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giovedì 22 maggio 2014

I CONSORZI E LE SOCIETA’ CONSORTILI




Poiché il Manuale adottato per lo studio della disciplina dell’impresa trascura il tema dei consorzi e delle società consortili, metto a disposizione degli studenti alcune pagine di spiegazione da utilizzare per la preparazione dell’esame

I CONSORZI E LE SOCIETA’ CONSORTILI

SOMMARIO: I. Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi: 1. Nozione e funzione - 2. Consorzio e figure affini - 3. La disciplina comune. Il contratto di consorzio - 4. La disciplina speciale dei consorzi con attività esterna - 5. Segue: la responsabilità verso i terzi - 6. Lo scioglimento del consorzio II. Le società consortili: 1. Scopo e oggetto delle società consortili. I tipi - 2. La disciplina delle società consortili –


I .  Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi

1.  Nozione e funzione

L’art. 2602 c.c. reca la nozione di consorzio, definito come il contratto mediante il quale «più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese». Dunque il consorzio è:
·        un contratto associativo
·        caratterizzato dalla natura imprenditoriale dei soggetti contraenti
·        stipulato al fine della creazione di un’organizzazione comune per
q       la disciplina
q       lo svolgimento
di determinate fasi delle rispettive imprese.
    «Disciplina» e «svolgimento» di determinate fasi delle imprese dei consorziati sono indicate dalla norma come funzioni alternative della fattispecie, alle quali corrispondono, sul piano della disciplina, due gruppi di norme: le disposizioni generali, applicabili a tutti i tipi di consorzio, e le disposizioni particolari, riferite ai consorzi con attività esterna.
La differenza tra i consorzi di mera disciplina (c.d. consorzi interni) e quelli creati anche per lo svolgimento di fasi delle imprese consorziate (c.d. consorzi esterni) è strutturale. I primi sono contratti associativi che hanno per oggetto esclusivo la disciplina del comportamento delle imprese con­sorziate sul mercato, sicché il consorzio ha rilevanza esclusivamente per gli aderenti, risolvendosi in una trama di rapporti obbligatori tra gli imprenditori consorziati che assumono reciproci obblighi, alla verifica del rispetto dei quali è preordinata l’”organizzazione comune”. Appartengono a questa categoria i consorzi che regolano la concorrenza tra imprese consorziate che esercitano la medesima  attività o attività simili, e che rientrano dunque nella più ampia categoria dei patti limitativi della concorrenza di cui all’art. 2596 c.c.: ad essi il legislatore si riferisce quando menziona i consorzi aventi per oggetto «il contingentamento della produzione o degli scambi» (art. 2603, comma 3°). Vi rientrano inoltre i consorzi per il controllo qualitativo dei prodotti dei consorziati o per la creazione di marchi di qualità (cfr. art. 6 l. 21 maggio 1981, n. 240): menzioniamo a titolo esemplificativo il consorzio tra i produttori di parmigiano reggiano.
I secondi realizzano invece una vera e propria integrazione delle attività delle imprese consorziate, mediante la gestione in comune di una o più fasi delle rispettive imprese. Per «fase dell’impresa» si intende ogni fase del ciclo produttivo, dall’acquisto delle materie prime alla vendita del prodotto finito (lavorazione delle materie prime o dei semilavorati, trasporto, ma­gazzinaggio, servizi tecnici, ecc.): rientrano cioè in questa nozione tutte le operazioni nelle quali è astrattamente scom­ponibile l’attività delle imprese consorziate, in quanto conservano nell’organizzazione complessiva una propria autonoma configurazione. Ne consegue che ogni  fase dell’attività delle imprese consorziate, qualora al suo esercizio sia destinata l’organizzazione consortile, si tra­duce in una nuova impresa, la cui gestione comporta una più o meno intensa attività con i terzi (contratti di acquisto di materie prime, di prodotti chimici impiegati nella lavorazione, acquisto o locazione di locali per il magaz­zinaggio o di mezzi di trasporto, contratti di lavoro, contratti di vendita dei prodotti finiti, ecc.). Di conseguenza in questi casi il consorzio  assume un rilievo esterno, come soggetto autonomo, centro di imputazione di rapporti giuridici (cfr. art. 2612 c.c.).


