Sommario: 1. Premessa. - 2. L’autotula nel
diritto tributario - 3. La situazione giuridica soggettiva del contribuente
innanzi all’istituto dell’autotutela tributaria.
1.
Premessa
L’istituto
dell’autotutela consiste nella potestà che l’ordinamento riconosce alla
Pubblica Amministrazione di procedere all’annullamento o revoca totale o
parziale, riforma o rettifica di un provvedimento illegittimo precedentemente
adottato; tale potestà, in altre parole, al fine di garantire il rispetto dei
principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dei pubblici uffici di
cui agli artt.97 e 98 Cost. ed il perseguimento dell’interesse pubblico,
consente di evitare conflitti potenziali o di risolvere controversie in corso
con i soggetti destinatari di un atto di cui si ravvisi l’illegittimità,
l’annullamento del quale avviene senza l’intervento degli organi
giurisdizionali competenti eventualmente aditi.
2.
L’autotula nel diritto tributario
Nell’ambito del diritto
tributario, l’istituto dell’autotutela è stato disciplinato dapprima con
l’art.68 del D.P.R. 27.03.1992 nr.287, abrogato dall’art.23, comma 1 lett. m)
nr.7 del D.P.R. 26.03. 2001 nr.107, in virtù del quale, a tutela dei diritti
del contribuente e della trasparenza dell’azione amministrativa, gli Uffici dell’Amministrazione
Finanziaria possono procedere all’annulamento totale o parziale di
provvedimenti riconosciuti illegittimi o infondati con atto motivato da
notificare al contribuente. L’attuale normativa di riferimento è da inquadrare
nell’art.2 quater della Legge 30.11.1994 nr.656, di conversione del D.L.
30.09.1994 nr.564, e nel relativo regolamento di esecuzione adottato con il
D.M. 11.02.1997 nr.37. L’art.2 quater della Legge nr.656/1994 prevede
testualmente che “Con decreti del Ministro delle
finanze sono indicati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti
per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o
infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla
base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione.” Inoltre, la disposizione in esame prevede che nella
potestà di autotutela è ricompreso, altresì, il potere di disporre la
sospensione degli effetti dell’atto illegittimo oltre al fatto che l’istituto
di cui trattasi viene riconosciuto esperibile anche da parte degli enti locali
in riferimento ai tributi di rispettiva competenza.
Il regolamento di esecuzione di cui al D.M.
nr.37/1997 prevede, all’art.1, che l’organo competente ad esercitare il potere
di annullamento e di revoca o di rinuncia all'imposizione in caso di
autoaccertamento è riservato all'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o
infondato o, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale sovraordinata.
Il successivo art.2 delinea in maniera non esaustiva e tassativa le ipotesi di
annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di accertamento
disponendo che l’Amministrazione Finanziaria ha la potestà di annullare in
tutto o in parte, senza la necessità di una istanza di parte ed anche in
pendenza di giudizio o, altresì, in caso di non impugnabilità, quegli atti che
si ravvisano essere illegittimi poiché si è innanzi a: errore di persona;
evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto dell'imposta;
doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti di imposta,
regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione successivamente sanata, non
oltre i termini di decadenza; sussistenza dei requisiti per fruire di
deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; errore
materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione. Il
potere discrezionale di autotutela tributaria in analisi è limitato dallo
stesso legislatore attraverso l’ultimo comma dell’art.2 nella parte in cui
esclude il ricorso a tale istituto per quei motivi di diritto o di fatto
oggetto di sentenza passata in giudicato favorevole per l’Amministrazione
Finanziaria.
