Poiché il Manuale adottato per lo studio
della disciplina dell’impresa trascura il tema dei consorzi e delle società
consortili, metto a disposizione degli studenti alcune pagine di spiegazione da
utilizzare per la preparazione dell’esame
I CONSORZI E LE SOCIETA’ CONSORTILI
SOMMARIO: I. Consorzi
per il coordinamento della produzione e degli scambi: 1. Nozione e funzione
- 2. Consorzio e figure affini - 3. La disciplina comune. Il contratto di
consorzio - 4. La disciplina speciale dei consorzi con attività esterna - 5.
Segue: la responsabilità verso i terzi - 6. Lo scioglimento del consorzio II. Le società consortili: 1. Scopo e
oggetto delle società consortili. I tipi - 2. La disciplina delle società
consortili –
I . Consorzi per il coordinamento della
produzione e degli scambi
1. Nozione e funzione
L’art. 2602 c.c. reca la
nozione di consorzio, definito come
il contratto mediante il quale «più imprenditori istituiscono una
organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi
delle rispettive imprese». Dunque il consorzio è:
·
un
contratto associativo
·
caratterizzato
dalla natura imprenditoriale dei
soggetti contraenti
·
stipulato
al fine della creazione di
un’organizzazione comune per
q
la disciplina
q
lo svolgimento
di
determinate fasi delle rispettive imprese.
«Disciplina»
e «svolgimento» di determinate fasi
delle imprese dei consorziati sono indicate dalla norma come funzioni
alternative della fattispecie, alle quali corrispondono, sul piano della
disciplina, due gruppi di norme: le disposizioni generali, applicabili a tutti
i tipi di consorzio, e le disposizioni particolari, riferite ai consorzi con
attività esterna.
La differenza tra i
consorzi di mera disciplina (c.d. consorzi
interni) e quelli creati anche per lo svolgimento di fasi delle imprese
consorziate (c.d. consorzi esterni)
è strutturale. I primi sono
contratti associativi che hanno per oggetto esclusivo la disciplina del
comportamento delle imprese consorziate sul mercato, sicché il consorzio ha
rilevanza esclusivamente per gli aderenti, risolvendosi in una trama di
rapporti obbligatori tra gli imprenditori consorziati che assumono reciproci
obblighi, alla verifica del rispetto dei quali è preordinata l’”organizzazione
comune”. Appartengono a questa categoria i consorzi che regolano la concorrenza
tra imprese consorziate che esercitano la medesima attività o attività simili, e che rientrano
dunque nella più ampia categoria dei patti limitativi della concorrenza di cui
all’art. 2596 c.c.: ad essi il legislatore si riferisce quando menziona i
consorzi aventi per oggetto «il contingentamento della produzione o degli
scambi» (art. 2603, comma 3°). Vi rientrano inoltre i consorzi per il controllo
qualitativo dei prodotti dei consorziati o per la creazione di marchi di qualità
(cfr. art. 6 l.
21 maggio 1981, n. 240): menzioniamo a titolo esemplificativo il consorzio tra
i produttori di parmigiano reggiano.
I secondi realizzano invece una vera e propria
integrazione delle attività delle imprese consorziate, mediante la gestione in
comune di una o più fasi delle rispettive imprese. Per «fase dell’impresa» si intende ogni fase del ciclo produttivo,
dall’acquisto delle materie prime alla vendita del prodotto finito (lavorazione
delle materie prime o dei semilavorati, trasporto, magazzinaggio, servizi
tecnici, ecc.): rientrano cioè in questa nozione tutte le operazioni nelle
quali è astrattamente scomponibile l’attività delle imprese consorziate, in
quanto conservano nell’organizzazione complessiva una propria autonoma configurazione.
