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martedì 3 febbraio 2015

Silenzio-rifiuto dell’amm.ne finanziaria all’istanza di annullamento in autotutela del contribuente: recenti posizioni giurisprudenziali



Sommario: 1. Premessa. - 2. L’autotula nel diritto tributario - 3. La situazione giuridica soggettiva del contribuente innanzi all’istituto dell’autotutela tributaria.

1. Premessa
L’istituto dell’autotutela consiste nella potestà che l’ordinamento riconosce alla Pubblica Amministrazione di procedere all’annullamento o revoca totale o parziale, riforma o rettifica di un provvedimento illegittimo precedentemente adottato; tale potestà, in altre parole, al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dei pubblici uffici di cui agli artt.97 e 98 Cost. ed il perseguimento dell’interesse pubblico, consente di evitare conflitti potenziali o di risolvere controversie in corso con i soggetti destinatari di un atto di cui si ravvisi l’illegittimità, l’annullamento del quale avviene senza l’intervento degli organi giurisdizionali competenti eventualmente aditi.

2. L’autotula nel diritto tributario
Nell’ambito del diritto tributario, l’istituto dell’autotutela è stato disciplinato dapprima con l’art.68 del D.P.R. 27.03.1992 nr.287, abrogato dall’art.23, comma 1 lett. m) nr.7 del D.P.R. 26.03. 2001 nr.107, in virtù del quale, a tutela dei diritti del contribuente e della trasparenza dell’azione amministrativa, gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria possono procedere all’annulamento totale o parziale di provvedimenti riconosciuti illegittimi o infondati con atto motivato da notificare al contribuente. L’attuale normativa di riferimento è da inquadrare nell’art.2 quater della Legge 30.11.1994 nr.656, di conversione del D.L. 30.09.1994 nr.564, e nel relativo regolamento di esecuzione adottato con il D.M. 11.02.1997 nr.37. L’art.2 quater della Legge nr.656/1994 prevede testualmente che “Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione.” Inoltre, la disposizione in esame prevede che nella potestà di autotutela è ricompreso, altresì, il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto illegittimo oltre al fatto che l’istituto di cui trattasi viene riconosciuto esperibile anche da parte degli enti locali in riferimento ai tributi di rispettiva competenza.
Il regolamento di esecuzione di cui al D.M. nr.37/1997 prevede, all’art.1, che l’organo competente ad esercitare il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento è riservato all'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o infondato o, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale sovraordinata. Il successivo art.2 delinea in maniera non esaustiva e tassativa le ipotesi di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di accertamento disponendo che l’Amministrazione Finanziaria ha la potestà di annullare in tutto o in parte, senza la necessità di una istanza di parte ed anche in pendenza di giudizio o, altresì, in caso di non impugnabilità, quegli atti che si ravvisano essere illegittimi poiché si è innanzi a: errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto dell'imposta; doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione. Il potere discrezionale di autotutela tributaria in analisi è limitato dallo stesso legislatore attraverso l’ultimo comma dell’art.2 nella parte in cui esclude il ricorso a tale istituto per quei motivi di diritto o di fatto oggetto di sentenza passata in giudicato favorevole per l’Amministrazione Finanziaria.
Nel caso in cui il provvedimento oggetto di autotutela sia inerente ad imposte, sanzioni ed accessori per un importo pari o superiore a 516.456,90 Euro, l’esercizio di tale potestà da parte dell’Ufficio competente ai sensi del già analizzato art.1 è subordinato al preventivo parere della sovraordinata Direzione Regionale. L’ avvenuto ricorso a tale istituto deve essere comunicato, oltre che all’organo giurisdizionale innanzi al quale sia eventualmente pendente un ricorso avente ad oggetto il medesimo atto, anche al contribuente e, in caso di annullamento disposto in sostituzione dalla Direzione Regionale, all’Ufficio che ha emanato l’atto.

