Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

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martedì 30 aprile 2013

Cessione d'azienda, avviamento e imposta di registro

 

Cessione d'azienda, avviamento e imposta di registro

 

domenica 13 gennaio 2013

Per saperne di più sull'imposizione delle plusvalenze da cessione d'azienda leggi anche Cessione d'azienda o di ramo d'azienda.
L'imposizione indiretta della cessione d'azienda è un argomento molto interessante per almeno due motivi: il primo è che con una certa sistematicità l'Agenzia delle Entrate, subito dopo l'operazione di vendita dell'azienda o di un suo ramo, bussa alle porte del venditore e del compratore per chiedere maggiori chiarimenti circa la valutazione del complesso aziendale ceduto, con lo scopo di recuperare a tassazione corrispettivi non dichiarati di fronte al notaio; il secondo riguarda la crescente attenzione dedicata dai fiscalisti di tutta Italia, dall'amministrazione finanziaria e dai giudici tributari alla sequenza conferimento-cessione delle partecipazioni che in alcuni casi equivale ad una cessione d'azienda, con il vantaggio che sconta un'imposta di registro infinitamente più bassa, precisamente in misura fissa anziché proporzionale.
L'imposizione indiretta, a differenza di quella diretta (Ire, Ires, Irap, imposte sostitutive sul reddito eccetera), si caratterizza per l'assenza di un legame univoco con la capacità contributiva del debitore dell'imposta, mentre trova manifestazione ogni volta che il contribuente consuma beni e servizi o compie determinate operazioni economiche o anche solo amministrative. La più importante delle imposte indirette è l'Iva, l'imposta sul valore aggiunto, detta anche imposta sui consumi proprio perché incide sul corrispettivo pagato dall'utente finale dei beni e dei servizi; altre imposte indirette sono l'imposta di registro, l'imposta di bollo, l'imposta ipotecaria e quella catastale.

Imposta di registro

L'articolo 2, comma 3, lettera b del d.p.r. 633/1972 (c.d. Decreto Iva) dispone che non sono considerate cessioni di beni le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda. Tuttavia dal principio di alternatività previsto dall'articolo 40, comma 1 del d.p.r. 131/1986 (Testo unico sull'imposta di registro) si ricava che l'operazione non soggetta ad Iva deve essere assoggettata ad imposta di registro, e anzi secondo l'articolo 3 del d.p.r. 131/1986 è previsto l'obbligo di registrazione anche se l'azienda è stata trasferita con contratto verbale. In particolare la cessione d'azienda sconta l'imposta di registro in misura proporzionale secondo le differenti aliquote previste dalla normativa per le componenti mobiliare e immobiliare dell'azienda e comunque non inferiori al 3%. In riferimento alla possibilità, tutt'altro che remota, che del complesso aziendale ceduto facciano parte sia beni mobili sia beni immobili, le modalità di applicazione del tributo sono descritte dall'articolo 23 che prescrive almeno una buona pratica da seguire nella redazione dell'atto di cessione. Infatti se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l'aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti da cui deriva l'obbligo imposto dal buon senso di indicare in maniera distinta il valore dei beni mobili e quello dei beni immobili onde evitare che l'imposta di registro venga calcolata come se si trattasse di un trasferimento di soli beni immobili, i quali scontano aliquote decisamente più elevate di quelle previste per la componente mobiliare.

Aliquote d'imposta

Come appena evidenziato, le aliquote applicabili al corrispettivo pattuito dalle parti dipendono dalla natura dei beni oggetto del trasferimento e sono stabilite dalle seguenti disposizioni normative:
  • articoli 2 e 9 della Tariffa parte I allegata al d.p.r. 131/1986 per i beni mobili; 
  • articolo 11bis della Tabella allegata al d.p.r. 131/1986 per i beni mobili registrati; 
  • articolo 1 della Tariffa parte I allegata al d.p.r. 131/1986 per i beni immobili (occorre sottolineare che l'articolo 10 del d.lgs. 23/2011 ha profondamente modificato e ridotto le aliquote applicabili alla parte immobiliare a partire dal 2014, perciò solo per il 2013 continueranno ad applicarsi le vecchie aliquote).