Ne consegue che ogni fase dell’attività
delle imprese consorziate, qualora al suo esercizio sia destinata
l’organizzazione consortile, si traduce in una nuova impresa, la cui gestione comporta una più o meno intensa
attività con i terzi (contratti di acquisto di materie prime, di prodotti
chimici impiegati nella lavorazione, acquisto o locazione di locali per il
magazzinaggio o di mezzi di trasporto, contratti di lavoro, contratti di
vendita dei prodotti finiti, ecc.). Di conseguenza in questi casi il
consorzio assume un rilievo esterno,
come soggetto autonomo, centro di imputazione di rapporti giuridici (cfr. art.
2612 c.c.).
2. Consorzio e figure affini
Il consorzio interno si differenzia dagli altri tipi di patti
limitativi della concorrenza per la presenza di una organizzazione comune,
preordinata alla realizzazione dei fini consortili.
Il consorzio di cui
all’art. 2602 è un contratto tra imprese,
avente per oggetto la disciplina e/o la reciproca integrazione delle rispettive
attività imprenditoriali. Alla fattispecie sono dunque estranee figure
associative, pure qualificate come consorzi dalla legge, il cui scopo non
interferisce direttamente con l’attività imprenditoriale dei consorziati, ma si
sostanzia nella disciplina dei rapporti (non tra imprenditori bensì) tra
proprietari o titolari di diritti reali di godimento su beni immobili (ad es.,
consorzi di urbanizzazione).
Finalità affini a quelle
dei consorzi hanno invece le organizzazioni di produttori agricoli, di cui alla
d.lgs 18 maggio 2001, n. 228. Questi organismi possono costituirsi anche in
forma di consorzi con attività esterna di cui all’art. 2612 ss. c.c. o in forma
di società consortile di cui all’art. 2615 ter c.c. (v. art. 26).
Nell’occuparsi dei
consorzi con attività esterna – che rispondono all’esigenza di conservare e di
accrescere la competitività delle imprese – il legislatore ha disposto
agevolazioni a favore dei consorzi e delle socieà consortili fea piccole e
medie imprese (per i consorzi tra imprese artigiane v. art. 6 l. n. 443/1985).
Dal necessario
collegamento con le imprese dei consorziati si desume che il consorzio opera
essenzialmente per conto di questi ultimi: nei consorzi con attività esterna
l’impresa consortile è dunque una impresa
mutualistica. A differenza delle società di cui agli artt. 2247 ss. c.c.,
scopo del consorzio non è la
realizzazione di un utile da dividere tra i consorziati, bensì quello di consentire a costoro il conseguimento di un
vantaggio mutualistico, sub specie di
risparmio nei costi di produzione o di aumento dei prezzi di vendita dei
prodotti delle rispettive imprese.
3. La disciplina comune. Il contratto di
consorzio
A norma dell’art. 2603,
il contratto di consorzio deve essere stipulato in forma scritta a pena di
nullità. Fermo restando che il legislatore ha lasciato ampio spazio
all’autonomia negoziale nella determinazione di molteplici aspetti del
consorzio, il contratto deve indicare:
1) L’oggetto e la durata del consorzio. L’indicazione dell’oggetto è essenziale per la validità
del contratto, mentre per la durata l’art. 2604 detta una norma suppletiva
della volontà delle parti, stabilendo che in mancanza di disposizioni in merito
il consorzio dura dieci anni.
2) La sede dell’ufficio eventualmente costituito. Questa indicazione è
necessaria solo per la costituzione dei consorzi con attività esterna (cfr.
art. 2612).
3) Gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati.
Obblighi consortili sono le obbligazioni, diverse dai contributi in
danaro, assunte dai consorziati per la realizzazione dell’oggetto del
consorzio. Nei consorzi con attività
interna si tratta di obblighi di fare o di non fare (ad es., fornire
informazioni sulla produzione, consentire il controllo della qualità dei
prodotti), mentre nei consorzi con
attività esterna il contenuto di questi obblighi si arricchisce delle
prestazioni necessarie per il funzionamento dell’impresa consortile (ad es.,
conferimento di semilavorati per la trasformazione, consegna dei prodotti per
la vendita).