2.  Consorzio e figure affini

Il consorzio interno si differenzia dagli altri tipi di patti limitativi della concorrenza per la presenza di una organizzazione comune, preordinata alla realizzazione dei fini consortili.
Il consorzio di cui all’art. 2602 è un contratto tra imprese, avente per oggetto la disciplina e/o la reciproca integrazione delle rispettive attività imprenditoriali. Alla fattispecie sono dunque estranee figure associative, pure qualificate come consorzi dalla legge, il cui scopo non interferisce direttamente con l’attività imprenditoriale dei consorziati, ma si sostanzia nella disciplina dei rapporti (non tra imprenditori bensì) tra proprietari o titolari di diritti reali di godimento su beni immobili (ad es., consorzi di urbanizzazione).
Finalità affini a quelle dei consorzi hanno invece le organizzazioni di produttori agricoli, di cui alla d.lgs 18 maggio 2001, n. 228. Questi organismi possono costituirsi anche in forma di consorzi con attività esterna di cui all’art. 2612 ss. c.c. o in forma di società consortile di cui all’art. 2615 ter c.c. (v. art. 26).
Nell’occuparsi dei consorzi con attività esterna – che rispondono all’esigenza di conservare e di accrescere la competitività delle imprese – il legislatore ha disposto agevolazioni a favore dei consorzi e delle socieà consortili fea piccole e medie imprese (per i consorzi tra imprese artigiane v. art. 6 l. n. 443/1985).
Dal necessario collegamento con le imprese dei consorziati si desume che il consorzio opera essenzialmente per conto di questi ultimi: nei consorzi con attività esterna l’impresa consortile è dunque una impresa mutualistica. A differenza delle società di cui agli artt. 2247 ss. c.c., scopo del consorzio non è la realizzazione di un utile da dividere tra i consorziati, bensì quello di consentire a costoro il conseguimento di un vantaggio mutualistico, sub specie di risparmio nei costi di produzione o di aumento dei prezzi di vendita dei prodotti delle rispettive imprese.


