Effetto shock della sentenza che interviene sul caso dei falsi dirigenti all’Agenzia delle Entrate
La
Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 25 febbraio 2015 ha
dichiarato “fuori legge” più di 700 funzionari pubblici nominati
dirigenti dall’Agenzia delle Entrate senza un regolare concorso
pubblico, gettando nel panico tutta l’alta sfera dell’Agenzia e lo
stesso Governo, per gli effetti che hanno mandato nel mondo della morte
giuridica migliaia di atti di accertamenti fiscali e di cartelle
esattoriali emessi da soggetti privi del titolo qualificativo di
legittimità. La suprema Corte ha dichiarato nulli gli atti compiuti da
funzionari nominati, senza concorso, ai sensi dell’art.8 del DL n.16
(decreto Monti) del 2.3.2012.
La Sentenza n.37 ha dichiarato infatti l’illegittimità costituzionale delle seguenti norme:
1) art.8, comma 24 del DL n.16 del 02.03.2012-disposizioni urgenti in materia di semplificazione tributaria;
2) art.1, comma 14 del DL n.150 del 30.12.2013; proroga dei termini in materia di assunzioni;
3) art.1, comma 8 del DL n.192 del 31.12.2014.-altra proroga dei termini.
Tutte le predette norme sono state
dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della
Costituzione. In buona sostanza la Corte Costituzionale ha riconfermato
un principio, costantemente sostenuto, che gli incarichi dirigenziali
debbono essere ricoperti solo previo esperimento di un concorso
pubblico. Ancor più la Suprema Corte ha ribadito che il concorso è
necessario anche nel caso di inquadramento di dipendenti in servizio.
L’assunto chiarisce che anche “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro
corrispondente a funzioni superiori, deve avvenire attraverso la regola
del concorso pubblico”. Il predetto principio segue la conferma di
quello stabilito con le precedenti sentenze n. 194 del 2002, n. 293 del
2009, n. 150 del 2010, n. 7 del 2011 e n. 217 del 2012.
La norma sotto accusa è l’art 8 comma 24
del DL n.16/2012 (convertito con modificazione dall’art.1, comma 1
della legge n.44/2012) che ha dettato disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento, e di potenziamento
delle procedure di accertamento. La Suprema Corte non solo ha dichiarato
la decadenza degli incarichi dirigenziali di tutti coloro che sono
stati nominati in forza delle norme dichiarate incostituzionali, ma
soprattutto la illegittimità degli avvisi di accertamento e della
documentazione relativa prodotta e sottoscritta dal personale
incaricato, durante i periodi in questione (2012-2014). La decisione, a
mente dell’art. 136 Costituzione ha effetto retroattivo, in quanto con
la pubblicazione della sentenza sulla G.U. n. 12 del 25 marzo 2015 è
decaduta automaticamente la normativa censurata. Ne deriva, per gli
effetti precettivi costituzionali, che gli avvisi di accertamento e i
documenti fiscali emessi e sottoscritti da dirigenti nominati in forza
delle leggi dichiarate incostituzionali sono illegittimi e tali sono
anche le deleghe conferite.
Tutta la normativa regolamentare,
richiamata nei procedimenti amministrativi subisce gli effetti della
decisione della Corte. L’art. 21 septies della legge 241/90 dichiara
infatti la nullità assoluta del provvedimento mancante di uno degli
elementi essenziali, che nel caso di cui sopra è la qualifica
funzionale. La nullità assoluta può essere eccepita in qualsiasi grado e
stato di giudizio, anche d’ufficio, come più volte ha stabilito la
stessa Cassazione. Orbene tutti gli avvisi di accertamento firmati da un
dirigente ricadente nella suddetta fattispecie sono nulli di diritto.
Sono illegittimi gli accertamenti, i ruoli, la consegna e la
notificazione degli stessi e le eccezioni possono essere sollevate dai
difensori, in qualsiasi fase processuale, richiamando le considerazioni
della Corte.
Sul piano giuridico, la mancanza di un
elemento assoluto non è sanabile, in quanto nel frattempo sono maturate
conseguenze incidenti nella sfera dei diritti dei cittadini, che vanno
posti sullo stesso piano compensativo con i poteri dello Stato. La
decisione della Corte Costituzionale ha riaperto una questione, già
peraltro più volte rilevata dalla Corte dei Conti, che gli atti devono
essere emessi e sottoscritti da figure professionali legittimate a
ricoprire funzioni attraverso regolari selezioni pubbliche. C’è già chi
sostiene che lo Stato, in materia di tributi e tasse proprie, debba
riassumere il ruolo centrale sotto la guida ed il controllo responsabile
del Ministero delle Finanze, per ristabilire il clima di certezza e di
fiducia del cittadino, sottoposto con la gestione dell’Agenzia ed
Equitalia ad azioni fortemente vessatorie, proprie di un sistema e di
una cultura che si volle sopprimere con le nuove istituzioni.