I contributi sono prestazioni
periodiche in danaro destinate a far fronte alle spese del consorzio. È
opinione prevalente che l’indicazione dei contributi non sia essenziale per la
validità del contratto; viceversa è dubbio se, in mancanza di indicazioni al
riguardo, i consorziati siano ugualmente tenuti a fornire i mezzi necessari per
la realizzazione delle finalità consortili. Nei consorzi interni - che si risolvono in una semplice trama di
rapporti obbligatori tra i consorziati - l’attività negoziale eventualmente
necessaria per il funzionamento dell’organizzazione consortile (ad es., spese
per il funzionamento della sede: telefono, segreteria ecc.) si inquadra nello
schema del mandato (cfr. artt. 2608 e 2609, comma 2o) sicchè, anche in mancanza di una
esplicita clausola contrattuale, i consorziati sono tenuti ad anticipare i
mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (cfr. art. 1719 c.c.). Viceversa
nei consorzi con attività esterna,
aventi una propria soggettività, non è
possibile imporre ai consorziati il versamento di contributi periodici
se il contratto non lo prevede. Tuttavia
la previsione contrattuale dell’obbligo contributivo non è indispensabile per
il conseguimento delle finalità consortili: i mezzi necessari per far fronte alle
spese del consorzio possono essere reperiti, come avviene frequentemente,
facendo pagare ai consorziati un corrispettivo per la fruizione dei servizi
consortili o trattenendo una percentuale sulle vendite effettuate per loro
conto.
4) Le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla
rappresentanza in giudizio. Si discute quale sia il livello di
organizzazione minimo necessario per integrare il requisito dell’organizzazione
comune di cui all’art. 2602. Il codice civile prevede implicitamente due
organi: l’assemblea dei consorziati
(art. 2606) e un organo direttivo o
esecutivo (art. 2608). All’assemblea,
in base all’art. 2606, compete ogni decisione relativa all’oggetto del
consorzio. Manca una disciplina procedurale articolata: il c.c. si limita a
stabilire che essa delibera con il voto favorevole della maggioranza dei
consorziati e che le deliberazioni che non sono prese in conformità dell’art.
2606 o delle disposizioni del contratto possono essere impugnate davanti
all’autorità giudiziaria entro trenta giorni. Per le modificazioni del
contratto di consorzio è invece richiesto il consenso unanime dei consorziati,
salvo diversa disposizione del contratto di consorzio (art. 2607).
Il codice nulla dispone
circa la nomina, la composizione e il funzionamento dell’organo direttivo né circa i suoi compiti e poteri, limitandosi
l’art. 2608 ad estendere alla
responsabilità degli organi preposti al consorzio la disciplina del mandato
(analogamente a quanto dprevisto dal legislatore codicistico in tema di
responsabilità degli amministratori di società). Il comma 2o dell’art. 2609, a sua volta, dispone
che il mandato conferito dai consorziati per l’attuazione dell’oggetto del
consorzio, ancorché dato con unico atto, cessa nei confronti del consorziato
receduto o escluso. Ulteriori indicazioni la legge richiede che il contratto
contenga quando si tratti di consorzio con attività esterna (art. 2612, n. 4).
Il silenzio legislativo
sottintende che la regolamentazione della struttura, del funzionamento e delle
attribuzioni dell’organo direttivo è rimessa all’autonomia contrattuale dei
consorziati. Occorre tuttavia tener conto che:
a.
nei consorzi interni l’organo direttivo ha essenzialmente
compiti di verifica dell’adempimento degli obblighi assunti dai consorziati per
il conseguimento delle finalità del consorzio;
b.
nei consorzi con
attività esterna
l’organo direttivo ha compiti decisionali ed esecutivi per il conseguimento
dell’oggetto del consorzio (ossia per lo svolgimento delle fasi comuni delle
imprese consorziate), nell’ambito delle indicazioni provenienti dall’assemblea
dei consorziati.
