ERRORE DI CALCOLO DELL’ACCERTAMENTO – Approfondimento a cura di Ivano Tarquini
La Corte di Cassazione con la sentenza 17072 del 21 luglio 2010 ha sancito il principio secondo il quale il contenzioso tributario entra nel novero del processo ‘impugnazione – merito’ e non ‘impugnazione-annullamento’. Apparentemente (visitando alcuni siti istituzionali) sarebbe legittimato il principio anti-giuridico del ‘due contro uno’: il giudice e l’Ufficio contro il contribuente. Come se, appurando un calcolo dell’accertamento errato, il giudice si sostituisce all’Ufficio impositore per il ricalcolo dell’imponibile. E’ ciò ovviamente non è condivisibile dallo scrivente in quanto lesiva della definitività del provvedimento amministrativo sancito al primo comma dell’art.3 legge 241/1990 e dove è essenziale che “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”. L’Avviso d’accertamento, alias Atto Amministrativo, è un ‘procedimento concluso’ unilaterale recettizio non definitivo se impugnato. Il salvataggio parziale dell’accertamento è consentito se è insito nel petitum esposto dal ricorrente e mai d’ufficio dal Giudice. Eppure la sentenza se vista in modo strumentale fa pensare ad una scelta fuori dal dettato del diritto procedimentale che regola le attività della P.A.. Invero la fondatezza della sentenza della Corte di Cassazione si attaglia attorno all’applicazione dell’art 112 del c.p.c. e dell’art. 42 del DPR 600/72. In primis se da un lato si recita tale articolo in cui “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non puo’ pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti” dall’altra si da potere a essi di poter riformulare sic et simpliciter l’imponibile (tale si tratta). Né l’art. 116 del c.p.c. legittima il giudice a un ultrapetitum in quanto : “Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta.”. In secundis l’art 42 del DPR 600/73 A PENA DI NULLITA’ vuole che l’imponibile sia esplicato nell’accertamento. Allora, per ovvia conseguenza, se l’imponibile è un altro (l’accertamento calcola l’evaso solo con un definitiva base imponibile accertata) l’accertamento è nullo. Nonostante questo , ci si rende conto che la natura del processo tributario è di impugnazione-merito e non di impugnazione-annullamento, ed è valida (ed anche salomonica) l’asserzione in cui il giudice potrà riformulare l’imponibile solo se chiesto dal ‘contribuente – ricorrente’ nel processo di prime cure in via subordinata all’annullamento. Lascia sinceramene perplessi il dettato della sentenza in cui si chiarisce che il Giudice “ deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal ‘petitum’ delle parti” e dall’altro, come se fosse stato richiesto dalla parte ricorrente in giudizio di introduzione, cassare la sentenza della C.T.R. in quanto i giudici regionali “avrebbero pertanto dovuto calcolare l’incidenza dell’errore sull’accertamento opposto per verificare innanzitutto se, in concreto, correggendo l’errore prevalevano presupposti per il tipo di accertamento posto in essere e , in ogni caso, se residuavano una pretesa fiscale, tuttavia essi non solo no hanno effettuato tale indagine , ma non hanno neppure chiarito in cosa consistesse l’errore rilevato né quale ne fosse la consistenza aritmetica.”. Contestare nella stesura del ricorso anche la ricostruzione dell’imponibile accertato nel merito e proporre una soluzione diversa da quello proposto dall’Ufficio, sarebbe consigliabile per poter attestare la veridicità del dichiarato. E il ruolo del Dottore Commercialista, tecnico della materia, diventa sempre più indispensabile.Ivano Tarquini – Dottore Commercialista in Siracusa
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