Aliquote beni mobili e mobili registrati
OGGETTO DEL TRASFERIMENTOIMPOSTA
Atti relativi a beni diversi dagli immobili e dalle unità da diporto (quindi tale categoria residuale comprende certo impianti, macchinari e altre attrezzature, le immobilizzazioni immateriali, ma anche denaro, crediti e merci in magazzino)3 %
Contratti di associazione in partecipazioneeuro 168
Atti diversi da quelli indicati altrove nella Tariffa parte I del d.p.r. 131/19863 %
Atti di natura traslativa o dichiarativa aventi ad oggetto veicoli iscritti nel pubblico registro automobilisticoesenti
Aliquote beni immobili dal 01/01/2008 al 31/12/2013

OGGETTO DEL TRASFERIMENTO
IMPOSTA
Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere
8 %
Fabbricati e relative pertinenze
7 %
Terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli a titolo principale o di associazioni o società cooperative
15 %
Immobili di interesse storico, artistico e archeologico, sempreché l'acquirente non venga meno agli obblighi della loro conservazione e protezione
3 %
Case di abitazione non di lusso ove ricorrano i requisiti per usufruire dell'agevolazione cosiddetta “prima casa”
3 %
Fabbricati o porzioni di fabbricato il cui trasferimento è esente Iva ai sensi dell'art. 10, comma 1, n. 8bis del d.p.r. 633/1972 ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell'atto l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni
1 %
Se il trasferimento avviene a favore dello Stato, ovvero a favore di entri pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunità montane
euro 168
Se il trasferimento ha per oggetto immobili situati all'estero o diritti reali di godimento sugli stessi
euro 168
Se il trasferimento avviene a favore di ONLUS a condizione che l'acquirente dichiari che utilizzerà l'immobile esclusivamente per gli scopi istituzionali
euro 168
Se il trasferimento ha per oggetto immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale
1 %
Aliquote beni immobili dal 01/01/2014
L'articolo 10 del d.lgs. 23/2011 ha proposto una semplificazione estrema delle aliquote applicabili, ma se da un lato favorisce l'acquisto della prima casa dall'altro, a partire dal 01 Gennaio 2014, appesantisce tutti gli altri tipi di cessione di immobili.

OGGETTO DEL TRASFERIMENTOIMPOSTA
Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere9 %
Se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8, A9, ove ricorrano le condizioni per usufruire dell'agevolazione "prima casa"2 %

Base imponibile dell'imposta di registro

Per ottenere l'ammontare di imposta di registro dovuta all'Erario bisogna applicare le percentuali esposte nelle tabelle alla base imponibile opportunamente calcolata secondo il combinato disposto degli articoli 43 e 51 del d.p.r. 131/1986 che può essere riassunto come segue:
  • per i contratti a titolo oneroso la base imponibile è costituita dal valore del bene o del diritto trasferiti alla data dell'atto;
  • si assume come valore dei beni o dei diritti quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto;
  • per gli atti che hanno per oggetto beni immobili oppure aziende si intende per valore il valore venale in comune commercio;
  • per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore dichiarato nell'atto è controllato dall'Agenzia delle Entrate con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile.