5) Le condizioni di ammissione di nuovi consorziati. I consorzi sono
tendenzialmente contratti aperti a nuove adesioni, in quanto organismi
destinati a soddisfare interessi di categoria (imprese operanti in un
determinato settore economico e/o in una determinata zona territoriale). Il
principio della c.d. porta aperta è però soltanto naturale, non essenziale al
contratto di consorzio, validi essendo quindi i consorzi «chiusi» nei quali,
per espressa previsione contrattuale, l’ingresso di nuovi membri esiga il
consenso di tutti i consorziati.
Si noti che l’art. 2610,
comma 1° (sostanzialmente corrispondente all’art. 2558 c.c.) sancisce, salva
diversa pattuizione, l’automatico subingresso nel contratto di consorzio
dell’acquirente in caso di trasferimento a qualunque titolo dell’azienda di uno
degli imprenditori consorziati.
6) I casi di recesso e di esclusione. Il codice rinvia al contratto la
determinazione delle cause di recesso e di esclusione (cfr. art. 2609).
Soltanto per il caso di trasferimento dell’azienda del consorziato è prevista
una causa legale di esclusione: l’art. 2610,
infatti, prevede che l’acquirente dell’azienda, che subentra di diritto
all’alienante nel contratto di consorzio, possa
essere escluso per giusta causa dagli altri consorziati.
Si discute quale sia la
disciplina applicabile all’inadempimento degli obblighi consortili e alla
sopravvenuta impossibilità di adempierli (per cessazioni dell’impresa, per
fallimento), quando non siano espressamente previsti dal contratto come cause
di recesso o di esclusione oppure di automatico scioglimento del rapporto
consortile. In particolare è controverso se si applichino in questi casi i
principi generali della risoluzione del contratto o se, quanto meno per i
consorzi con attività esterna, si debbano applicare in via analogica le norme
sul recesso e sulla esclusione previste per altre fattispecie associative,
quali le associazioni o le società di
persone.
7) Le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati. Le
sanzioni possono consistere, ad es., in multe e nella sospensione
dall’esercizio dei diritti consortili. Contro i provvedimenti disciplinari
adottati illegittimamente il consorziato può adire l’autorità giudiziaria per
ottenerne l’annullamento. Inoltre è frequente la previsione contrattuale di un
apposito organo incaricato di risolvere le controversie tra consorziati e tra
consorziati e organi consortili.
4. La
disciplina speciale dei consorzi con attività esterna
A norma dell’art. 2612
c.c., un estratto del contratto di consorzio con attività esterna deve, a cura
degli amministratori, essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del
registro delle imprese del luogo ove il consorzio ha sede. L’estratto deve
contenere l’indicazione dei dati rilevanti per i terzi, e quindi: denominazione
e sede del consorzio; nome dei consorziati; durata; persone alle quali viene
attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza e i relativi poteri;
modo di formazione del fondo consortile; norme relative alla liquidazione.
Aspetti particolarmente rilevanti sono quelli della rappresentanza e del fondo
consortile.
a) La rappresentanza. La rappresentanza processuale attiva e la
rappresentanza sostanziale sono regolate dal contratto. Con riguardo alla
rappresentanza processuale passiva, invece, l’art. 2613 dispone che i consorzi
possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto
attribuisce la presidenza o la direzione.
b) Il fondo consortile. Con una disposizione analoga a quella dettata
dall’art. 37 per le associazioni non riconosciute, l’art. 2614 prevede che i
contributi dei consorziati ed i beni acquistati con questi contributi
costituiscano il fondo consortile.