Nel caso in cui il provvedimento oggetto di autotutela sia
inerente ad imposte, sanzioni ed accessori per un importo pari o superiore a
516.456,90 Euro, l’esercizio di tale potestà da parte dell’Ufficio competente
ai sensi del già analizzato art.1 è subordinato al preventivo parere della
sovraordinata Direzione Regionale. L’ avvenuto ricorso a tale istituto deve
essere comunicato, oltre che all’organo giurisdizionale innanzi al quale sia
eventualmente pendente un ricorso avente ad oggetto il medesimo atto, anche al
contribuente e, in caso di annullamento disposto in sostituzione dalla
Direzione Regionale, all’Ufficio che ha emanato l’atto.
Dall’analisi
di numerosi studi posti in essere dalla dottrina in merito alla
qualificazione della situazione giuridica in cui versa il contribuente
innanzi all’istituto dell’autotutela tributaria, le posizioni risultano
essere discordanti in quanto, a coloro i quali affermano la sussistenza
in capo al cittadino della titolarietà di un diritto soggettivo[1],
si contrappongono i sostenitori di una tesi opposta in ragione della
quale trattasi della medesima posizione soggettiva alla quale consegue
la tutela che l’ordinamento giuridico accorda nei confronti di atti
discrezionali della Pubblica Amministrazione.[2]
In realtà, l’istituto dell’autotutela rappresenta una potestà
dell’Amministrazione rientrante nell’esercizio della c.d.
discrezionalità amministrativa[3],
in quanto tale potestà è riconosciuta e diretta nell’esclusivo
perseguimento dell’interesse pubblico, non rappresentando un ulteriore
grado di difesa del contribuente stesso. Quanto sopra, in ragione del
fatto che, come sottolineato dalla Circolare nr.198/S-2822-GCF-as del
5.08.1998 del Segretariato Generale- Ufficio per l’informazione
contribuente[4],
l’Ufficio ha il potere, ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto
viziato e, pertanto, il contribuente, a sua vola, non ha un diritto
soggettivo a che l’Ufficio eserciti tale potere. Ex pluribus, la Circolare n. 3/22993 del 16 novembre 1999 della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia[5]
afferma che non sussiste a favore del contribuente nessun interesse
pretensivo nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria affinchè la
stessa eserciti il potere di autotutela su istanza di parte.Alla luce delle considerazioni de quibus, a parere
dello scrivente, in linea di principio, non è possibile sostenere che il
contribuente sia titolare di un diritto soggettivo in merito al ricorso
all’istituto in analisi da parte dell’Ufficio competente ma, allo
stesso tempo, qualora l’Amministrazione Finanziaria, su istanza di
parte, attivi il procedimento di valutazione della legittimità
dell’atto, sussiste un interesse legittimo del contribuente al che
l’organo procedente, nell’adozione del provvedimento positivo o di
diniego dell’esercizio dell’autotutela, rispetti le disposizioni ed i
principi vigenti in materia. In altre parole, l’oggetto della presente analisi deve
necessariamente spostarsi su un diverso aspetto, inerente non tanto la
tipolgia di posizione soggettiva vantata dal contribuente, quanto se, in
virtù dei principi vigenti, l’Amministrazione Finanziaria, a seguito di
istanza formulata ai sensi dell’art.5 del D.M. nr.37/1997, è tenuta a
pronunciarsi tramite apposito provvedimento positivo.Come sottolineato in precedenza, l’istituto dell’autotutela
rientra nella c.d. discrezionalità amministrativa ed è stato previsto e
disciplinato per il perseguimento dell’esclusivo interesse pubblico e
non per la tutela specifici interessi di parte, non costituendo,
pertanto, un ulteriore strumento di difesa del contribuente.[6]
Di conseguenza, a seguito di istanza, il contribuente non è certamente
titolare di un pieno diritto ad ottenere in via di autotutela
l’annullamento o la revoca dell’atto ma, nel caso l’Amministrazione
“adita” esprima la propria valutazione sulla legittimità dell’atto
tramite un provvedimento finale positivo o negativo, il privato è, in