3.  La disciplina comune. Il contratto di consorzio

A norma dell’art. 2603, il contratto di consorzio deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità. Fermo restando che il legislatore ha lasciato ampio spazio all’autonomia negoziale nella determinazione di molteplici aspetti del consorzio, il contratto deve indicare:
1) L’oggetto e la durata del consorzio. L’indicazione dell’oggetto è essenziale per la validità del contratto, mentre per la durata l’art. 2604 detta una norma supple­tiva della volontà delle parti, stabilendo che in mancanza di disposizioni in merito il consorzio dura dieci anni.
2) La sede dell’ufficio eventualmente costituito. Questa indicazione è necessaria solo per la costituzione dei consorzi con attività esterna (cfr. art. 2612).
3) Gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati.
Obblighi consortili sono le obbligazioni, diverse dai contributi in danaro, assunte dai consorziati per la realizzazione dell’oggetto del consorzio. Nei consorzi con attività interna si tratta di obblighi di fare o di non fare (ad es., fornire informazioni sulla produzione, consentire il controllo della qualità dei prodotti), mentre nei consorzi con attività esterna il contenuto di questi obblighi si arricchisce delle prestazioni necessarie per il funzionamento dell’impresa consortile (ad es., conferimento di semilavorati per la trasformazione, consegna dei prodotti per la vendita).
I contributi sono prestazioni periodiche in danaro destinate a far fronte alle spese del consorzio. È opinione prevalente che l’indicazione dei contributi non sia essenziale per la validità del contratto; viceversa è dubbio se, in mancanza di indicazioni al riguardo, i consorziati siano ugualmente tenuti a fornire i mezzi necessari per la realizzazione delle finalità consortili. Nei consorzi interni - che si risolvono in una semplice trama di rapporti obbligatori tra i consorziati - l’attività negoziale eventualmente necessaria per il funzionamento dell’organizzazione consortile (ad es., spese per il funzionamento della sede: telefono, segreteria ecc.) si inquadra nello schema del mandato (cfr. artt. 2608 e 2609, comma 2o) sicchè, anche in mancanza di una esplicita clausola contrattuale, i consorziati sono tenuti ad anticipare i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (cfr. art. 1719 c.c.). Viceversa nei consorzi con attività esterna, aventi una propria soggettività, non è  possibile imporre ai con­sorziati il versamento di contributi periodici se il contratto non lo prevede.  Tuttavia la previsione contrattuale dell’obbligo contributivo non è indispensabile per il conseguimento delle finalità consortili: i mezzi necessari per far fronte alle spese del consorzio possono essere reperiti, come avviene frequentemente, facendo pagare ai con­sorziati un corrispettivo per la fruizione dei servizi consortili o trattenendo una percentuale sulle vendite effettuate per loro conto.
4) Le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio. Si discute quale sia il livello di organizzazione minimo necessario per integrare il requisito dell’organizzazione comune di cui all’art. 2602. Il codice civile prevede implicitamente due organi: l’assemblea dei consorziati (art. 2606) e un organo direttivo o esecutivo (art. 2608). All’assemblea, in base all’art. 2606, compete ogni decisione relativa all’oggetto del consorzio. Manca una disciplina procedurale articolata: il c.c. si limita a stabilire che essa delibera con il voto favorevole della maggioranza dei consorziati e che le deliberazioni che non sono prese in conformità dell’art. 2606 o delle disposizioni del contratto possono essere impugnate davanti all’autorità giu­diziaria entro trenta giorni. Per le modificazioni del contratto di consorzio è invece richiesto il consenso unanime dei consorziati, salvo diversa disposizione del contratto di consorzio (art. 2607).
Il codice nulla dispone circa la nomina, la composizione e il funzionamento dell’organo direttivo né circa i suoi compiti e poteri, limitandosi l’art. 2608  ad estendere alla responsabilità degli organi preposti al consorzio la disciplina del mandato (analogamente a quanto dprevisto dal legislatore codicistico in tema di responsabilità degli amministratori di società). Il comma 2o dell’art. 2609, a sua volta, dispone che il mandato conferito dai consorziati per l’attuazione dell’oggetto del consorzio, ancorché dato con unico atto, cessa nei confronti del consorziato receduto o escluso. Ulteriori indicazioni la legge richiede che il contratto contenga quando si tratti di consorzio con attività esterna (art. 2612, n. 4).
Il silenzio legislativo sottintende che la regolamentazione della struttura, del funzionamento e delle attribuzioni dell’organo direttivo è rimessa all’autonomia contrattuale dei consorziati. Occorre tuttavia tener conto che:
a.       nei consorzi  interni l’organo direttivo ha essenzialmente compiti di verifica dell’adempimento degli obblighi assunti dai consorziati per il conseguimento delle finalità del consorzio;
b.      nei consorzi con attività esterna l’organo direttivo ha compiti decisionali ed esecutivi per il conseguimento dell’oggetto del consorzio (ossia per lo svolgimento delle fasi comuni delle imprese consorziate), nell’ambito delle indicazioni provenienti dall’assemblea dei consorziati.
5) Le condizioni di ammissione di nuovi consorziati. I consorzi sono tendenzialmente contratti aperti a nuove adesioni, in quanto organismi destinati a soddisfare interessi di categoria (imprese operanti in un determinato settore economico e/o in una determinata zona territoriale). Il principio della c.d. porta aperta è però soltanto naturale, non essenziale al contratto di consorzio, validi essendo quindi i consorzi «chiusi» nei quali, per espressa previsione contrattuale, l’ingresso di nuovi membri esiga il consenso di tutti i consorziati.
Si noti che l’art. 2610, comma 1° (sostanzialmente corrispondente all’art. 2558 c.c.) sancisce, salva diversa pattuizione, l’automatico subingresso nel contratto di consorzio dell’acquirente in caso di trasferimento a qualunque titolo dell’azienda di uno degli imprenditori consorziati.
6) I casi di recesso e di esclusione. Il codice rinvia al contratto la determinazione delle cause di recesso e di esclusione (cfr. art. 2609). Soltanto per il caso di trasferimento dell’azienda del consorziato è prevista una causa legale di esclusione: l’art. 2610,  infatti, prevede che l’acquirente dell’azienda, che subentra di diritto all’alienante nel contratto di consorzio, possa  essere escluso per giusta causa dagli altri consorziati.
Si discute quale sia la disciplina applicabile all’inadempimento degli obblighi consortili e alla sopravvenuta impossibilità di adempierli (per cessazioni dell’impresa, per fallimento), quando non siano espressamente previsti dal contratto come cause di recesso o di esclusione oppure di automatico scioglimento del rapporto consortile. In particolare è controverso se si applichino in questi casi i principi generali della risoluzione del contratto o se, quanto meno per i consorzi con attività esterna, si debbano applicare in via analogica le norme sul recesso e sulla esclusione previste per altre fattispecie associative, quali  le associazioni o le società di persone.
7) Le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati. Le sanzioni possono consistere, ad es., in multe e nella sospensione dall’esercizio dei diritti consortili. Contro i provvedimenti disciplinari adottati illegittimamente il consorziato può adire l’autorità giudiziaria per ottenerne l’annullamento. Inoltre è frequente la previsione contrattuale di un apposito organo incaricato di risolvere le controversie tra consorziati e tra consorziati e organi consortili.
    