Il clamore ha già messo in allarme gli
Enti pubblici territoriali, Regione, province e Comuni dove le
manipolazioni legislative hanno seguito piuttosto la strada della
“opportunità politica”. Il problema anche per questi Enti viene da
lontano e secondo la logica rivendicata dell’autonomia fiscale, spesso
messa sotto accusa dalla Corte dei Conti. Il Ministero della Funzione
pubblica, con la riforma Brunetta, con l’entrata in vigore della legge
15/2009 e del d.lgs 150/2009 è intervenuto sulla materia delle
assunzioni e delle progressioni di carriera al fine di obbligare le
amministrazioni ad osservare rigorosamente e senza eccezioni il
principio del concorso. Infatti dal 1992 con la legge delega n. 421 gli
Enti territoriali hanno confuso la materia dell’accesso pubblico con
quello della gradualità della carriera, spingendo il principio verso il
regime completamente privatistico.
Solo l’intervento della Suprema Corte di
Cassazione, a Sezione Unite n.15403 del 2003 ha fermato la confusione,
stabilendo che l’accesso al lavoro e le procedure funzionali alla
progressione della carriera devono avvenire attraverso il concorso
pubblico. La Giurisprudenza di merito, intervenendo sul testo dell’art.
63, co.4 del d.lgs n.165/77, ha esteso il concetto delle procedure
concorsuali dell’assunzione, affermando che il termine “assunzione”deve
essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e
non all’ingresso in pianta organica. La Suprema Corte ha riconfermato
quindi l’obbligo del concorso soprattutto nella gradualità delle
funzioni, mettendo un punto fermo in una pratica diffusa di
attribuzioni funzionali secondo criteri discrezionali, ancorati alle
“opportunità politiche”.
Il predetto principio in verità ha
seguito l’orientamento della Corte Costituzionale che già con la
decisione del 1999 aveva osservato che“anche il passaggio dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni ad una fascia funzionale superiore,
comportando l’accesso ad un nuovo posto di lavoro, corrispondente a
funzioni più elevate, è soggetto alla regola del pubblico concorso
enunciato dal terzo comma dell’art. 97 della Costituzione”. Negli Enti
territoriali il predetto principio è stato completamente disatteso o
raggirato attraverso interpretazioni di comodo, non assoggettate,
purtroppo, a nessun controllo, per la carente normativa e per la
limitata attività della Corte dei Conti. Il personale assunto attraverso
leggi eccezionali, come quelle sul terremoto o della ex 285/77, o
trasferito, con artificiose procedure, in regime di mobilità è stato
“sospinto” in posizioni funzionali di responsabilità, senza concorso
pubblico, confortato da pareri di comodo di funzionari nominati
dirigenti, privi anch’essi del legittimo titolo pubblico.
A proposito del personale proveniente
dalla ex 285/77 il Consiglio di Stato sez V 6 luglio 2002 n.3730 ha
sentenziato che i contratti di formazione e lavoro stipulati con i
giovani ex legge 1.6.1977 n. 285 devono ritenersipreliminari e precari,
anche se di natura pubblicistica, per il tempo del sostegno economico
assicurato dallo Stato. Gli stessi posti in condizione privilegiata per
il sostegno economico, sono obbligati a partecipare a concorsi pubblici
come tutti i cittadini, in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
La sentenza della Corte Costituzione n. 37 del 25 febbraio 2015 ha
riaperto il discorso anche per gli Enti territoriali. Secondo i
corollari della Suprema Corte tutti gli atti adottati e firmati dal
personale incaricato e nominato in violazione dei principi sopra
richiamati, sono nulli con gli effetti di nullità degli atti
conseguenti, come accertamenti, avviso ruoli e cartelle esattoriali.
Ai predetti principi soggiace anche la
Società di riscossione Equitalia costituita, con legge dello Stato nella
forma pubblica al 51%. La giurisprudenza amministrativa e contabile ha
spesso confermato il principio anche per questi Soggetti, stabilendo che
gli incarichi e le funzioni vanno coperte attraverso concorso pubblico,
in quanto prevale il principio pubblico del 51%. Il 49% deve osservare
le regole pubbliche, come per lo Stato e gli Enti territoriali. Il varco
aperto dalla Corte Costituzionale rischia di allargarsi a tutti i
comparti della P.A. E’ messo in discussione l’operato di molte
amministrazioni che hanno affidato l’attività pubblica ed i procedimenti
amministrativi a figure professionali che non possedevano e tutt’ora
non possiedono i requisiti per emettere o delegare provvedimenti
incidenti nella sfera dei diritti dei cittadini.
La crisi economica ha fatto scoppiare
tutte le contraddizioni della P.A amministrata e gestita con metodi e
criteri di opportunità politica contrari ai principi di uguaglianza,
legalità e buon andamento amministrativo, fissati nell’art. 3, 51 e 97
della Costituzione.
Si aprirà dunque una nuova stagione di contenzioso tributario, civile e contabile.
24 - aprile - 2015
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