Si tratta di un patrimonio autonomo funzionale
allo svolgimento dell’impresa consortile e destinato a garantire il
soddisfacimento dei creditori del consorzio; durante la vita del consorzio né i consorziati possono chiedere la
divisione del fondo, né i creditori
particolari di questi ultimi possono far valere i loro diritti sul fondo
medesimo. Il codice civile non prescrive che il fondo abbia un valore minimo,
ma richiede soltanto che nel contratto siano indicate le modalità di
formazione. Di regola esso è alimentato dai contributi dei consorziati, ma,
come si è già accennato, i mezzi finanziari per coprire le spese del consorzio
possono anche essere reperiti facendo pagare ai consorziati una percentuale
sugli affari conclusi tramite il consorzio o un corrispettivo per la fruizione
dei servizi consortili.
Questione assai
dibattuta, soprattutto nei consorzi con attività esterna, è se la cessazione
del rapporto consortile da parte di uno dei consorziati implichi la
liquidazione della quota di partecipazione al fondo consortile. A tale riguardo
si osserva che l’art. 2609, comma 1°, dispone che «nei casi di recesso e di
esclusione previsti dal contratto, la quota di partecipazione del consorziato
receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quelle degli altri». Secondo
un orientamento interpretativo la norma sancisce la intangibilità del fondo
consortile, nel senso che la quota di partecipazione del consorziato uscente
non può essergli liquidata – con corresponsione di una somma di denaro
quantificata in base al valore del patrimonio del consorzio – ma si
“redistribuisce” proporzionalmente agli altri consorziati. La soluzione
sostanzialmente si rifa a quanto previsto per le associazioni dall’art. 37
c.c., il quale espressamente esclude la liquidazione della quota in caso di
recesso.
Un diverso orientamento
ritiene che l’art. 2609 si riferisca non
alla quota di partecipazione del fondo consortile bensì ai diritti ed agli obblighi assunti dai consorziati nei
consorzi di “contingentamento” di cui all’art. 2603, comma 3°, c.c.:
l’accrescimento a favore degli altri consorziati riguarderebbe soltanto la
quota di produzione o di scambio riservata al consorziato uscente. Con riguardo
alla liquidazione della quota consortile si adotta una soluzione analoga a
quella prevista per l’uscita del socio da società di persone (v. art. 2289
c.c.).
Ulteriore (e contigua)
questione è quella del creditore particolare del consorziato: può egli chiedere
la liquidazione della quota del proprio debitore? La risposta è positiva o
negativa a seconda che si aderisca all’uno o all’altro degli orientamenti
interpretativi sopra accennati; qualora si propenda per la soluzione
affermativa occorre rifarsi agli artt. 2305, 2307 e 2270 c.c. relativi alle
società di persone).
Entro due mesi dalla
chiusura dell’esercizio le persone che hanno la direzione del consorzio devono
redigere una situazione patrimoniale,
osservando le norme relative al bilancio di esercizio delle società per azioni,
e devono depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese (art. 2615-bis). Si discute se tale situazione
patrimoniale sia un vero e proprio bilancio, comprensivo di stato patrimoniale
e di conto economico, o se si tratti di un conto dimostrativo della sola
consistenza del fondo consortile (conto patrimoniale). Il problema è connesso
con quello della natura imprenditoriale dell’attività consortile: poiché lo svolgimento in comune di una o più fasi
delle imprese consorziate integra l’esercizio di una attività di impresa,
l’obbligo di redigere il bilancio di esercizio deriva dalla norma generale dell’art.
2217 c.c., e la portata dell’art. 2615-bis
si risolve nella imposizione dell’onere di pubblicazione del bilancio.
5. Segue: la responsabilità verso i terzi
La responsabilità verso i terzi dei consorzi con
attività esterna è regolata dall’art. 2615, a tenore del quale «per le obbligazioni assunte in nome del
consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far
valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile. Per le obbligazioni
assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono
invece questi ultimi solidalmente con il fondo consortile» e «in caso di
insolvenza, nei rapporti tra i consorziati il debito dell’insolvente si ripartisce
tra tutti in proporzione delle quote».