     4.    La disciplina speciale dei consorzi con attività esterna

A norma dell’art. 2612 c.c., un estratto del contratto di consorzio con attività esterna deve, a cura degli amministratori, essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove il con­sorzio ha sede. L’estratto deve contenere l’indicazione dei dati rilevanti per i terzi, e quindi: denominazione e sede del consorzio; nome dei consorziati; durata; persone alle quali viene attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza e i relativi poteri; modo di formazione del fondo consortile; norme relative alla liquidazione. Aspetti particolarmente rilevanti sono quelli della rappresentanza e del fondo consortile.
a) La rappresentanza. La rappresentanza processuale attiva e la rappresentanza sostanziale sono regolate dal contratto. Con riguardo alla rappresentanza processuale passiva, invece, l’art. 2613 dispone che i consorzi possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione.
b) Il fondo consortile. Con una disposizione analoga a quella dettata dall’art. 37 per le associazioni non riconosciute, l’art. 2614 prevede che i contributi dei consorziati ed i beni acquistati con questi contributi costituiscano il fondo consortile. Si tratta di un patrimonio autonomo funzionale allo svolgimento dell’impresa consortile e destinato a garantire il soddisfacimento dei creditori del consorzio; durante la vita del consorzio i consorziati possono chiedere la divisione del fondo, i creditori particolari di questi ultimi possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo. Il codice civile non prescrive che il fondo abbia un valore minimo, ma richiede soltanto che nel contratto siano indicate le modalità di formazione. Di regola esso è alimentato dai contributi dei consorziati, ma, come si è già accennato, i mezzi finanziari per coprire le spese del consorzio possono anche essere reperiti facendo pagare ai con­sorziati una percentuale sugli affari conclusi tramite il consorzio o un corri­spettivo per la fruizione dei servizi consortili.
Questione assai dibattuta, soprattutto nei consorzi con attività esterna, è se la cessazione del rapporto consortile da parte di uno dei consorziati implichi la liquidazione della quota di partecipazione al fondo consortile. A tale riguardo si osserva che l’art. 2609, comma 1°, dispone che «nei casi di recesso e di esclusione previsti dal contratto, la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quelle degli altri». Secondo un orientamento interpretativo la norma sancisce la intangibilità del fondo consortile, nel senso che la quota di partecipazione del consorziato uscente non può essergli liquidata – con corresponsione di una somma di denaro quantificata in base al valore del patrimonio del consorzio – ma si “redistribuisce” proporzionalmente agli altri consorziati. La soluzione sostanzialmente si rifa a quanto previsto per le associazioni dall’art. 37 c.c., il quale espressamente esclude la liquidazione della quota in caso di recesso.
Un diverso orientamento ritiene che l’art. 2609 si riferisca non alla quota di partecipazione del fondo consortile bensì ai diritti ed agli obblighi assunti dai consorziati nei consorzi di “contingentamento” di cui all’art. 2603, comma 3°, c.c.: l’accrescimento a favore degli altri consorziati riguarderebbe soltanto la quota di produzione o di scambio riservata al consorziato uscente. Con riguardo alla liquidazione della quota consortile si adotta una soluzione analoga a quella prevista per l’uscita del socio da società di persone (v. art. 2289 c.c.).
Ulteriore (e contigua) questione è quella del creditore particolare del consorziato: può egli chiedere la liquidazione della quota del proprio debitore? La risposta è positiva o negativa a seconda che si aderisca all’uno o all’altro degli orientamenti interpretativi sopra accennati; qualora si propenda per la soluzione affermativa occorre rifarsi agli artt. 2305, 2307 e 2270 c.c. relativi alle società di persone).
Entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio le persone che hanno la direzione del consorzio devono redigere una situazione patrimoniale, osservando le norme relative al bilancio di esercizio delle società per azioni, e devono depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese (art. 2615-bis). Si discute se tale situazione patrimoniale sia un vero e proprio bilancio, comprensivo di stato patrimoniale e di conto economico, o se si tratti di un conto dimostrativo della sola consistenza del fondo consortile (conto patrimoniale). Il problema è connesso con quello della natura imprenditoriale dell’attività consortile: poiché  lo svolgimento in comune di una o più fasi delle imprese consorziate integra l’esercizio di una attività di impresa, l’obbligo di redigere il bilancio di esercizio deriva dalla norma generale dell’art. 2217 c.c., e la portata dell’art. 2615-bis si risolve nella imposizione dell’onere di pubblicazione del bilancio.


