È
trascorso ormai quasi un mese dal deposito della sentenza n. 37/2015
della Corte costituzionale, che rischia di incidere sull’operatività
degli Uffici finanziari per la possibilità di vedersi annullati migliaia
di avvisi di accertamento sottoscritti da dirigenti decaduti, nonché
successivi ruoli e cartelle di pagamento. La decisione della Consulta
arriva, peraltro, in un momento particolarmente delicato per il Fisco:
basti pensare agli atti di accertamento con adesione o ai provvedimenti
irrogativi di sanzioni connessi alla procedura di voluntary disclosure,
il cui perfezionamento rappresenta un introito sicuro per le casse
erariali. Ci si chiede ora se a “farne le spese” possano essere non solo
gli accertamenti sottoscritti da falsi dirigenti, ma anche gli atti
connessi alla voluntary disclosure.
Molto è stato detto sulla sentenza n.
37/2015 della Corte costituzionale e sulle sue possibili conseguenza;
come prevedibile, le posizioni dei contribuenti e dei loro difensori,
chiamati a “inventare” delle strategie processuali efficaci e vincenti,
differiscono da quelle di totale chiusura del Fisco.
Da un lato, infatti, Fisco e Governo,
infatti, al fine di evitare una incontrollata “pioggia di ricorsi”,
hanno caldamente invitato i contribuenti a non spendere inutilmente i
loro soldi per ricorsi definiti addirittura “vergognosi”, asserendo una
presunzione - invero ormai vetusta - di legittimità dell’atto
amministrativo, per cui l’eventuale vizio di sottoscrizione sarebbe superato dalla riferibilità dell’atto all’Ufficio emittente.
Dall’altro, le associazioni dei contribuenti
che minacciano class action o istanze di autotutela a tutto campo,
procedure di accesso agli atti, nonché azioni di risarcimento danni,
anche morali, subiti da parte di cittadini che, a cagione di cartelle di
pagamento che potrebbero anche a distanza di anni essere considerate
inesistenti, hanno visto fallire le proprie aziende o sono stati
costretti a vendere i propri immobili.
Leggi anche
- “Dirigenti Agenzia delle Entrate nomina irregolare solo indirettamente rilevante sugli atti impositivi”;
- “Norma salva-dirigenti illegittima in attesa di soluzioni”;
- “Norma salva dirigenti illegittima validi gli atti emessi in passato”;
- “Norma salva dirigenti illegittima quali riflessi sui contenziosi con le Entrate”;
- “Agenzie fiscali, incostituzionali i reiterati incarichi dirigenziali temporanei”;
Nel trambusto che ne è derivato, diventa determinante porre dei punti fermi e dare ai contribuenti delle certezze.
Contrariamente a quanto caldeggiato dal Fisco, i ricorsi non sono inutili.
Tutt’altro. Il vizio di sottoscrizione può e deve essere fatto valere.
Occorre semplicemente delimitarne il perimetro di rilevanza. E per far
ciò, la risposta non può che arrivare dalla disamina del dato normativo
di riferimento.
Nessun dubbio con riferimento alla possibilità di sollevare il vizio di sottoscrizione relativamente agli accertamenti concernenti imposte sui redditi, stante l’espressa disposizione in tal senso dell’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600/1973.
Avanzano i primi dubbi con riferimento
agli avvisi di accertamento per IVA e registro non ravvisandosi
rispettivamente nei D.P.R. n. 633/1973 e n. 131/1986 una disposizione
simile a quella contenuta nel D.P.R. n. 600/1973. Né sembrerebbe che si
possa fare riferimento all’art. 56 del decreto IVA per suffragare la
rilevanza del vizio di sottoscrizione anche al comparto delle imposte
indirette, atteso che detta disposizione, nel richiamare implicitamente
il D.P.R. n. 600/1973 e con esso l’art. 42, stabilisce che “le
rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti mediante
avvisi motivati, nei modi stabiliti per le notificazioni in materia di
imposte sui redditi”, operando dunque un rinvio solo con riferimento
alla notificazione, non anche al contenuto dell’avviso.