Il primo comma sancisce
il principio della responsabilità
limitata, a motivo del quale i terzi possono fare affidamento soltanto sul
fondo consortile, per il quale il codice non prevede, come si è detto, neppure
un importo minimo. Per questo motivo è di fondamentale importanza stabilire
quando si applica la disciplina del primo comma della norma e quando viceversa
si applica il principio della responsabilità solidale con il fondo consortile
dei singoli consorziati prevista dal secondo comma.
La norma è tutt’altro
che chiara e ha dato luogo ad interpretazioni molto diverse. Una tesi opina che
il primo comma troverebbe applicazione soltanto per le obbligazioni assunte per
motivi organizzativi (spese generali), in base al presupposto che l’attività
consortile è, per definizione, svolta per conto dei consorziati. Del tutto
opposta è la tesi (da ritenersi preferibile) che sottolinea come il secondo
comma si applichi alle obbligazioni assunte per conto dei «singoli consorziati», e quindi soltanto alle operazioni nelle
quali è possibile individuare il consorziato o i consorziati direttamente interessati (ad es.,
acquisto di materie prime per conto di singoli consorziati o vendita dei
rispettivi prodotti finiti).
È anche controverso se
la responsabilità del singolo consorziato presupponga che l’obbligazione sia
stata assunta in suo nome, in base a procura rilasciata agli organi del
consorzio, o se viceversa l’intera disciplina dell’art. 2615 riguardi comunque
le obbligazioni assunte in nome del consorzio.
6. Lo scioglimento del consorzio
Il consorzio si scioglie
per le cause indicate nell’art. 2611: decorso del termine di durata;
conseguimento dell’oggetto o impossibilità di conseguirlo; volontà unanime dei
consorziati o deliberazione adottata a maggioranza se sussiste una giusta
causa; provvedimento dell’autorità governativa nei casi ammessi dalla legge;
altre cause previste nel contratto.
Il consorzio si scioglie
inoltre, in base ai principi generali, per il venir meno della pluralità dei
consorziati, e, se si tratta di un consorzio con attività esterna, per il caso
di fallimento.
Allo scioglimento del
consorzio con attività esterna deve seguire la liquidazione del fondo
consorziale (arg. art. 2612 comma, 2°, n. 5).
7. Contratto di consorzio e società
Il consorzio con
attività esterna è una forma di esercizio collettivo di una o più fasi delle
imprese dei consorziati: per questo motivo è esso stesso centro di imputazione
di rapporti giuridici ed è titolare di un patrimonio autonomo (il fondo
consortile). A differenza delle società - sia lucrative che cooperative –
l’organismo consortile non è disciplinato dettagliatamente dalla legge, ampio
spazio essendo lasciato all’autonomia contrattuale. Lacunoso, peraltro, è in
particolare l’aspetto della responsabilità patrimoniale verso i terzi, atteso
che:
q
a
fronte della responsabilità limitata mancano regole tese ad assicurare la
conservazione di un patrimonio consortile di qualche consistenza;
q
manca
una regola chiara relativa alla responsabilità solidale del «singolo
consorziato».
La linea
di demarcazione tra società lucrative e consorzio con attività esterna è
rappresentata essenzialmente dalla diversità di scopo, che nel consorzio
consiste non nel conseguimento di un utile da dividere tra i consorziati, bensì
nel rendere possibile la fruizione di un vantaggio mutualistico consistente, in
particolare, in un risparmio dei di produzione.
Tale
carattere distintivo ricorre anche nelle società consortili.
II.
Le società consortili
1. Scopo
e oggetto delle società consortili. I tipi
L’art. 2615-ter c.c. prevede che le società di cui
ai Capi III e seguenti del Tit. V (dunque: s.n.c., s.a.s e tutte le società di
capitali) possano assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art.
