Ai fini civilistici, l’art. 2425-bis comma 4 c.c. stabilisce che l’eventuale plusvalenza realizzata in sede di cessione del bene alla società di leasing (data dalla differenza positiva tra il prezzo della vendita e il valore contabile netto del bene) deve essere ripartita in funzione della durata del contratto.
Supponendo, quindi, un’operazione di lease back immobiliare da cui emerga una plusvalenza di 5.400.000 euro con durata del contratto di leasing di 18 anni, in bilancio occorrerà:
- per il primo anno, procedere al risconto della plusvalenza realizzata per 5.100.000 euro;
- per ogni esercizio successivo, imputare a Conto economico la quota di plusvalenza di competenza pari a 3.000.000 di euro.
Ai fini delle imposte dirette, tuttavia, è stato previsto un sistema che diverge in maniera significativa dall’impostazione contabile sopracitata.
Secondo quanto chiarito dalla CM n. 218 del 30 novembre 2000 e confermato poi dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 38 del 23 giugno 2010, nel contratto di sale and lease back sussistono, dal punto di vista fiscale, due distinte operazioni: la cessione del bene e la locazione finanziaria dello stesso. Ciò significa che, in relazione alla cessione di un bene strumentale oggetto del contratto, si applica il disposto di cui all’art. 86 del TUIR in caso di emersione di una plusvalenza oppure dell’art. 101 del TUIR in caso di minusvalenza. Pertanto, l’eventuale plusvalenza di cui all’art. 86 concorrerà integralmente alla formazione del reddito imponibile: per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è realizzata, ovvero, su opzione del contribuente, in quote costanti nell’esercizio in cui è realizzata e nei successivi, ma non oltre il quarto, se il bene è stato posseduto dal contribuente per almeno tre anni.
Si verifica, quindi, un disallineamento tra la disciplina civilistica e quella fiscale con la conseguente necessità di procedere all’iscrizione in bilancio della relativa fiscalità differita.
Secondo la giurisprudenza, non dovrebbe esserci un disallineamento
Sul tema, tuttavia, si segnala la sentenza n. 5/2/11 del 12 gennaio 2011 della C.T. Prov. Modena, secondo cui l’operazione di lease back è un negozio diverso e più complesso di una mera cessione a titolo oneroso; di conseguenza, essa non viene ritenuta scomponibile in due parti dotate di autonomia e, quindi, la plusvalenza non sarebbe riconducibile ad alcuna delle fattispecie di cui all’art. 86 del TUIR.Viene osservato come l’art. 2425-bis comma 4 c.c. disponga chiaramente che le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione, senza alcuna distinzione tra metodo patrimoniale e metodo finanziario di contabilizzazione e, soprattutto, senza porre alcun particolare vincolo al riguardo.
Nella controversia in oggetto, la società cedente/utilizzatrice ha applicato il metodo indiretto di contabilizzazione dell’operazione, vale a dire l’imputazione del plusvalore a riduzione del costo del bene iscritto nello stato patrimoniale. In tale circostanza, è stata riconosciuta l’integrale deduzione extra-contabile dell’eccedenza del canone di locazione rispetto agli ammortamenti (perché calcolati su un costo di iscrizione del bene ridotto dell’ammontare dello stesso plusvalore) e agli interessi passivi imputati in bilancio. In merito, è stata richiamata l’applicazione dell’art. 109 comma 4 lett. b) del TUIR, in virtù del quale sono deducibili spese e componenti negativi che, pur non essendo imputabili direttamente al Conto economico, sono deducibili per disposizione di legge o quando, specificatamente afferenti i ricavi e altri proventi, risultino da elementi certi e precisi.
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