tal caso, titolare di un interesse soggettivo[7] al che il provvedimento stesso sia conforme alle norme ed ai principi che lo regolano in astratto.In realtà, consistente parte della dottrina ritiene che se
l’Amministrazione, pur non avendone l’obbligo, abbia deciso di dare
avvio al procedimento, è di conseguenza tenuta a concludere lo stesso
tramite l’adozione di un provvedimento amministrativo positivo o
negativo in virtù di quanto previsto dall’art.2 della Legge nr.241/1990,
così come modificata dall’art.3, comma 6 bis del D.L. 14.03.2005 nr.35, convertito nella Legge 14.05.2005 nr.80, dall’art.10 bis della stessa Legge nr.241/1990, dall’art.21 bis della Legge 6.12.1971 nr.1034 e dall’art.7 della Legge nr.212/2000.In altre parole, si è sostenuto che “in presenza di
richiesta espressa del contribuente, l’Amministrazione ha l’obbligo di
avviare e concludere il procedimento e ciò in base ai principi generali
della legge sul procedimento amministrativo (L.n.241/1990, art.2), e in
ragione dei principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente
(L.27 luglio 2000, n.212, art.7), in base ai quali l’Amministrazione
Finanziaria ha l’obbligo di rispondere e motivare la risposta”.[8] Le affermazioni di cui sopra derivano dal fatto che l’art.2 della Legge nr.241/1990 nell’attuale formulazione prevede che ove
il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba
essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di
concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso nei termini
indicati in uno dei regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17,
comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, o, in mancanza, entro
novanta giorni; salvo i casi di silenzio-assenso, il decorso dei termini
de quibus consente la proposizione di un ricorso avverso il silenzio-rifiuto ai sensi dell’art.21 bis della
Legge 6.12.1971 nr.1034, introdotto dall’art.2 della Legge nr.205/2000.
Inoltre, l’art.7 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede in
capo all’Amministrazione Finanziaria l’obbligo di motivare i
provvedimenti adottati. In realtà, così come affermato dalla prassi
della stessa Amministrazione Finanziaria e come sostenuto da consolidata
giurisprudenza di legittimità, l’istituto dell’autotutela nel settore
tributario non prevede l’applicabilità della figura del silenzio-rifiuto
e in tal senso manca un’espressa volontà del legislatore che, solo nel
caso di silenzio-rifiuto all’istanza di rimborso di tributi e accessori,
ha previsto a carattere eccezionale la possibilità di
giurisdizionalizzare la pretesa tramite ricorso.[9]
Infatti, nella già analizzata Circolare nr.3/22993 del 1999 della
Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia, se da una parte si
afferma la sussistenza del dovere “dovere di partecipare dell'esito
del riesame degli atti emanati la parte che ne ha chiesto
l'annullamento, comunicando l'eventuale accoglimento, totale o
parziale, ovvero il motivato diniego” in quanto, per motivi di
opportunità, di trasparenza e di correttezza nei confronti dei
contribuenti, è opportuno che gli uffici “anche nelle ipotesi di non
accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza
delle ragioni addotte, avranno cura di comunicare agli
interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto
contestato enunciando, anche succintamente, i motivi del rigetto” ,
dall’altra viene chiaramente ribadito che non possono ritenersi operanti
istituti quali il silenzio-rifiuto o il silenzio-assenso, in quanto
l’autotutela non rappresenta un ulteriore grado di difesa del
contribuente. La Circolare nr.198/S-2822-GCF-as del 5.08.1998 del Segretariato Generale- Ufficio per l’informazione contribuente ribadisce che l’Ufficio “ha
il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l'atto
viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un
diritto soggettivo a che l'ufficio eserciti tale potere)”. Comunque, il provvedimento de quo sottolinea
che il mancato esercizio dell’autotutela nei confronti di un atto
palesemente illegittimo, nel caso di pendenza di giudizio, può portare