     5.    Segue: la responsabilità verso i terzi

La responsabilità verso i terzi dei consorzi con attività esterna è regolata dall’art. 2615, a tenore del quale  «per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile. Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono invece questi ultimi solidalmente con il fondo consortile» e «in caso di insolvenza, nei rapporti tra i con­sorziati il debito dell’insolvente si ripar­tisce tra tutti in proporzione delle quote».
Il primo comma sancisce il principio della responsabilità limitata, a motivo del quale i terzi possono fare affidamento soltanto sul fondo consortile, per il quale il codice non prevede, come si è detto, neppure un importo minimo. Per questo motivo è di fondamentale importanza stabilire quando si applica la disciplina del primo comma della norma e quando viceversa si applica il principio della responsabilità solidale con il fondo consortile dei singoli consorziati prevista dal secondo comma.
La norma è tutt’altro che chiara e ha dato luogo ad interpretazioni molto diverse. Una tesi opina che il primo comma troverebbe applicazione soltanto per le obbligazioni assunte per motivi organizzativi (spese generali), in base al presupposto che l’attività consortile è, per definizione, svolta per conto dei consorziati. Del tutto opposta è la tesi (da ritenersi preferibile) che sottolinea come il secondo comma si applichi alle obbligazioni assunte per conto dei «singoli consorziati», e quindi soltanto alle operazioni nelle quali è possibile individuare il consorziato o i consorziati direttamente interessati (ad es., acquisto di materie prime per conto di singoli consorziati o vendita dei rispettivi prodotti finiti).
È anche controverso se la responsabilità del singolo consorziato presupponga che l’obbligazione sia stata assunta in suo nome, in base a procura rilasciata agli organi del consorzio, o se viceversa l’intera disciplina dell’art. 2615 riguardi comunque le obbligazioni assunte in nome del consorzio.


6.  Lo scioglimento del consorzio

Il consorzio si scioglie per le cause indicate nell’art. 2611: decorso del termine di durata; conseguimento dell’oggetto o impossibilità di conseguirlo; volontà unanime dei consorziati o deliberazione adottata a maggioranza se sussiste una giusta causa; provvedimento dell’autorità governativa nei casi ammessi dalla legge; altre cause previste nel contratto.
Il consorzio si scioglie inoltre, in base ai principi generali, per il venir meno della pluralità dei consorziati, e, se si tratta di un consorzio con attività esterna, per il caso di fallimento.
Allo scioglimento del consorzio con attività esterna deve seguire la liquidazione del fondo consorziale (arg. art. 2612 comma, 2°, n. 5).


7. Contratto di consorzio e società
Il consorzio con attività esterna è una forma di esercizio collettivo di una o più fasi delle imprese dei consorziati: per questo motivo è esso stesso centro di imputazione di rapporti giuridici ed è titolare di un patrimonio autonomo (il fondo consortile). A differenza delle società - sia lucrative che cooperative – l’organismo consortile non è disciplinato dettagliatamente dalla legge, ampio spazio essendo lasciato all’autonomia contrattuale. Lacunoso, peraltro, è in particolare l’aspetto della responsabilità patrimoniale verso i terzi, atteso che:
q       a fronte della responsabilità limitata mancano regole tese ad assicurare la conservazione di un patrimonio consortile di qualche consistenza;
q       manca una regola chiara relativa alla responsabilità solidale del «singolo consorziato».
La linea di demarcazione tra società lucrative e consorzio con attività esterna è rappresentata essenzialmente dalla diversità di scopo, che nel consorzio consiste non nel conseguimento di un utile da dividere tra i consorziati, bensì nel rendere possibile la fruizione di un vantaggio mutualistico consistente, in particolare, in un risparmio dei di produzione.
Tale carattere distintivo ricorre anche nelle società consortili.