Parimenti, la falcidia della nullità dovrebbe risparmiare atti connessi alla voluntary disclosure, procedura che, come chiarito anche dalla circolare n. 10E del 13 marzo 2015, si perfeziona mediante il versamento integrale
(in un’unica soluzione o dell’ultima rata in caso di pagamento
dilazionato) delle somme dovute in base all’invito al contraddittorio,
all’accertamento con adesione o all’atto di contestazione o
provvedimento di irrogazione delle sanzioni, con riferimento ai quali
sembra alquanto improbabile la possibilità, per il contribuente, di far
valere il vizio di sottoscrizione.
Pensiamo, ad esempio, all’atto di adesione:
questo si perfeziona con il pagamento della totalità delle somme dovute
entro 20 giorni dalla sottoscrizione dell’atto, a nulla rilevando che
quest’ultimo sia stato sottoscritto da un “falso dirigente”. Pertanto,
il contribuente che, ad esempio, abbia optato per il versamento rateale
non potrebbe mai decidere di omettere il pagamento delle rate successive
alla prima asserendo che l’adesione non sarebbe valida perché
sottoscritta da un funzionario privo dei necessari poteri. Un tale
comportamento determinerebbe il mancato perfezionamento della procedura di voluntary disclosure,
con la conseguenza che il contribuente sarebbe impossibilitato a
ripresentare la richiesta e l’Ufficio, potrebbe, in deroga ai termini
ordinari di accertamento, notificargli un nuovo avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione
con la rideterminazione della sanzione, entro il 31 dicembre dell’anno
successivo a quello di notificazione dell’atto di contestazione o
dell’invito a comparire o a quello di redazione dell’atto di adesione.
Preme tuttavia precisare che la definizione derivante dal perfezionamento della voluntary disclosure ha natura di accertamento parziale.
L’Ufficio potrebbe pertanto sempre esercitare la propria azione
accertatrice nel caso in cui, dopo il perfezionamento, in relazione alle
medesime annualità oggetto della procedura di collaborazione
volontaria, dovesse rilevare ulteriori maggiori imponibili non
evidenziati dal contribuente.
Il che significa che solo eventualmente e
in seconda battuta al contribuente destinatario di un avviso di
accertamento “post voluntary” potrebbe essere data la possibilità di
difendersi in sede contenziosa adducendo, tra gli altri vizi, il difetto
di sottoscrizione dell’avviso di accertamento.
Con riferimento, invece, ai provvedimenti irrogativi di sanzioni,
l’art. 16, D.Lgs. n. 472/1997 non contiene una norma analoga all’art.
42, D.P.R. n. 600/1973, ragion per cui non vi sarebbero margini per
sollevare un eventuale vizio di nullità della sottoscrizione.
Delimitato il perimetro dentro il quale il vizio di sottoscrizione può essere fatto valere, è opportuno adesso stabilire le modalità e le tempistiche in cui lo stesso può essere sollevato.
Non sembra fruttifera l’ipotesi dell’autotutela,
atteso che le istanze darebbero luogo a una reiterata serie di dinieghi
a fronte dei quali eventuali ricorsi, pur accolti, non avrebbero alcun
effetto concretamente positivo per il contribuente, poichè il giudice
tributario non ha il potere di sostituirsi ai provvedimenti
amministrativi adottati.
L’unica via percorribile
sarebbe, dunque, quella di sollevare il motivo in sede di ricorso
avverso gli avvisi di accertamento o gli altri atti autonomamente
impugnabili. L’onere della prova spetterebbe in tal caso all’Ufficio, il
quale dovrà provare che la legittimità della nomina del funzionario
incriminato.
Risulta, invece, pregiudicata, la
posizione di quei contribuenti che, non avendo eccepito tale vizio in
sede di ricorso, anche sotto forma di motivo nascosto argomentabile con
le memorie, lo facciano rilevare per la prima volta in sede di memorie
illustrative, per la preclusione dettata dall’inammissibilità dei motivi
nuovi.
di Stefano Loconte - Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Avvocato Gabriella Antonaci - Loconte & Partners
Nessun commento:
Posta un commento