2602. Ciò significa che le società consortili sono società aventi forma lucrativa ma costituite per
perseguire gli scopi propri dei
consorzi: il loro scopo non è quello di realizzare un utile da dividere tra
i consorziati, ma quello di consentire a questi ultimi il conseguimento di un vantaggio mutualistico, sub specie di risparmio nei costi di produzione (ad es.:
approvvigionamento di materie prime o fruizione di un servizio a condizioni più
vantaggiose) o di aumento dei prezzi di vendita dei prodotti delle rispettive
imprese. Questo non significa che la società consortile non possa anche
svolgere una limitata attività con i terzi e cioè compiere operazioni
produttive di utili, ma queste operazioni devono necessariamente avere,
rispetto alla gestione mutualistica, una funzione strumentale e accessoria,
perché, se la gestione lucrativa prevale sulla gestione mutualistica, la
società perde la connotazione consortile e non può che essere qualificata come
società lucrativa.
Oggetto della società consortile è pur sempre l’esercizio di una
impresa, e più precisamente di una «fase»
delle imprese consorziate (cfr. art. 2602 c.c.). La forma societaria non
può quindi essere utilizzata per perseguire soltanto funzioni di disciplina
dell’attività delle imprese consorziate (c.d. consorzi interni), perché
mancherebbe in questa ipotesi un elemento essenziale del contratto di società,
e cioè l’esercizio in comune di una attività economica.
L’art. 2615-ter rinvia soltanto ai tipi societari
del Tit. V, e cioè ai tipi delle società
lucrative, con la sola eccezione della società semplice: sembrerebbe quindi
esclusa la utilizzazione della forma cooperativa. Tuttavia, stante l’indubbia
prossimità causale tra consorzi e cooperative, in quanto figure associative
aventi finalità mutualistica, si ritiene che il silenzio della norma sia dovuto
alla naturale attitudine della forma
cooperativa a porsi quale strumento per la realizzazione di fini
consortili. Tale attitudine ha trovato
esplicita conferma dapprima nella legislazione speciale (artt 27 e 27-ter decreto legislativo Capo provvisorio
dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577: c.d. legge Basevi), e da ultimo nel
nuovo art. 2538, comma 4°, c.c. , che
prevede «cooperative in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso
l’integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse».
2. La disciplina delle società consortili
La società consortile è
una fattispecie tipica, ma al riconoscimento legislativo non si accompagna una
disciplina specifica. Alla società consortile si applica quindi, a causa del
rinvio implicito nella disposizione dell’art. 2615-ter, la disciplina del tipo di società prescelto dalle parti,
mentre si deve escludere l’applicabilità delle norme previste per i consorzi.
La disciplina
strutturale delle società lucrative di cui al Tit. V è però, sotto più profili, tendenzialmente incompatibile con le finalità
consortili: si pensi alla disciplina dell’ingresso di nuovi soci. L’interesse
consortile è un interesse di categoria, con la conseguenza che il rapporto
consortile è di regola un rapporto a struttura aperta; le società regolate nel Tit. V sono
organizzazioni a struttura chiusa.
Di qui l’esigenza di una
applicazione “elastica” della disciplina societaria, mediante introduzione
negli atti costitutivi di clausole contrattuali volte a comporre o superare il
potenziale contrasto tra struttura societaria lucrativa e mutualità
dell’impresa, nei limiti della
compatibilità con norme inderogabili del tipo societario prescelto.
Pertanto nelle società di capitali sono ritenute ammissibili le clausole che
prevedono la limitazione del diritto di opzione dei soci qualora l’aumento del
capitale sia finalizzato all’ingresso di nuovi consorziati - essendo implicito
nella natura consortile della società l’interesse sociale all’ingresso di nuovi
consorziati - nonché le clausole che
prevedono l’esclusione o il recesso dei soci che cessano di far parte della
categoria di consorziati prevista dall’atto costitutivo.
Per
converso non sono applicabili le norme del tipo societario prescelto che siano
palesemente incompatibili con le finalità consortili, quale ad esempio la norma
dell’art. 2362 (unico azionista): il carattere mutualistico dell’impresa
consortile esclude infatti che sia possibile realizzare l’oggetto sociale
quando viene meno la pluralità dei soci.
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