3. La situazione giuridica soggettiva del contribuente innanzi all’istituto dell’autotutela tributaria
Dall’analisi di numerosi studi posti in essere dalla dottrina in merito alla qualificazione della situazione giuridica in cui versa il contribuente innanzi all’istituto dell’autotutela tributaria, le posizioni risultano essere discordanti in quanto, a coloro i quali affermano la sussistenza in capo al cittadino della titolarietà di un diritto soggettivo[1], si contrappongono i sostenitori di una tesi opposta in ragione della quale trattasi della medesima posizione soggettiva alla quale consegue la tutela che l’ordinamento giuridico accorda nei confronti di atti discrezionali della Pubblica Amministrazione.[2] In realtà, l’istituto dell’autotutela rappresenta una potestà dell’Amministrazione rientrante nell’esercizio della c.d. discrezionalità amministrativa[3], in quanto tale potestà è riconosciuta e diretta nell’esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico, non rappresentando un ulteriore grado di difesa del contribuente stesso. Quanto sopra, in ragione del fatto che, come sottolineato dalla Circolare nr.198/S-2822-GCF-as del 5.08.1998 del Segretariato Generale- Ufficio per l’informazione contribuente[4], l’Ufficio ha il potere, ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato e, pertanto, il contribuente, a sua vola, non ha un diritto soggettivo a che l’Ufficio eserciti tale potere. Ex pluribus, la Circolare n. 3/22993 del 16 novembre 1999 della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia[5] afferma che non sussiste a favore del contribuente nessun interesse pretensivo nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria affinchè la stessa eserciti il potere di autotutela su istanza di parte.Alla luce delle considerazioni de quibus, a parere dello scrivente, in linea di principio, non è possibile sostenere che il contribuente sia titolare di un diritto soggettivo in merito al ricorso all’istituto in analisi da parte dell’Ufficio competente ma, allo stesso tempo, qualora l’Amministrazione Finanziaria, su istanza di parte, attivi il procedimento di valutazione della legittimità dell’atto, sussiste un interesse legittimo del contribuente al che l’organo procedente, nell’adozione del provvedimento positivo o di diniego dell’esercizio dell’autotutela, rispetti le disposizioni ed i principi vigenti in materia. In altre parole, l’oggetto della presente analisi deve necessariamente spostarsi su un diverso aspetto, inerente non tanto la tipolgia di posizione soggettiva vantata dal contribuente, quanto se, in virtù dei principi vigenti, l’Amministrazione Finanziaria, a seguito di istanza formulata ai sensi dell’art.5 del D.M. nr.37/1997, è tenuta a pronunciarsi tramite apposito provvedimento positivo.Come sottolineato in precedenza, l’istituto dell’autotutela rientra nella c.d. discrezionalità amministrativa ed è stato previsto e disciplinato per il perseguimento dell’esclusivo interesse pubblico e non per la tutela specifici interessi di parte, non costituendo, pertanto, un ulteriore strumento di difesa del contribuente.[6] Di conseguenza, a seguito di istanza, il contribuente non è certamente titolare di un pieno diritto ad ottenere in via di autotutela l’annullamento o la revoca dell’atto ma, nel caso l’Amministrazione “adita” esprima la propria valutazione sulla legittimità dell’atto tramite un provvedimento finale positivo o negativo, il privato è, in tal caso, titolare di un interesse soggettivo[7] al che il provvedimento stesso sia conforme alle norme ed ai principi che lo regolano in astratto.In realtà, consistente parte della dottrina ritiene che se l’Amministrazione, pur non avendone l’obbligo, abbia deciso di dare avvio al procedimento, è di conseguenza tenuta a concludere lo stesso tramite l’adozione di un provvedimento amministrativo positivo o negativo in virtù di quanto previsto dall’art.2 della Legge nr.241/1990, così come modificata dall’art.3, comma 6 bis del D.L. 14.03.2005 nr.35, convertito nella Legge 14.05.2005 nr.80, dall’art.10 bis della stessa Legge nr.241/1990, dall’art.21 bis della Legge 6.12.1971 nr.1034 e dall’art.7 della Legge nr.212/2000.In altre parole, si è sostenuto che “in presenza di richiesta espressa del contribuente, l’Amministrazione ha l’obbligo di avviare e concludere il procedimento e ciò in base ai principi generali della legge sul procedimento amministrativo (L.n.241/1990, art.2), e in ragione dei principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente (L.27 luglio 2000, n.212, art.7), in base ai quali l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di rispondere e motivare la risposta”.[8] Le affermazioni di cui sopra derivano dal fatto che l’art.2 della Legge nr.241/1990 nell’attuale formulazione prevede che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso nei termini indicati in uno dei regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, o, in mancanza, entro novanta giorni; salvo i casi di silenzio-assenso, il decorso dei termini de quibus consente la proposizione di un ricorso avverso il silenzio-rifiuto ai sensi dell’art.21 bis della Legge 6.12.1971 nr.1034, introdotto dall’art.2 della Legge nr.205/2000. Inoltre, l’art.7 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede in capo all’Amministrazione Finanziaria l’obbligo di motivare i provvedimenti adottati. In realtà, così come affermato dalla prassi della stessa Amministrazione Finanziaria e come sostenuto da consolidata giurisprudenza di legittimità, l’istituto dell’autotutela nel settore tributario non prevede l’applicabilità della figura del silenzio-rifiuto e in tal senso manca un’espressa volontà del legislatore che, solo nel caso di silenzio-rifiuto all’istanza di rimborso di tributi e accessori, ha previsto a carattere eccezionale la possibilità di giurisdizionalizzare la pretesa tramite ricorso.