II. Le società consortili
    
     1.    Scopo e oggetto delle società consortili. I tipi

L’art. 2615-ter c.c. prevede che le società di cui ai Capi III e seguenti del Tit. V (dunque: s.n.c., s.a.s e tutte le società di capitali) possano assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602. Ciò significa che le società consortili sono società aventi forma lucrativa ma costituite per perseguire gli scopi propri dei consorzi: il loro scopo non è quello di realizzare un utile da dividere tra i consorziati, ma quello di consentire a questi ultimi il conseguimento di un vantaggio mutualistico, sub specie di risparmio nei costi di produzione (ad es.: approvvigionamento di materie prime o fruizione di un servizio a condizioni più vantaggiose) o di aumento dei prezzi di vendita dei prodotti delle rispettive imprese. Questo non significa che la società consortile non possa anche svolgere una limitata attività con i terzi e cioè compiere operazioni produttive di utili, ma queste operazioni devono necessariamente avere, rispetto alla gestione mutualistica, una funzione strumentale e accessoria, perché, se la gestione lucrativa prevale sulla gestione mutualistica, la società perde la connotazione consortile e non può che essere qualificata come società lucrativa.
Oggetto della società consortile è pur sempre l’esercizio di una impresa, e più precisamente di una «fase» delle imprese consorziate (cfr. art. 2602 c.c.). La forma societaria non può quindi essere utilizzata per perseguire soltanto funzioni di disciplina dell’attività delle imprese consorziate (c.d. consorzi interni), perché mancherebbe in questa ipotesi un elemento essenziale del contratto di società, e cioè l’esercizio in comune di una attività economica.
L’art. 2615-ter rinvia soltanto ai tipi societari del Tit. V, e cioè ai tipi delle società lucrative, con la sola eccezione della società semplice: sembrerebbe quindi esclusa la utilizzazione della forma cooperativa. Tuttavia, stante l’indubbia prossimità causale tra consorzi e cooperative, in quanto figure associative aventi finalità mutualistica, si ritiene che il silenzio della norma sia dovuto alla naturale attitudine della forma cooperativa a porsi quale strumento per la realizzazione di fini consortili.  Tale attitudine ha trovato esplicita conferma dapprima nella legislazione speciale (artt 27 e 27-ter decreto legislativo Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577: c.d. legge Basevi), e da ultimo nel nuovo art. 2538, comma 4°,  c.c. , che prevede «cooperative in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l’integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse».

2.  La disciplina delle società con­sortili

La società consortile è una fattispecie tipica, ma al riconoscimento legislativo non si accompagna una disciplina specifica. Alla società consortile si applica quindi, a causa del rinvio implicito nella disposizione dell’art. 2615-ter, la disciplina del tipo di società prescelto dalle parti, mentre si deve escludere l’applicabilità delle norme previste per i consorzi.
La disciplina strutturale delle società lucrative di cui al Tit. V è però,  sotto più profili,  tendenzialmente incompatibile con le finalità consortili: si pensi alla disciplina dell’ingresso di nuovi soci. L’interesse consortile è un interesse di categoria, con la conseguenza che il rapporto consortile è di regola un rapporto a struttura aperta;  le società regolate nel Tit. V sono organizzazioni a struttura chiusa.
Di qui l’esigenza di una applicazione “elastica” della disciplina societaria, mediante introduzione negli atti costitutivi di clausole contrattuali volte a comporre o superare il potenziale contrasto tra struttura societaria lucrativa e mutualità dell’impresa, nei limiti della  compatibilità con norme inderogabili del tipo societario prescelto. Pertanto nelle società di capitali sono ritenute ammissibili le clausole che prevedono la limitazione del diritto di opzione dei soci qualora l’aumento del capitale sia finalizzato all’ingresso di nuovi consorziati - essendo implicito nella natura consortile della società l’interesse sociale all’ingresso di nuovi consorziati -  nonché le clausole che prevedono l’esclusione o il recesso dei soci che cessano di far parte della categoria di consorziati prevista dall’atto costitutivo.
Per converso non sono applicabili le norme del tipo societario prescelto che siano palesemente incompatibili con le finalità consortili, quale ad esempio la norma dell’art. 2362 (unico azionista): il carattere mutua­listico dell’impresa consortile esclude infatti che sia possibile realizzare l’oggetto sociale quando viene meno la pluralità dei soci.

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