alla condanna alle spese dell’amministrazione oltre al fatto che, come
previsto dall’art.1 del D.M. 37/1997, si può verificare, in presenza di
grave inerzia, il ricorso in sostituzione all’istituto in analisi da
parte della Direzione Regionale sovraordinata.In
conclusione, a differenza di quanto avviene per l’istanza di rimborso
dei tributi, sull’autotutela attivata dal contribuente non può
applicarsi l’istituto del silenzio-rifiuto in caso di mancata risposta
dell’Amministrazione. Tale interpretazione è ribadita, altresì, da
consolidata giurisprudenza in ragione della quale mentre l’atto di
diniego espresso a esercitare l’autotutela è oggetto di sindacato di
legittimità da parte del giudice trattandosi comunque di atto
discrezionale necessariamente motivato, non può verificarsi, in mancanza
di specifica e diversa disposizione normativa, un’ipotesi analoga per
il silenzio-rifiuto. Di particolare importanza risultano in materia due
sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza nr.7388
del 27.03.2007 e sentenza nr.16776 del 10.08.2005), recentemente
richiamate dalla sentenza nr.40 del 18.03.2008 della Commissione
Tributaria Provinciale di Brindisi, in ragione delle quali: “In tema
di contenzioso tributario, e con riferimento all'impugnazione degli atti
di rifiuto dell'esercizio del potere di autotutela da parte
dell'Amministrazione finanziaria, il sindacato del giudice deve
riguardare, ancor prima dell'esistenza dell'obbligazione tributaria, il
corretto esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione, nei
limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo
giurisdizionale, che non può mai comportare la sostituzione del giudice
all'Amministrazione in valutazioni discrezionali, né l'adozione
dell'atto di autotutela da parte del giudice tributario, ma solo la
verifica della legittimità del rifiuto dell'autotutela, in relazione
alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell'art.
2-quater del decreto-legge 20 settembre 1994, n. 564, convertito con
modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell'art. 3 del
d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, ne giustificano l'esercizio. Ove il
rifiuto dell'annullamento d'ufficio contenga una conferma della
fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal
giudice, l'Amministrazione è tenuta ad adeguarsi alla relativa
pronuncia, potendo altrimenti esperirsi il rimedio del ricorso per
ottemperanza
di cui all’art. 70 del D.Lgs. n. 546 del 1992....il carattere
discrezionale del ricorso all'autotutela comporta, altresì,
l'inapplicabilità dell'istituto del silenzio-rifiuto, non
esistendo, all'epoca dell'atto impugnato, alcuna previsione
normativa specifica in materia".La Commissione Tributaria
di Brindisi, pertanto, con la sentenza nr.40-2008 ribadisce quanto già
statuito dalla Corte di Cassazione affermando chiaramente che,
differentemente dall’istanza di rimborso dei tributi, sull’istanza di
autotutela, promossa dal contribuente al fine di ottenere l’annullamento
di atti impositivi al medesimo notificati, non può formarsi
provvedimento di silenzio-rifiuto laddove l’Amministrazione
finanziaria sia rimasta inerte con la conseguenza che il contribuente
non è ammesso a dedurre tale fatto giuridico davanti al giudice
tributario. In altre parole, riproponendo la tesi interpretativa
emergente dalla sentenza nr.7388/2007 delle SS.UU. della Corte di
Cassazione, la Commissione Tributaria distingue tra il rifiuto espresso e
il silenzio-rifiuto, affermando l'ammissibilità del ricorso contro il
primo e negandola contro il secondo. Quanto sopra in ragione del fatto
che “ se è vero, così come è stato ormai riconosciuto, che l'atto di
diniego espresso ad esercitare l'autotutela possa ritenersi
impugnabile e quindi farsi rientrare tra gli atti di cui all'ad. 19 del
D.Lgs. n. 546 del 1992, per il carattere esclusivo della giurisdizione
tributaria, la stessa cosa non può dirsi per il silenzio-rifiuto.”
FONTE:Nicola Monfreda
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