Valutazione dell'avviamento

Come scritto in apertura del presente articolo, un aspetto che rende interessante la questione della cessione d'azienda è la valutazione dell'avviamento nella misura in cui l'Agenzia delle Entrate, durante il processo d'accertamento, si focalizza proprio su questo valore dichiarato nell'atto. Nella prassi l'amministrazione finanziaria usa contestare il valore di avviamento dichiarato utilizzando il criterio forfetario di redditività prescritto dall'articolo 2 del d.p.r. 460/1996, ma naturalmente i verificatori hanno il pieno diritto di utilizzare qualsiasi altra metodologia di accertamento purché ne diano conto nella motivazione dell'atto impositivo, in modo da porre il contribuente in grado di esercitare un'efficace difesa (cfr. Cort. Cassa ord. 4931/2012). A questo proposito è importante segnalare che molto spesso la giurisprudenza ha sconfessato i risultati dell'Agenzia delle Entrate basati esclusivamente su una pedissequa applicazione del criterio forfetario della redditività stabilendo, al contrario, una valutazione caso per caso della realtà aziendale oggetto della cessione. Ciononostante è sempre meglio avere presente la ricetta matematico-statistica utilizzata dai verificatori per redigere gli avvisi di accertamento:
AVVIAMENTO = % REDDITIVITA' * MEDIA RICAVI ULTIMI TRE ANNI *3
Secondo l'articolo 2 del d.p.r. 460/1996 infatti per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d'imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d'impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi validamente documentati e, comunque, nel caso in cui ricorra almeno una delle seguenti situazioni:
  1. l'attività sia stata iniziata entro i tre periodi d'imposta precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento;
  2. l'attività non sia stata esercitata, nell'ultimo periodo precedente a quello in cui è intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento della attività stessa;
  3. la durata residua del contratto di locazione dei locali, nei quali è svolta l'attività, sia inferiore a dodici mesi.

Accertamento imposta di registro utilizzato per accertamento plusvalenza imposte dirette

Un ulteriore aspetto di interesse circa il tema della cessione d'azienda è la prassi invalsa presso gli uffici dell'Agenzia delle Entrate di riportare, quasi come fosse un automatismo, i maggiori valori accertati in sede di imposte indirette in un successivo accertamento della plusvalenza realizzata dal cedente ai fini delle imposte dirette. Su questo tema la giurisprudenza non è univoca, sebbene pare oramai assodato il principio che non è accettabile il mero automatismo; d'altro canto la giurisprudenza tende ad ammettere l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate che partendo dai maggiori valori rilevati in sede di imposta di registro riprende a tassazione maggiori plusvalenze ai fine delle imposte dirette valutando e motivando il proprio operato caso per caso con riferimento alla specifica realtà aziendale.
FONTE: http://ilcontribuenteonesto.blogspot.it

Omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento IVA ed illiquidita`: scelta punibile od omissione necessitata?


Lunedì 29/04/2013




 


































L`Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ha pubblicato la circolare n. 12/2013 - Omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento IVA ed illiquidita`: scelta punibile od omissione necessitata?
La circolare confronta gli orientamenti di dottrina, giurisprudenza di merito e di legittimita`e propone un’interpretazione dell`argomento che tende a rendere compatibile la restrittiva opinione della Cassazione - la quale in diverse pronunce ha trattato il tema riconoscendo la colpevolezza del soggetto che ha omesso il versamento - con la linea interpretativa seguita dalla giurisprudenza di merito, che essendo piu` vicina al mondo delle imprese e percependo come gli effetti della crisi limitino di fatto le loro capacita` di adempimento, tende a riconoscere situazioni di non punibilita`.
L’individuazione di stati di concreta insolvenza in cui l’imprenditore non adempie, pur in assenza totale di dolo, rappresenta, infatti, una situazione in cui potrebbe riscontrarsi la non colpevolezza. A tal fine, sara` necessaria un`analisi approfondita del contesto aziendale da parte del professionista che segue l’impresa, il quale, in collaborazione con il legale incaricato della difesa, potra` fornire un valido supporto al cliente per il riconoscimento della sua innocenza.

http://www.knos.it/Pubblica.download.aspx?file=/Documenti/circolari%20cs/CIRCOLARE_ungdc_12_illiquidita_DEFINITIVA.pdf

martedì 2 aprile 2013

Amministratori: sempre deducibili i compensi?