[9] Infatti, nella già analizzata Circolare nr.3/22993 del 1999 della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia, se da una parte si afferma la sussistenza del dovere “dovere di partecipare dell'esito del riesame degli atti emanati la parte che ne ha chiesto l'annullamento, comunicando l'eventuale accoglimento, totale o parziale, ovvero il motivato diniego” in quanto, per motivi di opportunità, di trasparenza e di correttezza nei confronti dei contribuenti, è opportuno che gli uffici “anche nelle ipotesi di non accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza delle ragioni addotte, avranno cura di comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto contestato enunciando, anche succintamente, i motivi del rigetto” , dall’altra viene chiaramente ribadito che non possono ritenersi operanti istituti quali il silenzio-rifiuto o il silenzio-assenso, in quanto l’autotutela non rappresenta un ulteriore grado di difesa del contribuente. La Circolare nr.198/S-2822-GCF-as del 5.08.1998 del Segretariato Generale- Ufficio per l’informazione contribuente ribadisce che l’Ufficio “ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l'atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l'ufficio eserciti tale potere)”. Comunque, il provvedimento de quo sottolinea che il mancato esercizio dell’autotutela nei confronti di un atto palesemente illegittimo, nel caso di pendenza di giudizio, può portare alla condanna alle spese dell’amministrazione oltre al fatto che, come previsto dall’art.1 del D.M. 37/1997, si può verificare, in presenza di grave inerzia, il ricorso in sostituzione all’istituto in analisi da parte della Direzione Regionale sovraordinata.In conclusione, a differenza di quanto avviene per l’istanza di rimborso dei tributi, sull’autotutela attivata dal contribuente non può applicarsi l’istituto del silenzio-rifiuto in caso di mancata risposta dell’Amministrazione. Tale interpretazione è ribadita, altresì, da consolidata giurisprudenza in ragione della quale mentre l’atto di diniego espresso a esercitare l’autotutela è oggetto di sindacato di legittimità da parte del giudice trattandosi comunque di atto discrezionale necessariamente motivato, non può verificarsi, in mancanza di specifica e diversa disposizione normativa, un’ipotesi analoga per il silenzio-rifiuto. Di particolare importanza risultano in materia due sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza nr.7388 del 27.03.2007 e sentenza nr.16776 del 10.08.2005), recentemente richiamate dalla sentenza nr.40 del 18.03.2008 della Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi, in ragione delle quali: “In tema di contenzioso tributario, e con riferimento all'impugnazione degli atti di rifiuto dell'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione finanziaria, il sindacato del giudice deve riguardare, ancor prima dell'esistenza dell'obbligazione tributaria, il corretto esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale, che non può mai comportare la sostituzione del giudice all'Amministrazione in valutazioni discrezionali, né l'adozione dell'atto di autotutela da parte del giudice tributario, ma solo la verifica della legittimità del rifiuto dell'autotutela, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell'art. 2-quater del decreto-legge 20 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell'art. 3 del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, ne giustificano l'esercizio. Ove il rifiuto dell'annullamento d'ufficio contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal giudice, l'Amministrazione è tenuta ad adeguarsi alla relativa pronuncia, potendo altrimenti esperirsi il rimedio del ricorso per ottemperanza di cui all’art. 70 del D.Lgs. n. 546 del 1992....il carattere discrezionale del ricorso all'autotutela comporta, altresì, l'inapplicabilità dell'istituto del silenzio-rifiuto, non esistendo, all'epoca dell'atto impugnato, alcuna previsione normativa specifica in materia".La Commissione Tributaria di Brindisi, pertanto, con la sentenza nr.40-2008 ribadisce quanto già statuito dalla Corte di Cassazione affermando chiaramente che, differentemente dall’istanza di rimborso dei tributi, sull’istanza di autotutela, promossa dal contribuente al fine di ottenere l’annullamento di atti impositivi al medesimo notificati, non può formarsi provvedimento di silenzio-rifiuto laddove l’Amministrazione finanziaria sia rimasta inerte con la conseguenza che il contribuente non è ammesso a dedurre tale fatto giuridico davanti al giudice tributario. In altre parole, riproponendo la tesi interpretativa emergente dalla sentenza nr.7388/2007 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, la Commissione Tributaria distingue tra il rifiuto espresso e il silenzio-rifiuto, affermando l'ammissibilità del ricorso contro il primo e negandola contro il secondo. Quanto sopra in ragione del fatto che “ se è vero, così come è stato ormai riconosciuto, che l'atto di diniego espresso ad esercitare l'autotutela possa ritenersi impugnabile e quindi farsi rientrare tra gli atti di cui all'ad. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria, la stessa cosa non può dirsi per il silenzio-rifiuto. 

FONTE:Nicola Monfreda

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