'applicazione dell'Iva sugli
acconti fatturati (anche oltre i cinque anni) ed eviterebbe salti
d'imposta. Si consideri, per esempio, il caso in cui l'acquirente
corrisponda al costruttore uno o più acconti, magari di importo
rilevante, in assenza di preliminare: senza opzione, l'acconto sarebbe
esente da Iva e da registro, mentre, al momento del rogito, l'Iva si
applicherebbe solo sul saldo, come confermato dal Notariato nella nota
citata. Nel caso in cui, al momento del rogito, non dovesse essere
confermata l'opzione per il regime di imponibilità, il cedente potrebbe
emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26
del Dpr 633/72. Ciò detto, se, al momento dell'acconto, il termine di
cinque anni dall'ultimazione lavori non è ancora trascorso, la
manifestazione dell'opzione non è necessaria, perché in questi casi il
regime Iva è obbligatorio.
fonte:sole24ore
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