Amministratori: sempre deducibili i compensi?


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Con la recente ordinanza n. 3243 dell’11 febbraio 2013 la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi della controversa questione della deducibilità dei compensi corrisposti da società ai propri amministratori, tema sul quale non si è registrato, nel tempo, un indirizzo univoco da parte della dottrina e della giurisprudenza.
Infatti, la corresponsione di compensi agli amministratori che appaiono sproporzionati rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa è stata ritenuta, talvolta, quale elemento sufficiente per contestare la parziale indeducibilità dei correlati costi, in altre circostanze, quale comportamento non suscettibile di essere sindacato dall’Amministrazione Finanziaria.

La previsione normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 95, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986 (c.d. T.U.I.R.) secondo cui “i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”.

Tale norma riproduce il contenuto dell’art. 62 del “vecchio” Testo unico che, pur riferendosi espressamente ai compensi corrisposti agli amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, trovava applicazione, in ragione del richiamo operato dall’art. 95, comma 1, agli articoli da 52 a 77 del medesimo Testo unico, anche in relazione a quelli spettanti ad amministratori di società di capitali ed enti non commerciali.

Del tema si è recentemente occupata l’Agenzia delle Entrate. La risoluzione n. 113/E del 31 dicembre 2012, nel sostenere il criterio generale della deducibilità dei compensi, ammette la possibilità che, in sede di attività di controllo, l’Amministrazione Finanziaria disconosca “totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i compensi appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”.

Al riguardo occorre, a mio avviso, considerare che quando l’Amministrazione Finanziaria contesta l’anti-economicità delle spese sostenute per compensi corrisposti agli amministratori, non compie valutazioni di tipo qualitativo, bensì quantitativo, eccependo in buona sostanza la sproporzione di detti compensi rispetto, ad esempio, alle medie di settore, ai contratti collettivi ovvero ai ricavi e all’oggetto dell’impresa.

In ragione dell’assenza di norme cogenti che individuino tabelle o altre indicazioni vincolanti ai fini della determinazione dei limiti massimi di spesa oltre i quali i compensi agli amministratori non possono essere dedotti, non potrà che adottarsi un criterio di congruità degli stessi che tenga conto di una pluralità di elementi, variabili da caso a caso, fra cui a mero titolo esemplificativo: il rapporto fra ricavi societari e compensi degli amministratori; le condizioni finanziarie dell’impresa; le qualità e capacità degli amministratori; il rapporto fra amministratori e soci; la comparazioni con imprese aventi analoghe dimensioni che operano nel medesimo settore.

Ma ancor prima di procedere alla predetta valutazione, ritengo opportuno che i funzionari dell’Amministrazione Finanziaria verifichino l’impatto, in termini di possibili vantaggi fiscali, che la corresponsione di compensi sproporzionati determina nel caso concreto.

Se, infatti, la tesi dell’indeducibilità dei compensi erogati agli amministratori aveva una sua piena ragion d’essere nella vigenza dell’ILOR, imposta che, differenziando i diversi regimi fiscali, alimentava politiche di arbitraggio, detti fenomeni sono oggi, almeno nelle società di capitali, difficilmente riscontrabili, atteso che l’imposizione in capo all’amministratore (IRPEF e addizionali) è, nella generalità dei casi, più elevata rispetto a quella gravante sui soggetti IRES.

La richiamata verifica sarà invece imprescindibile nei casi in cui si intenda inquadrare la corresponsione dei compensi ritenuti sproporzionati nell’ambito dell’istituto, di matrice giurisprudenziale, dell’“abuso del diritto”.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, presupposto necessario per poter configurare tale ipotesi è, infatti, l’accertamento della realizzazione di un’operazione che abbia avuto “(…) quale elemento predominante ed assorbente della transazione, lo scopo di ottenere vantaggi fiscali” consistenti in risparmi d’imposta.

di Alberto Nastasia fonte fiscal focus