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martedì 2 aprile 2013

Amministratori: sempre deducibili i compensi?

Amministratori: sempre deducibili i compensi?


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Con la recente ordinanza n. 3243 dell’11 febbraio 2013 la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi della controversa questione della deducibilità dei compensi corrisposti da società ai propri amministratori, tema sul quale non si è registrato, nel tempo, un indirizzo univoco da parte della dottrina e della giurisprudenza.
Infatti, la corresponsione di compensi agli amministratori che appaiono sproporzionati rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa è stata ritenuta, talvolta, quale elemento sufficiente per contestare la parziale indeducibilità dei correlati costi, in altre circostanze, quale comportamento non suscettibile di essere sindacato dall’Amministrazione Finanziaria.

La previsione normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 95, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986 (c.d. T.U.I.R.) secondo cui “i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”.

Tale norma riproduce il contenuto dell’art. 62 del “vecchio” Testo unico che, pur riferendosi espressamente ai compensi corrisposti agli amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, trovava applicazione, in ragione del richiamo operato dall’art. 95, comma 1, agli articoli da 52 a 77 del medesimo Testo unico, anche in relazione a quelli spettanti ad amministratori di società di capitali ed enti non commerciali.

Del tema si è recentemente occupata l’Agenzia delle Entrate. La risoluzione n. 113/E del 31 dicembre 2012, nel sostenere il criterio generale della deducibilità dei compensi, ammette la possibilità che, in sede di attività di controllo, l’Amministrazione Finanziaria disconosca “totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i compensi appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”.

Al riguardo occorre, a mio avviso, considerare che quando l’Amministrazione Finanziaria contesta l’anti-economicità delle spese sostenute per compensi corrisposti agli amministratori, non compie valutazioni di tipo qualitativo, bensì quantitativo, eccependo in buona sostanza la sproporzione di detti compensi rispetto, ad esempio, alle medie di settore, ai contratti collettivi ovvero ai ricavi e all’oggetto dell’impresa.

In ragione dell’assenza di norme cogenti che individuino tabelle o altre indicazioni vincolanti ai fini della determinazione dei limiti massimi di spesa oltre i quali i compensi agli amministratori non possono essere dedotti, non potrà che adottarsi un criterio di congruità degli stessi che tenga conto di una pluralità di elementi, variabili da caso a caso, fra cui a mero titolo esemplificativo: il rapporto fra ricavi societari e compensi degli amministratori; le condizioni finanziarie dell’impresa; le qualità e capacità degli amministratori; il rapporto fra amministratori e soci; la comparazioni con imprese aventi analoghe dimensioni che operano nel medesimo settore.

Ma ancor prima di procedere alla predetta valutazione, ritengo opportuno che i funzionari dell’Amministrazione Finanziaria verifichino l’impatto, in termini di possibili vantaggi fiscali, che la corresponsione di compensi sproporzionati determina nel caso concreto.

Se, infatti, la tesi dell’indeducibilità dei compensi erogati agli amministratori aveva una sua piena ragion d’essere nella vigenza dell’ILOR, imposta che, differenziando i diversi regimi fiscali, alimentava politiche di arbitraggio, detti fenomeni sono oggi, almeno nelle società di capitali, difficilmente riscontrabili, atteso che l’imposizione in capo all’amministratore (IRPEF e addizionali) è, nella generalità dei casi, più elevata rispetto a quella gravante sui soggetti IRES.

La richiamata verifica sarà invece imprescindibile nei casi in cui si intenda inquadrare la corresponsione dei compensi ritenuti sproporzionati nell’ambito dell’istituto, di matrice giurisprudenziale, dell’“abuso del diritto”.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, presupposto necessario per poter configurare tale ipotesi è, infatti, l’accertamento della realizzazione di un’operazione che abbia avuto “(…) quale elemento predominante ed assorbente della transazione, lo scopo di ottenere vantaggi fiscali” consistenti in risparmi d’imposta.

di Alberto Nastasia fonte fiscal focus

 

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